Firenze, 1350: Giovanni Boccaccio viene incaricato dalla Compagnia di Orsanmichele di portare a suor Beatrice, figlia di Dante, nel monastero ravennate in cui abita, dieci fiorini d’oro come risarcimento per le ingiuste pene inflitte al padre dalla sua stessa città. 29 anni dopo la sua morte, i fiorentini (e non all’unanimità) si sono decisi a riconoscere i torti subiti dal Poeta, nonostante alcuni sprezzanti non riescano a perdonargli versi di accusa a illustri personaggi del tempo (tra cui papi) nel suo poema, avvertito come eretico e dissacrante. Boccaccio si sente onorato: entusiasta, senza badare alla rogna che mina la sua salute, parte per il lungo viaggio alla scoperta di Dante, suo impareggiabile maestro: ripercorrendo le tappe del suo esilio, quasi come in pellegrinaggio, incontra chi gli è stato vicino e gli può dire di più sulla sua vita, fino all’incontro finale con la figlia, la carne della sua carne, quello che più lo emoziona e insieme spaventa per paura di non essere da lei accolto. Del resto la figlia ha visto il padre nei suoi ultimi momenti continuare a illudersi di poter tornare un giorno nella città per cui provava un amore non ricambiato, vivere nell’indigenza dopo la distruzione del patrimonio apportatagli dai suoi concittadini nel fatale 1301, anno della sua ingiusta condanna. Sarà un viaggio alla scoperta anche di Boccaccio, dei suoi dolori e delle gioie le quali dice nascere dall’amore per la poetica dantesca, che difende strenuamente senza risparmiarsi, copiando e diffondendo la sua opera, scrivendo la prima biografia di Dante (Trattatello in laude di Dante, del 1355 circa). Come nota il regista è davvero difficile che un poeta faccia così tanto per un altro, data l’astiosa competitività che spesso avvelena il rapporto tra colleghi.

Questa in sintesi la trama del nuovo film di Pupi Avati, basato sul suo romanzo L’Alta Fantasia (2021, editore Solferino). Avati, maestro del cinema italiano prolifico e tenace, all’età di 83 anni presenta a testa alta Dante, film che arriverà il 29 settembre al cinema grazie alle case di produzione Rai Cinema, Duea Film e MG Production.

Le riprese sono iniziate il 28 giugno dell’anno scorso tra Umbria, Emilia Romagna e Lazio, dopo circa venti anni dalla prima stesura del soggetto! Già, Pupi Avati da tempo aveva in mente questo film in memoria di Dante come essere umano. Non sarebbe stato per lui, rivela in un’intervista, riportare il poema dantesco al cinema: a suo giudizio chi ci prova non può andare oltre le illustrazioni di Gustave Dorè (1832-1883), e tra l’altro non sarebbe nelle sue corde la realizzazione di un kolossal del genere.

Ma perché questa lunga gestazione? Il regista ha spiegato che i produttori di allora avevano accettato, ma cambiando le scrivanie, “di Dante non hanno più voluto sentir parlare”. Avati non si è però rassegnato: ha continuato a studiare, a scrivere su ciò che gli interessava, ed è con coraggio che riporta Dante Alighieri al cinema, soddisfatto del risultato raggiunto per la preziosa possibilità che ha sempre avuto e valorizzato più di incassi stratosferici: è riuscito a raccontarsi attraverso il suo lavoro, pubblico compiaciuto o meno, scarso o numeroso: il cineasta “controcorrente” ha infatti sempre preferito l’appagamento di fare qualcosa che ci piace e da cui ci si sente riamati a grandi entrate ottenute assecondando i gusti a dir poco rozzi di un grande pubblico. E la sua scelta di raccontare Dante ne è un’ulteriore dimostrazione: come osservato dal giornalista Aldo Cazzullo e dallo stesso regista, Dante spaventa, potrebbe ispirare un complesso di inferiorità o un fragoroso sbadiglio: ci vuole coraggio a proporlo senza parodia né caricatura, perché c’è timore che il pubblico rimanga snervato associando il film a una complicata, soporifera o peggio irritante lezione scolastica: un film per secchioni con carta e penna in mano … invece no! Certo, vedere il film può essere un’occasione per ampliare o rispolverare le proprie conoscenze sulla genesi della Commedia, su alcuni momenti importanti della vita di Dante e di Boccaccio, ma già dal romanzo vediamo di più: un ritratto del contesto culturale e sociale del tempo, privo delle comodità delle quali quasi tutti godiamo. Con fatiche che oggi in genere non conosciamo, in una realtà intrigante e avventurosa, persino pericolosa. Ritroviamo pure alcune costanti del nostro vivere nei personaggi: le passioni, i dolori, le delusioni e le illusioni che turbinano nella mente, i difetti che insieme ci distinguono e accomunano. Bisognerebbe quindi combattere il pregiudizio che vede insopportabile il vecchiume trecentesco, privo di contatto con il nostro mondo 2.0.  

Inoltre, il tocco di originalità e sensibilità dell’autore permette di provare una forte suggestione per gli scenari e i personaggi ben costruiti che emergono già dal romanzo. I curiosi troveranno di che sfamare la loro fame di conoscenza, i sognatori si faranno coinvolgere nell’intrigante (e in parte fantasiosa) atmosfera che Avati sa creare. Come questi dichiara, nel romanzo e di conseguenza nel film ci sono eventi storici (la stessa missione di Boccaccio da cui tutto parte), verosimili e immaginari. Tutto è nato dall’interesse di Pupi Avati per Boccaccio che si è inevitabilmente esteso a Dante, il sommo poeta che con una gratitudine rara quanto commovente il Certaldese salvò dal dimenticatoio.

Amore e morte, elementi chiave del vivere umano, sono poi temi non certo trascurati nella storia, anzi assumendo quasi ruoli principali: l’amore riconoscente di Boccaccio per Dante, quello puro e salvifico che Dante prova per Beatrice, creatura in cui il poeta riconosce la grazia divina, e quello per la sua città che cerca di salvare dal vortice di faziosità e incomunicabilità causa di dolore e perdite; le perdite sono comunque inevitabili, come le tante subite da Dante, che appena bambino perde la madre, da ragazzo l’amata Beatrice e Guido Cavalcanti, suo modello poetico e grande amico. Da questo dolore Dante attinge una più vasta conoscenza psichica che coronerà la grandiosa immaginazione e forza espressiva con cui compone la Divina Commedia, ritratto del mondo straordinario e trascendentale in cui crede ma anche delle fragilità e meraviglie umane di ogni tempo. Lo stesso vale per Boccaccio che, come ricordato nel romanzo, perde quattro dei cinque figli, con la peste del 1348 tanti suoi cari (tra cui il padre) e il benessere cittadino antecedente alla pandemia; da queste tragiche esperienze nasce il suo Decamerone.

Il cast che ha affrontato il difficile compito non solo di trasmettere al pubblico l’intensità del vissuto del Poeta e del suo ammiratore ma anche di calarsi nei panni di persone vissute più o meno sette secoli fa, vede Sergio Castellitto nei panni di Boccaccio, Alessandro Sperduti come Dante da giovane, Carlotta Gamba come Beatrice, Alessandro Haber come l’austero abate di Vallombrosa, Romano Reggiani come Guido Cavalcanti e altri ancora.

A chi risulta quindi abbastanza accattivante arricchire o rinfrescare la familiarità con la vita di due grandi della letteratura italiana (e, si potrebbe azzardare, mondiale) o immergersi nel racconto di un grande regista, non resta che aspettare l’uscita di questo film al cinema!

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