Charles Gounod conosce ventenne il Faust di Goethe e, come già molti altri prima di lui, non riuscirà più a liberarsene. Di fatto però, che ci sia o meno lo zampino del diavolo, l’opera ha una gestazione piuttosto travagliata: Gounod inizia ad abbozzarla nel 1839, l’anno in cui gli viene conferito il Prix de Rome, ma devono passare due decenni prima che la versione definitiva veda la luce.
La luce, nella fattispecie, del Théâtre Lyrique di Parigi, dopo essere stata rifiutata dall’Opera, e tra l’altro un anno in ritardo sulla tabella di marcia, visto che nel 1858, complice lo sfortunato tempismo di Gounod e la popolarità del capolavoro goethiano, l’altro Faust di Dannery era già in scena al Teatro di Porte St. Martin.
L’opera, su libretto di Jules Barbier e Michel Carré (autore anch’egli di un Faust e Marguerite), non viene ben accolta dal pubblico e dalla critica, ma l’insuccesso è forse imputabile alle modifiche volute dall’impresario Leon Carvalho. Nonostante l’esordio tiepido, la rappresentazione dell’anno successivo, a Strasburgo, riscuote già maggior successo, e nel giro di un decennio e sette balletti in più, il Faust approda finalmente all’Opera di Parigi nel marzo del ’69, vantando tra i suoi ranghi il soprano svedese Christina Nilsson. Questo il debutto che non solo lo lancia definitivamente sul suolo internazionale, ma la rende anche l’opera più rappresentata del panorama parigino del tempo.
In realtà, rispetto al poema di Goethe, il Faust di Gounod ha tinte meno tetre e colori più terreni: vengono esorcizzate tutte le presenze soprannaturali ad eccezione di Mefistofele; protagonista della vicenda, come già nell’opera di Carré, è l’amore tra Faust e Margherita; l’inquietante personaggio di Faust si fa sentimentale.
La figura di Johan Faust, a onor del vero, è storicamente accertata, anche se molte delle informazioni sul suo conto si attestano in qualche punto a metà strada tra la diceria e il pettegolezzo. Diplomato a Heidelberg, tra i suoi mezzi di sussistenza andavano annoverate la negromanzia, l’alchimia e una serie di altre pratiche dalla dubbia affidabilità; vantava inoltre una memoria a suo dire superiore a quella di Pico della Mirandola, tanto che si sarebbe fatto volentieri depositario delle opere di Platone e Aristotele, nello sfortunato caso che tutte fossero andate perdute. Il famigerato patto col diavolo, però, si sarebbe rivelato perlomeno inefficace: il dottor Faust morì infatti in miseria e oberato dai debiti. Pochi anni dopo, si diffuse la voce che il cadavere era stato ritrovato rivolto verso terra, prova che Mefistofele aveva esatto il suo pagamento. Il resto è storia.
Quest’anno il Faust torna all’Opera (di Firenze, non di Parigi), nell’edizione dello scozzese David McVicar (ripresa da Bruno Ravella), una coproduzione del Royal Opera House di Londra, Teatro Verdi di Trieste, Opera de Lille e Opera de Montecarlo. La direzione dell’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino è affidata a Juraj Valčuha, mentre il coro a Lorenzo Fratini. Per quanto riguarda le voci, il cast è uno solo, con Wookyung Kim (tenore) nel ruolo di Faust, Carmela Remigio (soprano) in quello di Margherita e Paul Gay (basso-baritono) come Mefistofele.
Repliche
Mar 24 gennaio, ore 20:00
Mar 31 gennaio, ore 20:00
Ven 3 febbraio, ore 20:00