Nasce a Todi, in Umbria, nel 1947, e fin da piccola è in lei il fervore da scrittrice prematura. Innamorata dell’attrice americana Kim Novak, a sei anni scrive le prime poesie a lei dedicate. Dopo aver frequentato il liceo classico Jacopone da Todi, nel 1968 si reca a Roma a studiare e conseguire la laurea in filosofia. Nella capitale si butta inoltre nel mestiere di traduttrice : traduce Anfitrione di Molière, Sogno di una notte di mezza estate e altre opere di William Shakespeare. Il trasferimento a Roma segna però un’importante svolta nella sua vita soprattutto per averci conosciuto Elsa Morante (1912-1985), la sua “musa” che la ispirerà e influenzerà notevolmente nella sua produzione.

La sua prima raccolta di poesie (Le mie poesie non cambieranno il mondo, 1974, che nasce dall’amicizia tra le due) – come altre successive – è infatti dedicata a lei, la narratrice che si voleva far chiamare “Lo scrittore” e che si cimentò a scrivere il romanzo L’isola di Arturo proprio per la sua innata attrazione per il mondo maschile, di cui voleva far parte, immedesimandosi così nel giovane protagonista Arturo.

La Morante infondeva un certo timore reverenziale in Patrizia, che aveva paura di deluderla con i suoi scritti, di cui le rivelò l’esistenza solo dopo, quando la scrittrice le chiese apertamente cosa facesse oltre allo studio di filosofia.

Dopo aver letto dei suoi versi, quest’ultima la battezzò con le parole “Patrizia, sono felice: sei una poeta”, presentandola agli altri direttamente come “Patrizia, la Poesia”. L’epiteto ci può sembrare esagerato, ma non se visto come testimonianza di un affetto e di una grande stima della narratrice per Patrizia. Da allora lei ci tenne molto al suo soprannome La Poeta, intendendo poeta come nome senza genere.

Riflettendo sui modi in cui le due amiche prediligevano farsi chiamare, possiamo dire che sono nomignoli da ribelli femministe? Inappropriate sfacciataggini nella lingua italiana? Probabilmente c’era un fondo di “rivendicazione al femminile”, se così la si può definire, negli appellativi da loro scelti; tale rivendicazione, vista nella prospettiva degli anni di attività, vuole tuttavia arrivare all’affermazione della donna come individuo che ha diritto di realizzarsi quanto un uomo, senza darsi per questo arie di superiorità. Nella Poeta non c’è mai stato infatti un desiderio di etichettarsi come “donna che fa poesia”, come del resto rivela il suo stesso soprannome, bensì un desiderio di poetare indagando sul proprio sé e sulla condizione umana nelle svariate situazioni in cui essa si manifesta. Così Patrizia Cavalli attraversò con tanti altri successi, in parte senza la sua cara Morante, un passaggio controverso ancora oggi poco digerito: il passaggio dal XX al XXI secolo, portando comunque un messaggio che non smette di essere compreso.

Altre sue raccolte – sempre di successo – sono: Il cielo (1981), L’io singolare proprio mio (1992), Sempre aperto teatro (1999), La guardiana (2005), Pigre divinità e pigra sorte (2006), Datura (2013) e Vita Meravigliosa (2020). Possiamo dire quindi che è stata una poetessa prolifica, che grazie ai suoi lavori ottenne riconoscimenti anche importanti, come il premio Letterario Viareggio-Rapaci e il premio Dessì, oltre a conquistare un ampio pubblico entusiasta di lei.

Dall’inizio della sua carriera poetica venne infatti notata e apprezzata. Nel 1976 venne quindi inserita, insieme a altre sue colleghe, nell’antologia a cura di Biancamaria Frabotta Donne in poesia – Antologia della poesia femminile in Italia dal dopoguerra ad oggi.

Lasciò a quei tempi interviste in cui professava la sua grande ammirazione e attaccamento per Elsa Morante, dicendosi interessata al suo solo apprezzamento, e non di un vasto pubblico. Ironia, semplicità e argutezza psicologica segnano le poesie della poeta, influenzata dall’amica.

Tuttavia, nonostante le premesse, la poetessa è riuscita a parlare all’umanità in modo profondamente coinvolgente, senza escludere nessuno. Ai critici la poesia della donna non è mai sembrata un mero esercizio letterario, ma qualcosa di prezioso che viene offerto all’umanità per capirsi e ritrovarsi, curandosi l’anima. Ognuno di noi, di qualsiasi cultura, sesso, età, può ritrovare una parte di sé nei moti di ribellione o di amore constatati in ogni loro sfumatura, nelle fluttuazioni del nostro umore. Proprio i contrasti che si trovano nelle poesie  dal punto di vista tematico, dalle grandi questioni alle piccolezze quotidiane, sempre universali, rispecchiano la “contraddittorietà”, o meglio volubilità insita nella nostra natura, checché se ne voglia dire. A chi di noi non è mai capitato di cambiare idea su qualcosa, o di provare più sentimenti insieme, anche contrastanti, del resto? La sua grandezza, dicono gli esperti, sta nell’efficace fusione più o meno dissonante tra opposti, tra profondità e leggerezza, umorismo e drammaticità, rassegnazione e resistenza, finzione e schiettezza, vicinanza e assenza, desiderio e tradimento, istinto e razionalità, connubi non rari per noi. Descrisse l’amore (anche quello lesbico) in tutte le sue sfaccettature, ma come qualcosa che riguarda sempre tutti noi, in quanto umani.

 Il potere dei suoi versi sta inoltre nel fatto che sembravano osservare sottigliezze quasi puerili, semplici ma argute, che celano una complessità e uno studio, una profondità spirituale da cui pochi non rimangono colpiti.

Quando Patrizia, ottenuto un certo successo, iniziò a esibirsi in teatro o in sale da concerto per leggere le sue poesie, riempiva sempre i locali. Migliaia di persone venivano attratte dalla sua apparente noncuranza nelle rime che sembrano casuali, nella musicalità e nelle parole prive di enfasi retorica: il tutto sembrava “buttato là”, ma ne veniva perso magari meno del succo di pompose esposizioni. Le sue parole erano ripulite da ogni eccesso, riuscivano a estrapolare dal caos della natura umana sentimenti sinceri e magari difficili da cogliere quando si è dentro al vortice instabile della nostra esistenza; infatti fare poesia significava per lei prendere qualcosa e togliere il superfluo per farlo risplendere. La sua voce profonda (talvolta con accompagnamento musicale) creava inoltre un’atmosfera forse ancora più intensa e appassionante che la lettura silenziosa dei suoi versi. Ma la sua opera non si limita alla composizione poetica: Con passi giapponesi (2019) è una raccolta di prose che vinse il Premio Campiello del 2019; anche qui troviamo immagini potenti e stati d’animo notevolmente realistici. Ancora però il suo operato in ambito artistico non finisce qui: collaborò anche con le cantautrici Diana Tejera e Chiara Civello, rispettivamente per realizzare un libro e disco (Al cuore fa bene far le scale) e il brano di una canzone (E se).

Si spegne poi nella sua camera di un ospedale romano il 21 giugno a 75 anni, divorata da un cancro che combatteva da tanto tempo e che la consumava nella memoria, nella forza insomma fisica e mentale.

L’ultimo saluto si è tenuto in Campidoglio nella Sala Protomoteca a Roma, dove è stata allestita per la mattinata del 24 giugno la Camera Ardente.

Ma lei ha continuato a scrivere poesie anche gli ultimi anni della sua vita, fino a quando le cure (che la indebolivano molto) non le tolsero l’energia per proseguire.

Non sono mancate certo critiche alla sua opera, in particolare per lo stile più o meno rimasto invariato negli anni; ma se per alcuni tale sua “uniformità” stilistica è vista come ripetizione e mancanza di ispirazione, per molti altri è un’apprezzabile fedeltà a se stessa nello stillare un azzeccato ritratto dell’umanità, coerente con l’incoerenza appunto umana, ma mai piatto e monotono. 

Leggendo le poesie di Patrizia Cavalli, la sensazione più conclamata dai critici è di ritrovarsi in un’atmosfera intima e quotidiana, fatta di spontaneità, quasi come gli endecasillabi che lei componeva fossero “inevitabili come un respiro”, comedice il critico Gianluigi Simonetti nella sua recensione di Vita Meravigliosa (2020), ultima raccolta dell’autrice. Il critico fa notare come in effetti lo stile della poetessa non fosse cambiato di molto dagli esordi, nonostante nelle ultime poesie fosse più incombente il senso di morte. Nelle ultime interviste parlava infatti della malattia che affrontava e dell’avvicinarsi della morte, della paura che sentiva per questa meta sconosciuta in cui temeva di perdere il controllo di cui ha goduto in vita. Un’altra evoluzione che ha subito nel tempo il suo stile è l’accostamento alla vena epigrammatica di un andamento più prosastico nella poesia. Le espressioni sono costantemente semplici nella sua opera, ma grazie al talento artistico diventano qualcosa di significativo senza artificiosità né prepotenza. Usava metrica classica e parole usate nel quotidiano e preferiva, influenzata dalla Morante, il tono colloquiale e ironico, rimanendo indifferente alle mode letterarie di Neo orfismo e Neoavanguardia degli anni in cui iniziava a farsi strada come poetessa. Mediò dunque classicismo e modernità in poesia.

Di sicuro ha avuto come modelli grandi autori del secondo Novecento – oltre a Elsa Morante, principale fonte di ispirazione -, come l’ultimo Montale, Pasolini, Umberto Saba e Sandro Penna. Come loro infatti si avventurava in una nuova poesia che parla dell’esistenza e delle sue innumerevoli questioni, tuttavia riuscendo a creare qualcosa di originale e contraddistinto dal suo peculiare genio artistico.

Il suo stile è ricordato per la sintassi e il lessico ricalcato sul linguaggio familiare ripulito sfarzi linguistici, senza per questo mancare di efficacia. Anzi, forse proprio per questa scelta stilistica il senso dei versi arriva al pubblico in modo più diretto, andando dritto al punto senza ornamenti preziosi e sensibilmente studiati. Di sicuro le poesie della poeta non sono così casuali e semplici come appaiono, sono studiate certo per realizzare il loro intento, quello di trasmettere la contemplazione espressa con tautologie, contraddizioni, quella di chi si affaccia al tramonto della vita, talvolta di un amore, con amara mestizia, a volte con sorpresa, altre con consapevolezza.

Già il titolo della sua prima raccolta è all’insegna della modestia: Le mie poesie non cambieranno il mondo. Invece viene ricordata come una delle poetesse più apprezzate e importanti della letteratura italiana contemporanea, e non solo: le sue poesie sono state tradotte in varie lingue, celebrate per la loro eleganza e essenzialità, tuttavia impossibili, come tutte le altre, da rendere fedelmente in traduzione. Insomma comunque, un po’ i suoi componimenti hanno cambiato il mondo, nel loro potere di consolare o almeno di far riflettere.

La sua poesia è stata definita una cura per l’anima, proprio per l’acutezza con cui rappresenta una realtà comune a tutti, fatta di emozioni mutevoli e magari in contrasto. La sua poesia è perciò impareggiabile.

Abbiamo ai nostri tempi una certa diffidenza verso la poesia in generale, come se non potesse raccontare più nulla di noi, come se fosse per forza un modo intollerabilmente aulico di esprimersi, passato di moda, un campo inaridito dall’uso per romanticoni sfigati o sapientoni snob. Patrizia Cavalli, per quanto prima detto, è stata però tra i pochi poeti contemporanei che sono riusciti a rimuovere questo pregiudizio in chi legge le loro poesie. Grazie a lei un vasto pubblico è riuscito a superare questa gretta diffidenza verso il testo poetico.

La poeta rimarrà quindi immortale – vincendo con i suoi versi il duello con la morte di cui parlava rassegnata in poesia – se non verrà gettata nell’oblio (ingiusto) per una sciocca indifferenza, antitetica al successo che si è guadagnata in vita.

Come tutti i grandi che lasciano il segno della loro presenza grazie alla capacità di comunicarci cose che non scadono col tempo, meritatamente continueranno a risuonare le sue parole incisive, col necessario impegno da parte nostra nel tenerne vivo il ricordo.

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