Dopo il piercing, i tatuaggi, l’abbigliamento militare e i selfie, la nuova moda che sta spopolando tra i giovani fiorentini – e non solo- è il sushi.
Per primi sono comparsi dei timidi sushi bar, nei quali è possibile mangiare il piatto giapponese più conosciuto: il sushi appunto- che altro non è che riso farcito da pesce crudo ed alga. Per carità, non ce ne vogliano gli affezionati per la semplificazione estrema, ma non riusciamo a trovare parole migliori per descriverlo. La moda per il “giapponese”poi ha preso sempre più piede nella nostra città (ma non solo, visto che nella sola provincia di Milano se ne contano circa 400) tanto che, proprio in questi giorni, è stato aperto l’ennesimo sushi all you can eat, dove puoi mangiare quanto vuoi e pagare sempre la stessa cifra (bevande escluse).
Per avere un ampio bacino d’utenza gli imprenditori (solo in piccola parte veramente giapponesi) hanno dovuto offrire ai clienti una formula a basso prezzo, che varia in genere dai 10 ai 15 euro a pranzo e dai 20 ai 25 a cena. La domanda che molti si pongono è, a questo punto, come facciano a guadagnarci visto che la materia prima – il pesce crudo – deve essere rigorosamente fresco e di conseguenza costoso.
Se ci pensiamo un attimo gli all you can eat di solito propongono un menù molto ristretto per varietà di pesce e la proposta comprende in genere tonno, salmone, un pesce bianco (non sempre identificato), gamberi (tendenzialmente cotti) e poco altro. In un autentico ristorante giapponese invece se ne trova una gamma molto più vasta, e soprattutto anche di varietà più pregiata. Ovviamente a parità di quantità, costa molto di più acquistare 20 pesci ciascuno di specie diversa che acquistare 10 esemplari di due soli tipi. E’ questo il genere di economia che si fa negli all you can eat: una gamma molto ristretta, con una qualità “basica”(non si cerca l’eccellenza), che viene presentata in abbinamento ad altre pietanze che di solito prevedono una quantità notevole di riso o di pasta, cioè prodotti di basso prezzo e di alta resa, che riempiono facilmente. Chiaramente non stiamo qui aprendo una campagna diffamatoria nei confronti del sushi e della cucina giapponese; anzi, la consideriamo, tra le proposte straniere, una delle più soddisfacenti e di maggior resa, ovviamente a parità di qualità.
La cosa che forse non tutti sanno però è che in Europa vige una legge che prevede che il pesce, prima di essere servito, debba essere rigorosamente cotto o abbattuto con le giuste modalità. Tutto questo per proteggere e proteggerci dal pericoloso parassita Anisakis che può causare gravi problemi di salute. Nel 2015 i casi di avvelenamento da sushi nella sola Milano (considerata la capitale della cucina giapponese in Italia) sono stati 47 e nel 2016 se ne contano circa 60; questo non vuol dire diffidare di qualsiasi forma di pesce crudo ma bensì riuscire ad avere un occhio critico a riguardo e di non fare di tutta l’erba un fascio.
La ricerca, la selezione e l’utilizzo del pesce al “naturale” non interessa solo la cucina nipponica ma sta prendendo campo pure in molti ristoranti italiani che sempre più propongono pesce crudo. Quella del sushi però sta assumendo sempre più la fisionomia di una vera e propria moda e il rischio che vediamo è che la tendenza a proporre pesce crudo a basso prezzo non si sposi con la giusta ricerca della qualità e della sicurezza alimentare.
Ciò che ci sentiamo di suggerire quindi agli amanti del sushi e ai ristoratori, è di godersi il momento e fare in modo che questa, più che una moda, diventi una solida realtà nella ristorazione italiana. Ciò si potrà raggiungere solo attraverso un equilibrio tra prezzo e qualità.