“Un lampo un sogno un gioco; un incanto che non finisce mai: Gioachino Rossini, la vita, l’opera, il rapporto con Firenze.” Questo l’incontro organizzato dal nostro magazine per il centocinquantesimo anniversario della morte del musicista, svoltosi con la cortese ospitalità ed il patrocinio della Città Metropolitana di Firenze a Palazzo Medici –Riccardi (sala Luca Giordano) il giorno mercoledì 21Novembre alle ore 17:00. A coordinare gli interventi e la parte tecnica dell’evento Valentino Masetti, membro dello staff del Leomagazine. L’incontro comincia con l’intervento della professoressa Donatella Frilli, dirigente scolastico del Liceo Leonardo da Vinci, che pone l’accento sulcome sia importante, per giovani e non, essere informati al meglio sulla storiadi un grande artista come Rossini.
Interviene poi Domenico Del Nero,direttore responsabile LeoMagazine, critico musicale, in: Ritratto veloce di un compositore di qualità.
“Speranza, sogno, paura tutte emozioni che il maestro esprime e rappresenta perfettamente – inizia così l’intervento del professor Del Nero- Rossini è un musicista giovane che riesce a coinvolgere anche i ragazzi forse anche perchè comincia a scrivere alla tenerissima età di 14 anni. È con GuglielmoTell che si ha l’inizio del cosiddetto Silenzio Creativo e quindi il distacco dal genere operistico dovuto ad una serie di motivi che lo portarono a questo doloroso passo. Rossini produrrà in soli ventitré anni ben quaranta opere: ventisette serie e solamente tredici comiche; ciò nonostante la fama del musicista è a lungo dipesa soprattutto da queste ultime in particolare dal Barbiere di Siviglia, dalla Cenerentola e L’Italiana in Algeri .”
cIl professore aggiunge inoltre che Rossini incontrò e conobbe Beethoven, rimanendo profondamente colpito dalla miseria incui viveva il musicista tedesco; lo aiutò infatti con generosità e discrezione,così come fece con molti altri artisti: “Rossini amava l’arte in generale, non solo la sua, era dunque sempre pronto ad aiutare gli altri suoi colleghi e lo fece più volte nel corso degli anni. Rossini, sin dalle sue prime opere, curomoltissimo l’aspetto strumentale dei suoi lavori; Mozart e Haydn, che avevastudiato da ragazzo, nella prima parte della sua produzione, per finire poi conBeethoven. Questo era per certi aspettiun punto in comune con Wagner: orchestra e canto fondamentali all’interno diogni opera.” – aggiunge il professore che conclude con una frase riportatadello stesso Wagner : Di tutti imusicisti che ho incontrato a Parigi (e ne aveva incontrati veramente tanti), Rossini è il solo veramentegrande.
La parola passa poi al tenore Edoardo Ballerini con “note sulla vocalità rossiniana”.
“C’è una grande differenza tra voce e voce artistica – ci spiega e prosegue: La voce ha infatti tre caratteristiche principali: iltimbro, l’altezza e l’intensità che necessitano di un perfetto controllo, dimodo che venga così vinto il naturale istinto di “urlare” al posto di cantare. Il cantante deve saper gestire la sua vocalità anche in momenti di grande stress;vista poi la grandezza dei pezzi di Rossini, che era uno degli esponenti del belcanto (caratterizzato da un ‘elevato virtuosismo e difficoltà), è dunque necessaria una grande maestria da parte di chi canta per riuscire a trasmettere al meglio la bellezza della musica Rossiniana. “La voce è poi capricciosa e ha bisogno di attenzioni” ci dice il cantante “ a volte questa obbedisce subito ed altre di più attenzioni”. L’intervento si conclude con un concetto semplice, ma spesso trascurato: “Nella musica di Rossini come nella musica in generalenon si deve cantare per sentirsi bravi, ma per comunicare qualcosa a chi ascolta”.
Laparola passa a Michelangelo Rogai ,caporedattore del Leomagazine, con Vita e morte. Le tappe biografiche di Rossini a Firenze.
Riprendendo il discorso del Silenzio Creativo di Rossini già accennato dal professor Domenico Del Nero, Rogai aggiunge che il rifiuto da parte del musicista di comporre opere teatrali in musica dopo il Tell è dovuto in buona parte alla sua depressione, causata probabilmente dai ritmi di lavoro infernali della prima parte della sua vita. Un periodo lungo e tortuoso di disturbi di vario genere, che toccò la punta più alta proprio con la permanenza a Firenze (1848 – 1855) dove pure, insieme alla seconda moglie Olimpia Pelissier, fin da subito si trovò benissimo. Molte testimonianze sul suo soggiorno fiorentino però sono poco allegre ;Rossini era solito dopo lunghe passeggiate solitarie fermarsi per parlare dei suoi problemi e dolori con persone che conosceva poco e nulla, in contrasto con il carattere di norma riservato. Anche se da punto dal punto di vista creativo appare forse come il più povero, il periodo fiorentino rappresenta il presupposto della straordinaria fioritura del periodo parigino e inoltre Firenze ha sicuramente, a modo suo, alleviato i dolori e i problemi nervosi del Maestro. Rogai ricorda anche che Rossini fu circondato da molto amici influenti e ,quando la malattia e l’umore lo permettevano, riceveva amici della buona società come il principe Poniatowsky (ottimo baritono) o la contessa Orsini-Orloff, dama della corte granducale. Molte serate si tennero proprio nel palazzetto di via Cavour, dove talvolta capitava che lui stesso facesse musica e quando lo faceva le luci dovevano essere smorzate, di modo che se gli fosse capitato di piangere nessuno se ne accorgesse. Dopo la sua morte, scoppiò una contesa tra Firenze e Pesaro su quale delle due città dovesse riportare in Italia e ospitare la sua salma. Solo alcuni anni dopo la morte della moglie, il corpo fu sepolto a Firenze: nel maggio 1887, la salma arriva Firenze in Santa Croce. L’intervento si chiude con una citazione delle Onoranze fiorentine a Gioachino Rossini : “ Allorquando le ceneri stavano per entrare nel tempio di S. Croce, fu cantata da circa 500 voci l’Ariadel Mosè Dal tuo stellato sogliosotto la direzione dell’illustre ed oggi compianto Prof. Jefte Sbolci. Mai piùdivina melodia poteva accompagnare nel tempio di Dio le ceneri del Grande, chel’aveva creata. Quantunque l’esecuzione fosse in luogo aperto, pure il silenzioletteralmente di tomba che si fece nella piazza e nelle vie circostanti, ebbeil pregio di far sentire anche da lunge, come eco celeste, la sublime melodia,che strappò lacrime agli astanti, e fu ripetuta come suggello d’omaggio.” 1)
Segue poi l’intervento di Franco Manfriani , responsabiledella redazione del Maggio Musicale Fiorentino in: “ Il Maggio di Rossini, le prime tappe di una rinascita”.
“Perché dopo la morte di Rossini rimasero per un periodo nei repertori deiteatri solo tre opere (Barbiere Di Siviglia, Cenerentola e l’Italiana In Algeri) sulle 40 da lui composte?” Con questa domanda viene introdotto il dilemma della difficoltà dei testi rossiniani. “Con l’avvento del Romanticismo si erano andate infatti a modificare quelle che erano le basi del canto” – sottolinea Franco Manfriani – e non si trovavano più cantanti in grado di eseguire testi con le caratteristiche di quelli di Rossini”. Venivano purtroppo tagliate intere parti delle opere, riducendo inevitabilmente la Bellezza e la grandezza delle composizioni più complesse del Maestro. E proprio da Firenze, prima ancora che da Pesaro, è partita quella rinascita rossiniana che è oggi un fatto compiuto: “Rossini è stato una colonna portante nel repertorio del Maggio Fiorentino fin dagli albori del nostro teatro”, continua Manfriani, Vittorio Gui, Il primo direttore del Maggio Fiorentino, era infatti un grande appassionato dell’opera rossiniana e fin dal 1933 (anno della fondazione del Maggio musicale) introdusse molte produzioni dell’artista all’interno del repertorio del nostro teatro”. Franco Manfriani ha poi risposto a un’altra grande domanda e cioè: “ Perché Rossini lascia la composizione teatrale a soli trentasette anni?”. La risposta non si limita almotivo del cambio di regime in Francia già evidenziato dal professor del Nero, ma è da ricercare anche nell’affermazione del Romanticismo, movimento che al maestro non andava affatto a genio e che lo portò poi dopo un lungo processo interiore all’abbandono del teatro nel 1829, pur dopo aver dato con il Tell uno splendido esempio di opera “moderna”.
Niccolò Nigi, membro dello staff del Leomagazine. in: Cenerentola al Maggio; impressioni di una fiaba.
Nigi parte introducendo la Cenerentola ; un melodramma giocoso in 2 atti, che conclude la trilogia buffa di Rossini: Italiana in Algeri 1813, Barbiere di Siviglia 1816, e Cenerentola 1817.Quest’ultima si differenzia dalle precedenti perchè presenta musicalmente una caratterizzazione psicologica più approfondita della protagonista, da cui la regista Manu Lalli ha preso uno spunto fondamentale per l’ambientazione fiorentina. La regista, come ricorda Nigi, parte da un punto in cui sia Rossini che Jacopo Ferretti ( librettista) erano d’accordo: eliminare ogni caratteristica appartenente alla fiaba per dare una caratterizzazione realistica. Bisognava dunque far scomparire ogni elemento favolistico e trasformare Cenerentola in una brava ragazza, sentimentale ed ingenua, figlia di un nobile spietato balordo ed ambizioso, sorellastra di due borghesucce pettegole e boriose, sposa infine ad un principe intelligente ed umano. Passando all’aspetto musicale il relatore aggiunge che Cenerentola si caratterizza per una freschezza straordinaria con tratti più pensierosi e malinconici rispetto alla tradizione precedente. É come se quel clima fiabesco fosse recuperato grazie alla melodia e alla musica che rievoca sogni, speranze ed un clima festoso. La Cenerentola di Manu Lalli è la storia di una fanciulla chiusa nei suoi sogni, un mondo rappresentato dai libri che sono fonte di saggezza e libertà, ma che allo stesso tempo la confinano dentro una stanza chiusa. Questi libri secondo la regista sono un insegnamento della madre e ora ne rappresentano un ricordo. La situazione iniziale in cui la protagonista è “bullizzata” dalle sorellastre si ribalta e il suo “una volta c’era il re” la porta a salire davvero su un trono. Infine il sottotitolo dell’opera “la bontà in trionfo”: è molto raro che la bontà trionfi ma è l’essere capaci di sperarlo che può renderci capaci di andare in quella direzione.
L’incontro si conclude con l’intervento del musicista Cesare Valentini, che nonostante il recentissimo rientro da un viaggio di lavoro in America, ha accettato di intervenire a parlare della sua esperienza di compositore e del retaggio “rossiniano”:
“La tradizione è alla base della musica come è oggi” – così comincia il suo intervento Cesare Valentini – per quanto il tempo provochi cambiamenti nella musica di ogni tipo, i suoi archetipi sono stati disegnati e incisi nella cultura musicale dai compositori come Rossini . Se sono stato influenzato da lui? Forse dal quel brio, quell’ironia e quel gioco tipici della produzione rossiniana, in particolar modo in alcuni punti nella mia “commedia degli equivoci” intitolata L’audizione ”. E con la riproduzione della sinfonia dell’opera appena citata si conclude un incontro che ha ospitato giovani e non, esperti e novizi in memoria di uno dei più grandi artisti e musicisti dell’ottocento.
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