Pierangelo Conte (Treviso nel 1967) è un musicista doc: si è diplomato in Composizione con Mansueto Viezzer, in Musica corale e Direzione di coro, in Musica elettronica con Alvise Vidolin al Conservatorio “Benedetto Marcello di Venezia”, dove segue anche i corsi di Padre Pellegrino Ernetti sulla Musica liturgica prepolifonica. Una formazione davvero a 360 gradi, a cui aggiunge una laurea in Lettere all’Università Ca’ Foscari di Venezia: tesi di laurea incentrata su Risonanze Erranti di Luigi Nono, ottenendo il massimo dei voti e la lode. In seguito, frequenta master e stage sul live elecronics e sulla direzione di coro e orchestra. Si dedica alla composizione, all’attività concertistica e musicologica, e in qualità di critico musicale collabora con mensili e quotidiani.
La sua attività lo ha visto impegnato a Venezia, al teatro La Fenice, a Ca Foscari e altre istituzioni; dal 1997 inzia la collaborazione con la Fondazione Teatro la Fenice rivestendo vari ruoli finchè nel settembre 2014 lascia le lagune e approda in riva d’Arno,come coordinatore artistico della Fondazione del Maggio Musicale Fiorentino. Con molta gentilezza e disponibilità ha accettato di raccontarci qualcosa della sua attività e di quel mondo meraviglioso che è il teatro in musica.
Maestro Conte,c’è chi dice che l’opera e la musica classica in generale, specialmente di questi tempi, abbiano scarsa attrattiva per i giovani. Secondo lei questo corrisponde alla verità?
Ci sono tanti modi per rispondere a questa domanda, ma partendo dai numeri rispondo di no: abbiamo raggiunto la soglia di 25 mila giovani in teatro, e questi numeri spiegano una logica del tutto diversa. La presenza di giovani a teatro sta aumentando considerevolmente.
Quindi, i giovani a teatro ci vengono, per loro rappresenta un momento di interesse e uno stimolo in forma di espressione artistica più distanti dalla vita di tutti i giorni. Di vedere tantissimi giovani ai concerti di Mika e ai film del Signore degli Anelli ce lo aspettavamo, ma ne abbiamo visti tanti anche alla Bohème e al Nabucco, e mi dicono che il Flauto Magico sarà pieno di giovani. Organizziamo incontri con le università, con la Scuola di Musica di Fiesole, con il Conservatorio…
Quindi no, non sono convinto di quello che si dice, anzi, i dati riportati dalla ricerca nazionale parlano di un aumento delle presenze del pubblico giovane a teatro. Certo, bisogna saper introdurre i giovani al teatro nella maniera corretta: per questo facciamo incontri ogni sera prima dello spettacolo. Poi, la situazione va letta di volta in volta: la nostra Semiramide, per esempio, è stata uno spettacolo molto asciutto, molto pensato, sicuramente più difficile da decifrare rispetto a Nabucco o Bohème, per cui una preparazione è stata d’aiuto.
Credo che sia un cammino da portare avanti in maniera molto decisa, perché poi i giovani saranno il pubblico di domani. Ma sarebbe bello anche avere uno scambio: su Twitter, questo gruppo, Neverland, recensisce le nostre opere e ha partecipato a diversi spettacoli. Una settimana siamo stati in testa alle classifiche di Twitter, addirittura sopra la Fiorentina. Per noi che da giovani non avevamo il cellulare, è un modo diverso di comunicare, ma anche la situazione è completamente diversa, e abbiamo visto che quest’iniziativa ha funzionato molto bene.
Sempre rimanendo nell’ambito classico, secondo lei quali autori possono risultare più “appetibili” alle nuove generazioni?
Si tende talvolta a fare riferimento al senso della contemporaneità, per cui un autore è contemporaneo se tratta di certi argomenti e di certi temi e lo fa in un modo più vicino al nostro tempo, ma ci sono messaggi che non hanno tempo. Per certi versi, Verdi è più contemporaneo di molti autori contemporanei. Nel Requiem il senso dello spirituale e del religioso che il maestro Chung ha sviluppato come linea interpretativa, e che è presente nella partitura verdiana, è qualcosa che esiste da oltre cento anni, e chi c’era ieri sera ha vissuto questo messaggio. Quindi non credo che ci sia un autore che possa rappresentare una maggiore attrattiva rispetto a un altro: la musica e l’opera si possono ascoltare a vari livelli, e quello che a me piacerebbe trasmettere è quello di Luigi Nono, che diceva che ascoltare vuol dire andare verso un’altra persona. Partire da sé per andare incontro a un’altra persona.
Questo è fondamentale nell’approccio a qualsiasi opera d’arte: non prenderla e incastonarla nelle proprie convinzioni, ma andare verso l’altra persona e aprirsi nei suoi confronti, e così in quelli della musica. Confrontarsi con un lavoro di Mozart, Rossini, Pizzetti, dai più noti ai meno noti, vuol dire sempre fare un cammino di questo tipo, e se ci riesco allora ha senso, sviluppo l’attrattiva, altrimenti mi muovo sempre in un regime di superficialità e non posso mai godere fino in fondo di questo incontro.
A volte, quello che mi spaventa è l’ascolto superficiale, che però è molto difficile da valutare, perché dipende dagli stati d’animo, dalle circostanze. Invece, il fatto di venire con l’idea di scoprire quello che ha da dirmi un’altra persona… È come andare a una mostra: se vado a vedere Ai Weiwei a Palazzo Strozzi, vado a incontrare qualcuno che è diverso da me. Questo è il tema, mettersi in discussione e andare verso l’altro, e a volte questo costa fatica, perché prima bisogna documentarsi. Solo perché io non lo capisco, non significa che qualcuno stia dicendo cose poco significative. Lo dico perché tante volte la musica contemporanea, ad esempio, è ritenuta difficile: certo, non è vicina ai canoni di eufonia, di bel suono e belle armonie, ma se facciamo lo sforzo di capire cosa vuol dire il compositore, allora l’apprezzeremo in maniera diversa: si tratta di incontrare un nuovo linguaggio.
Penso che una delle risorse del nostro mondo sia che viviamo in una società dove si può incontrare di tutto: altre mentalità, altre logiche e altre idee. Per questo il tema dell’ascolto è per me così importante e collegato all’attrattiva del pezzo. Se uno viene all’opera e non conosce la trama potrà solo godersi uno spettacolo: apprezza certe cose, ma tante le perde. Se viene a rivederlo, invece si accorge di tutte le sfumature che non aveva notato.
Quali sono i suoi autori preferiti e questa preferenza come ha influenzato le sue scelte?
Un autore che mi ha proprio scardinato, che mi ha trasportato da un’altra parte è stato proprio Luigi Nono. Tutti i suoi ultimi pezzi, da Fragmente-Stille in avanti, sono con live electronics, con elettronica dal vivo. Mi ha scardinato perché è riuscito a tradurre il suo pensiero in musica e io mi sono sentito vicino a quel pensiero.
Ma non è l’unico, ci sono tantissimi artisti che mi hanno fatto un effetto del genere: l’esperienza più forte l’ho avuta forse con la sua musica, ma c’è un contrappunto dei fagotti nella Nona di Beethoven che mi manda fuori di testa tutte le volte, ci sono alcuni pezzi degli U2 e dei Police che mi piacciono tantissimo… Non andrei a focalizzare solo in ambito, ma se devo rispondere in maniera semplicistica, quell’ascolto lì, di Luigi Nono, mi ha impressionato. Sarà per il tipo di suono, perché il live electronics capta i suoni acustici e li processa elettronicamente, quindi è un ascolto nuovo a metà tra l’acustico e la diffusione attraverso altoparlante. È un ascolto immerso nello spazio, non più solamente frontale: sei circondato da amplificatori, sei all’interno di un suono… Questo è quello che mi ha veramente colpito.
Lei è il coordinatore artistico dell’opera di Firenze da settembre 2014: ci può dare un bilancio di questo suo periodo di attività? E come ha trovato il pubblico fiorentino?
Fin da subito mi ha colpito la passionalità del pubblico di Firenze, sia in positivo che in negativo. Infatti anche da un punto di vista “critico” ci sono state s discussioni molto accese con alcuni nostri abbonati. Venendo da un ambiente dove il pubblico partecipava certo, ma in maniera distaccata mi ha colpito subito questa caratteristica della platea fiorentina.
Il sovrintendente Francesco Bianchi mi aveva chiamato per supportare la squadra nel raggiungimento degli obbiettivi del Piano di Risanamento 2014-2016 e di lavorare per un rilancio artistico della Fondazione. Prendiamo dei dati concreti. I vari aspetti monitorati appunto dal Piano di Risanamento sono sostanzialmente due: il numero di alzate di sipario e i Punti Fus, un punteggio attribuito in base al tipo di spettacolo che proponi (opera=12 punti, concerto=2 punti, ecc.). Arrivando alla fine del 2014 ho trovato una Fondazione attestata intorno ai 1000 punti Fus e 190 alzate di sipario circa; alla fine del 2016 siamo riusciti a portare il Maggio a 1650 punti Fus e 240 alzate di sipario. Partendo da una Fondazione al di sotto della quota annuale del Piano di Risanamento, a fine 2016 abbiamo raggiunto numeri ben più alti da quelli posti dal Piano. Questo anche grazie al cambio di strategia artistica che ho messo in atto insieme alla squadra. Abbiamo diviso le attività della fondazione in tre moduli: il primo modulo è il festival concentrato tra aprile e maggio, il secondo è il teatro a stagione da settembre a inizio aprile e il terzo modulo per quanto riguarda il teatro di repertorio presentato a palazzo Pitti nei mesi di giugno e luglio.
L’Opera di Firenze soprattutto in questo periodo si sta aprendo verso spettacoli diversi dal solito come il passato da poco concerto di Mika e l’esecuzione della colonna sonora de “Il Signore degli Anelli”. Ci saranno altri eventi di questo tipo? Sono indirizzati prevalentemente ai giovani?
Prima di Mika e di Tolkien ne abbiamo fatti molti altri. L’anno scorso abbiamo accompagnato con l’orchestra una cover band dei Led Zeppelin, trascrivendo alcuni dei maggiori successi del gruppo rock in partitura per gli strumenti del Maggio. Canzoni che abbiamo collegato a un tema molto pesante e attuale: l’omicidio stradale, soprattutto giovanile: momento molto forte che vede rientrare la musica in un progetto di più ampie dimensioni, insieme a un aspetto di civiltà politica e sociale. Altro progetto, che svolgiamo annualmente, e che è diventato progetto pilota a livello nazionale è l’opera con i ragazzi delle elementarie delle medie. Portiamo 900 ragazzi sul palco e quest’anno saranno impegnati nella riduzione de “Il Flauto Magico” di Mozart, “La Piramide di Luce”, con in buca ovviamente l’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino. Molte sono anche le attività al teatro Goldoni riguardanti anche conferenze e incontri nelle scuole per preparare i giovani attori ai temi che verranno trattati. C’è un ventaglio di proposte molto ampio.
Con quali criteri sceglie uno spettacolo?
Le scelte sono condivise da una squadra, in quanto un evento va analizzato sotto vari punti di vista (profilo artistico, profilo economico). Ciò che mi ispira è cercare di offrire al pubblico una sempre maggiore varietà possibile. Vorrei che il Teatro dell’Opera fosse un punto di incontro e di discussione su tanti temi e progetti diversi. Ecco perché accanto all’opera abbiamo inserito queste iniziative più crossover, ma anche all’interno dell’Opera abbiamo spaziato. A gennaio abbiamo avuto un’opera barocca ( la Didone abbandonata) presentata in prima assoluta in epoca moderna e nello stesso mese un’opera contemporanea, “Il Viaggio di Roberto”. Dal Barocco al contemporaneo, passando per il grande repertorio (Bohéme, Nabucco, Faust) e alcune novità come la “Semiramide” di Rossini. L’idea è anche di attraversare anche nuove regie che, anche se potranno essere fischiate, avranno offerto sempre più differenzazione trasponendo un’opera in chiave moderna appunto. Arriverà tra poco una reinterpretazione scolastica de “Il Flauto Magico” e prevedo che in galleria qualcuno … affilerà le armi. L’idea mia è quindi di dare nuove sollecitazioni al pubblico, in modo tale che il pubblico sia sempre lieto di venire e discutere degli spettacoli.
Sara Dannaoui – Niccolò Lumini