Per quanto si parli continuamente di risorse non rinnovabili e di quanto velocemente queste possano esaurirsi, molte persone continuano in maniera inconscia a pensare che esse siano infinite, ma non è affatto così: che ci piaccia o meno, le risorse prima o poi finiranno, compreso il petrolio.
Il petrolio, detto anche oro nero, è un liquido infiammabile, oleoso e denso, di colore che può andare dal nero al giallo bruno. La sua formazione risale a molti milioni di anni fa, quando gli organismi vegetali, come il plancton, si sono depositati sul fondale dei mari e sono stati ricoperti da strati di sabbia e argilla; anche il suo utilizzo avviene per le prime volte già nell’antichità per esempio per alimentare le lampade ma anche per scopi bellici, incendiando una miscela di petrolio cosparsa sulle frecce da usare contro il nemico.
Nonostante sia una risorsa molto efficace nella produzione di energia, dalla sua combustione vengono emesse tante sostanze inquinanti come ad esempio il monossido di carbonio (tossico per l’uomo), l’anidride carbonica (che aumenta l’effetto serra) o anche gli ossidi di zolfo i quali, a contatto con l’atmosfera, formano acido solforico (causa delle piogge acide), ma soprattutto la peggior forma di inquinamento è quella del petrolio riversato in mare: questo è in grado di distruggere interi ecosistemi particolarmente sensibili (barriere coralline, paludi salmastre, foreste di mangrovie) e provocare danni devastanti a diverse attività commerciali come la pesca e l’acquacoltura.
I dati che circolano sul mercato sono spesso contraddittori, ma sembra comunque condivisa la consapevolezza di aver ormai da tempo superato il picco di produzione di questo combustibile e di essere vicini al suo completo esaurimento.
Ma come si fa a stimare il “giorno zero” in cui non ci sarà più petrolio da sfruttare?
Esistono numerosi modelli che possono aiutarci a comprendere e analizzare come evolve una risorsa non rinnovabile nel tempo come ad esempio la teoria del Picco di Hubbert che rivoluzionò il modo di vedere l’economia. Questa teoria è stata proposta nel 1956 dal geofisico statunitense Marion King Hubbert per descrivere l’andamento di una risorsa non rinnovabile nel tempo, stimandone il punto di produzione massima oltre il quale la risorsa può soltanto che diminuire: questo punto è il cosiddetto picco di Hubbert.
Secondo lo statunitense avremmo dovuto raggiungere il picco intorno agli anni ’70: la produzione statunitense ha effettivamente raggiunto i 9,6 milioni di barili al giorno nel 1970, prima della diminuzione che è continuata fino al 2008; a quel punto però, invece che continuare a diminuire, questa ha iniziato a crescere costantemente grazie a nuove tecnologie nel campo dell’estrazione petrolifera che hanno permesso di raggiungere giacimenti ritenuti fino a poco tempo prima inaccessibili. Quello di Hubbert è quindi un modello un po’ troppo semplicistico perché non tiene in considerazione diversi parametri tra cui il progresso tecnologico che ha portato alla scoperta di nuovi pozzi da utilizzare.
Per effettuare il calcolo di quando il petrolio finirà definitivamente dobbiamo basarci su quanto petrolio c’è ancora sulla Terra e quanto petrolio consumiamo ogni anno: sommando le riserve private di tutti i Paesi del mondo si raggiunge un quantitativo stimato di circa 1600/1700 miliardi di barili. Consumando 100 milioni di barili al giorno, e quindi 36,5 miliardi di barili all’anno, dovremmo impiegare circa quarantacinque anni per consumarlo tutto: sulla base di questo calcolo semplificato, il petrolio dovrebbe terminare intorno al 2065.
Ovviamente la produzione subirà delle variazioni nel tempo, per cui non bisogna prendere questa data come assoluta ma piuttosto come una stima per avere un anno di riferimento; ad ogni modo parliamo di variazioni di dieci/vent’anni in più rispetto al 2065, ma non mille.
A molti può risultare ripetitivo e inutile elencare tutto ciò che l’uomo deve fare per evitare che la terra muoia definitivamente ma questo è l’unico modo per cercare davvero di prendere le redini in mano e attuare un vero cambiamento soprattutto nella mentalità umana.
Quali sono quindi le strade da dover percorrere?
Innanzitutto cercare di contenere il più possibile il consumo di risorse seguendo tutte le normative europee in materia di efficienza energetica. Ne segue dunque la costruzione di edifici sostenibili che siano non solo in grado di contenere i consumi e le emissioni di anidride carbonica ma che contribuiscano anche a fornire energia alle zone adiacenti. Tutto ciò dovrà essere accompagnato da un sempre maggior ricorso alle energie rinnovabili, che l’economista americano Jeremy Rifkin definisce l’unica alternativa possibile: a differenza di quelle fossili, le energie rinnovabili sono illimitate e ci vengono fornite direttamente dalla natura.
Il problema della fine del petrolio è solamente uno dei tanti problemi, e sicuramente non il più grave, che si dovranno affrontare a breve ma si spera che un piccolo aiuto da parte di tutti, una accresciuta coscienza civica ed una buona educazione alle generazioni future possano alleviare i danni che la terra sta subendo costantemente per colpa dell’uomo e riescano a creare delle condizioni di vita più sane.