Ultimamente, abbiamo visto come troppi ambientalisti si siano sprecati in atti vandalici per chiedere alle istituzioni e alla gente di impegnarsi maggiormente nella tutela dell’ambiente. Una giusta causa come quest’ultima non può però giustificare qualsiasi modalità di protesta, altrimenti si cade nel paradosso di rincorrere ciecamente una causa giusta e importante calpestandone altre, anch’esse rilevanti. Tali atti vandalici sono inaccettabili e vanno sanzionati, senza perciò tacere il problema che vogliono mettere in luce: questo perché, se si parla di patrimonio artistico, oltre al danno che si fa al lucro di assetati imprenditori, che è difficile quanto auspicabile non trovare, gli stessi ricattatori, se così si possono chiamare, danneggiano sé e la collettività, compreso chi crede nell’ecologismo ma ama l’arte, non intende danneggiarla: l’arte del resto racchiude la nostra identità culturale, e forse anche umana, è qualcosa che di buono possiamo fare (quindi perché sopprimerlo per errori?); può pure servire a veicolare di per sé messaggi di rilievo sociale. Recente e eclatante caso di vandalismo è stato presso Palazzo Vecchio, emblema fiorentino, lo scorso 17 marzo, occasione in cui un passante e lo stesso sindaco fiorentino Nardella si sono adoperati a ripulire l’imbrattatura ad opera di due ambientalisti del gruppo Ultima Generazione, condannata dal Presidente della Regione Toscana Giani, dal Ministro della Cultura Sangiuliano, e persino dai turisti che hanno assistito all’atto vandalico. Insomma, l’insofferenza a tali gesti è condivisa. Fortunatamente, è stato possibile intervenire prima che i danni diventassero permanenti. La protesta nasce dalla bocciatura in Senato di emendamenti per limitare importi dannosi all’ambiente. Fa notare Sangiuliano come tali atti di protesta siano a scapito della stessa immagine del Paese, oltre che della collettività, per i costi che implica riparare i danni: si vogliono prendere misure restrittive che facciano capire quanto sia sbagliata tale modalità di protesta.

Al Leopold Museum di Vienna ciò sembra, quasi come in un’utopia, essere superato: qui quindici quadri di grandi artisti come Gustav Klimt, Egon Schiele, Gustave Courbet della presentazione permanente Vienna 1900. Dawn of Modernity, sono stati inclinati di tanti gradi quanti sono i gradi centigradi di cui, secondo degli studi, aumenterà a breve la temperatura nelle regioni rappresentate nei quadri, se non si fa abbastanza per contrastare l’impellente cambiamento climatico: un gesto che nella sua concretezza e visibilità vuole comunicare ai visitatori l’emergenza della problematica ambientale. I paesaggi splendidi, emozionanti rappresentati circa un secolo fa da pittori che li contemplavano e dipingevano, potrebbero diventare irriconoscibili, anonimi nella loro rovina generalizzata e assimilata a mille altri paesaggi devastati dal cambiamento climatico. Tra questi paesaggi c’è la regione dell’Attersee, i contrafforti alpini e la costa atlantica. Il museo ha voluto rivelare il proprio intento appendendo così stranamente i quadri solo dopo la diffusione della notizia: ciò doveva prima destabilizzare, poi essere spiegato, per essere meglio compreso. Proprio destabilizzando la notizia, il messaggio può farlo a sua volta. Spesso sentiamo dire che entro il 2030 la temperatura media del globo dovrebbe incrementare di circa 1,5°C, ma l’apparentemente piccola entità numerica ci spinge a sottovalutarla. Con la posizione dei quadri che turba l’osservatore si vuol far capire che anche il riscaldamento globale turba, peggiora drasticamente la vita di noi, in genere abituati all’agio. Affiancato a ciascun quadro storto, un testo di accompagnamento incoraggia a provvedimenti che possiamo assumere in contrasto a ciò, a livello quotidiano e istituzionale. Il problema nasce con la Seconda Rivoluzione Industriale in particolare, da quando cioè l’umanità in genere vede nell’ambiente una mera miniera di risorse da sfruttare senza scrupoli, alterandone l’equilibrio con modalità e ritmi di produzione inquinanti e esorbitanti, buoni solo a piegarsi alla sete di lucro imprenditoriale e alle richieste eccedenti di consumatori comodoni e assuefatti, avvertite poi come necessità. La scienza infatti, soprattutto dalla nascita dell’ambientalismo come mobilitazione di massa dalla seconda metà del XX secolo, riconosce l’importanza della campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul cambiamento climatico. Tra questi provvedimenti ricordiamo quelli presi in conferenze sul clima a livello internazionale: il Protocollo di Kyoto (1997), l’Accordo di Parigi (2015) con cui UE, Cina, Russia, Stati Uniti, Giappone e altri stati hanno fissato il massimo di incremento di 2°C della temperatura media rispetto a quella del 1990 entro il 2030. L’UE invece ambisce alla riduzione di emissioni nocive del 55% entro il 2030, per raggiungere nel 2050 la neutralità climatica (ossia un equilibrio sostenibile tra quantità di gas serra emessi e riassorbiti da uomo e ambiente). Oltre alle azioni globali, sono importanti quelle quotidiane, soprattutto per noi che viviamo talvolta nel sovrappiù consumistico e dannoso allo stesso ambiente. L’attenzione deve andare, nei limiti del possibile, al risparmio energetico, all’aumento dell’uso di fonti rinnovabili (sebbene sia ancora controverso, e purtroppo non sempre efficace o così sostenibile nella produzione di mezzi per attuarlo), di dispositivi a alta efficienza energetica (come le luci a LED), alla predilezione per riuso, mezzi pubblici, bicicletta e una dieta sostenibile senza sprechi, con tanto di frutta, verdura, legumi, cereali senza eccessi di carne … tutto ciò in contrasto al disboscamento, all’impiego di prodotti chimici inquinanti nei terreni, all’emissione di gas serra da parte delle industrie, che acuiscono l’effetto serra, tra i principali responsabili del cambiamento climatico a opera antropica, ancora arginabile, almeno in parte.

L’iniziativa del museo nasce dall’agenzia creativa Wien Nord Serviceplan e è stata possibile grazie alla collaborazione per reperimento di dati con CCCA (Climate Change Center Austria), gruppo di 12 scienziati che ricercano e si occupano di divulgazione scientifica circa le condizioni climatiche attuali, sotto vari punti di vista (meteorologico, sociologico…). La campagna di sensibilizzazione che le due istituzioni insieme portano avanti ha motto A Few Degrees More (Will Turn the World into an Uncomfortable Place), ossia Alcuni gradi in più (Trasformeranno il mondo in un posto scomodo). La mostra rimarrà fruibile fino al 26 giugno e proprio per la missione divulgativa e educativa di cui sono investite le quindici opere, sarà gratuita ogni domenica dalle ore 14 a 22 su prenotazione al sito leopoldmuseum.org.

Il direttore del museo Wipplinger, poiché dirige un’istituzione educativa e mediatica in cui sono conservati capolavori sintomi di una realtà, un pensiero vissuti da grandi artisti, a nome del Leopold Museum conferma il supporto alla ricerca sulle modalità per contrastare il cambiamento climatico, e auspica che anche in altri musei i visitatori fruiscano di riflessioni su urgenti questioni: le opere d’arte non si fanno solo portatrici di cultura, di bellezza e sentimento, ma sono anche in funzione di messaggi che devono arrivare chiari a tutti, per conseguire il bene comune. Ci possiamo convincere della bontà dell’iniziativa anche confrontandola con le modalità di protesta che, a partire dalla stessa, giusta, causa, hanno minacciato di lesionare opere d’arte; lo stesso Leopold Museum si era visto minacciato lo scorso novembre da un  gruppo di ambientalisti di Last Generation Austria, che avevano gettato un liquido nero oleoso sul vetro protettivo di Morte e vita (Gustav Klimt, 1915), e a cui uno si era incollato. L’opera non è stata danneggiata, ma se lo fosse stato? Avremmo perso un capolavoro. Il direttore ha sollecitato gli attivisti a trovare altre vie di protesta. Lui stesso ha trovato un modo migliore e più convincente di diffondere lo stesso messaggio; la strategia è acuta, in quanto a differenza dell’altra non dà un’immagine di protesta aggressiva e nociva e che, pur facendo scoop, rischia di degradare la portata del messaggio allo stesso livello dei gesti che lo vogliono veicolare. Nonostante a volte ci sembrino più efficaci gesti clamorosi per ottenere ciò che si desidera, a lungo andare è la diplomazia e la protesta inoffensiva a raccogliere consenso, a rassicurare e placare gli animi: sono le modalità diplomatiche e distese a conferire dignità, affidabilità e persino ascolto ai portavoce, anche se spesso nell’immediato sono i più rumorosi a avere successo. L’inciviltà alla fine stona e stanca tutti, non la civiltà.

Il membro del consiglio di CCCA Helga Kromp-Kolb sottolinea come la novità voglia avere comunicabilità in un contesto inaspettato, perché “l’ambiente” non diventi una questione discussa solo occasionalmente e poi un argomento da conversazione, di convenzione, da insopportabili moralisti saccenti, insopportabilmente catechizzante, dimenticato, ma qualcosa che penetra e ci accompagna nelle scelte di ogni giorno. Gli effetti del cambiamento climatico infatti si ripercuotono nel quotidiano (si sente parlare di effetti mostruosamente collegati tra loro, che si alimentano a vicenda, come riscaldamento globale, innalzamento del livello del mare e conseguente sommersione di Venezia e altre regioni della Terra, maggiore frequenza di calamità naturali come uragani, siccità, insufficienza alimentare, che hanno già costretto oltre 23 milioni di persone a abbandonare la propria terra …); tali fenomeni rischiano di inasprirsi se non ci adoperiamo abbastanza a contrastarli. Persino Vienna, fiera di annoverarsi tra le più vivibili città al mondo, diventerebbe meno vivibile con qualche grado in più.

Claudia Michl, responsabile dell’ufficio del CCCA, sottolinea invece quanto sia importante la collaborazione tra istituzioni culturali e di ricerca, in modo che le une possano mediare dati e concetti delle altre, altrimenti apparentemente insignificanti e noiosi, colpendo e spingendo la gente a intervenire in modo propositivo e convinto.

Non si possono supportare discorsi vuoti, convenzionali circa la disastrosa realtà, che permettono di farsi belli, distrarre l’attenzione da faccende magari losche e altrettanto problematiche, che permettono a tanti scioperanti di riunirsi per una giusta causa, ma anche magari di sfuggire ai propri onerosi noiosi impieghi quotidiani, per buttare all’aria tutto ciò che è intorno, per sfogare la propria rabbia accanendosi, persino contro l’arte. Esempio forse sciocco, ma forse anche eloquente, circa l’assurdità del vandalismo per ambientalismo, è il seguente: se una persona incontrata per strada avesse bisogno di cure, vessereste un medico a punto tale da ottenere le cure, ma anche da metterlo nelle condizioni di bisogno di assistenza, per l’eccessivo stress a cui l’avete sottoposto? Non sembrerebbe ingiusto, vergognoso e paradossale salvare una vita calpestandone un’altra? Come la premura verso la persona bisognosa è nobilitante, quanto scorretto il maltrattamento del medico, allo stesso modo l’attenzione verso l’ambiente è lodevole, quanto discutibile l’aggressione all’arte che tale cura sembra giustificare. Non è insomma sbagliato il tentativo di sensibilizzazione alle problematiche ambientali, ma può essere nocivo come lo si attua. Il Museo Leopold ha quindi cercato altre vie per riuscire comunque a dare un messaggio forte che rifletta la drastica enormità del problema ambientale, senza crearne altri di manutenzione artistica … nell’auspicio che tale strategia ne ispiri di prossime …

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