«Cesare era di alta statura e ben formato, aveva una carnagione chiara, il viso pieno e gli occhi neri e vispi. Godeva di florida salute, ma negli ultimi tempi era solito rimanere vittima di svenimenti e incubi notturni; nell’esercizio delle sue funzioni, fu anche colto due volte da un attacco di epilessia. Nella cura del corpo fu alquanto meticoloso al punto che non solo si tagliava i capelli e si radeva con diligenza, ma addirittura si depilava, cosa che alcuni gli rimproveravano. Sopportava malissimo il difetto della calvizie per la quale spesso fu offeso e deriso, e per questo si era abituato a tirare giù dalla cima del capo i pochi capelli. Tra tutti gli onori che il popolo e il senato gli decretarono, infatti, non ne ricevette o abusò mai nessuno più volentieri che il diritto di portare sempre una corona di alloro. Dicono che fosse ricercato anche nel vestire: usava infatti un laticlavio frangiato fino alle mani e si cingeva sempre al di sopra di esso con una cintura assai lenta. […] Molti lo descrissero come estremamente desideroso di lusso ed eleganza.» ¹
Così Svetonio descrive uno dei più importanti uomini politici della storia. Svetonio considera Giulio Cesare come il vero e proprio iniziatore della lunga serie di imperatori che governarono Roma; ciò non è del tutto esatto perché Cesare non fu mai un princeps, il primo imperatore sarà suo nipote Ottaviano Augusto. Cesare è descritto da Svetonio con ammirazione e rispetto come la sua eccelsa figura merita:
«Nell’eloquenza o nell’arte militare eguagliò o superò i personaggi più insigni».²
Caio Giulio Cesare nacque il 12 luglio del 100 a.C. da una famiglia nobile ed illustre, ma non molto ricca di Roma, la gens Iulia. Cesare fu un condottiero abile e amato come pochi, soprattutto dai propri soldati, e come nessuno poté chiedere alle truppe di combattere con lui quando la vittoria sembrava improbabile data la differenza di forze militari, sempre di molto inferiori rispetto al nemico.
Dopo la morte di Silla nel 78 a.C iniziò la sua carriera politica, in opposizione agli Optimates, la classe patrizia, e divenendo un importante rappresentante dei Populares, le classi più basse; percorrendo tutte le tappe del cursus honorum: nel 68 fu questore; nel 65 edile; nel 63 pontefice massimo; nel 62 pretore; nel 61 propretore in Spagna; nel 60 forma il primo triumvirato insieme a Pompeo e Crasso e nel 59 divenne console. L’anno successivo intraprese la campagna militare che lo rese uno dei condottieri più importanti e vincenti della storia. Nel 58 a.C. intraprende la campagna militare in Gallia, terra abitata da popoli sempre ostili ai Romani e che rappresentavano una vera e propria minaccia per Roma. Dopo quasi 7 anni nel 52 a.C ritornò a Roma vittorioso e come ogni condottiero, che ha conquistato delle province, ottenne il titolo di “imperator”(non vuol dire imperatore, ma colui che detiene il potere militare).
Oltre ad essere stato un grandissimo comandante militare Cesare è stato un ottimo oratore ed un eccellente storico, infatti della sua produzione sono andate perdute orazioni, vari componimenti, un trattato sulla lingua e lo stile, ed un’opera polemica contro la memoria di Catone l’Uticense, però, fortunatamente, conserviamo i suoi due commentarii, cioè appunti e note di diario: I Commentarii de bello Gallico e i Commentari de bello civili. L’opera “De bello Gallico”, composta da sette libri, narra della guerra contro i Galli durata sette anni, dal 58 al 52. In quest’opera Cesare ci descrive sin dalla partenza da Roma tutte le vicissitudini di quella campagna militare, raccontandoci strategie, battaglie, luoghi conquistati ed usanze dei popoli sottomessi, ogni dettaglio è presente nella sua opera. Il “De bello Civili”, invece, è composto da tre libri e narra della guerra civile sfociata nel 49 tra lui e Pompeo: i primi due libri narrano le vicende del 49 e il terzo di quelle del 48. Si pensa sia stato scritto tra il 47 e il 46 e pubblicato dopo la sua morte, poiché l’opera risulta incompleta. Non rinuncia neanche a descrivere un quadro negativo di tutta la società romana: usa una satira sobria per svelare la corruzione e la meschinità dei suoi avversari e della classe dirigente. Cesare scrive sempre in terza persona per cercare di essere più oggettivo possibile ed anche quando si è arrivati allo scontro armato tra Cesare e Pompeo, lui non addossa tutta la colpa al nemico, come sarebbe prevedibile, ma anzi, riconosce che sono stati fatti errori da entrambe le parti, però ormai lo scontro è inevitabile, seppur abbia tentato in tutti i modi di evitarlo. Ma come si è arrivati a questo scontro?
Il triumvirato ormai non esisteva più, visto che Crasso era morto durante una campagna disastrosa contro i Parti nel 53 a.C., quindi i due uomini più potenti di Roma erano Cesare e Pompeo, quest’ultimo era sostenuto dal Senato e dalla classe abbiente romana. Dopo aspri dissensi con il Senato e dopo essere stato invitato ad entrare a Roma disarmato (sarebbe stato fatto subito fuori), Cesare varcò in armi il fiume Rubicone, con la celebre frase “Il dato è tratto”, che segnava il confine politico dell’Italia, sotto il quale non si poteva scendere con l’esercito; il Senato si strinse sempre di più attorno a Pompeo e, nel tentativo di difendere le istituzioni repubblicane, decise di dichiarare guerra a Cesare; ma appena arrivò a Roma i senatori, compreso Pompeo, scapparono. Dopo alterne vicende, i due contendenti si affrontarono a Farsalo, in Grecia, nel 48 d.C., dove Cesare sconfisse irreparabilmente il rivale. Pompeo cercò quindi rifugio in Egitto, ma lì fu ucciso a tradimento dal re Tolomeo XIII. Anche Cesare si recò in Egitto, dove fece uccidere il re stesso per tradimento, visto che Cesare avrebbe voluto far fuori Pompeo sul campo di battaglia. Salì al trono Cleopatra, con la quale Cesare ebbe una relazione ed anche un figlio. Cesare riprese la guerra contro i pompeiani e sconfisse il re del Ponto Farnace II a Zela nel 47. Partì dunque per l’Africa, dove i pompeiani si erano riorganizzati sotto il comando di Catone l’Uticense e li sconfisse a Tapso nel 46. I superstiti trovarono rifugio in Spagna, dove Cesare li raggiunse e li sconfisse, questa volta definitivamente, a Munda nel 45 a.C.
Nello stesso anno si garantiva un erede adottando come nipote Ottaviano e nel 44 a.C. si fece leggere dittatore a vita divenendo il più potente tra i Romani. Una volta acquisito il potere assoluto iniziò a trasformare le istituzioni statali in senso monarchico perché era convinto che Roma non potesse più essere governata come una Repubblica e che l’ordine potesse essere mantenuto solo da una forte personalità. Cesare durante il suo governo assegnò terre agli agricoltori e ai soldati, inserì nel Senato membri fedeli, riformò il calendario, estese il numero dei cittadini romani dando più diritti a tutti, promosse opere pubbliche, rafforzò i confini e creò nuove colonie. Il suo governo fu caratterizzato da una grande clementia, ovvero non fece fuori i suoi rivali, ma al contrario li lasciò in vita, errore che gli costerà caro.
Infatti l’opposizione a Giulio Cesare degli aristocratici e del Senato non era ancora spenta. Il 15 marzo del 44 a.C., Il giorno delle Idi di Marzo secondo il calendario romano, trovò compimento la congiura organizzata da sessanta senatori contrari al potere personale di Cesare, che si consideravano custodi e difensori della tradizione repubblicana e che erano guidati da Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio. Sempre secondo Svetonio fu in quell’occasione che Cesare, vedendosi colpito anche da Bruto, pronunciò l’ultima ferale frase rivolta al suo ex-pupillo: «tu quoque Brute fili mi!». I cesaricidi gli tesero un agguato meschino nel foro, proprio sotto alla statua di Pompeo, e lo uccisero con 23 coltellate.
Con l’assassinio di Giulio Cesare la Repubblica non venne salvata e la sensazione di aver combinato un disastro si ebbe subito, anche da parte dei repubblicani più fedeli, infatti successivamente sorgeranno nuovi conflitti e nuove guerre civili. Le Idi di Marzo avevano messo in evidenza la crisi dei valori del Senato e non potevano cancellare l’eredità lasciata da Giulio Cesare: l’idea di uno stato guidato da una forte personalità che spianò la strada all’ascesa di Ottaviano e alla nascita dell’impero.
Le Idi di marzo sono una data importante dell’antico calendario romano. La data è diventata storicamente celebre perché avvenne l’uccisione di Giulio Cesare. L’episodio segnò un punto di svolta così importante che il giorno dell’assassinio diventò celebre quanto lo stesso condottiero romano.
In generale, il termine “Idi” veniva usato per indicare i giorni a metà mese del calendario romano. Infatti, secondo il calendario giuliano, i giorni del mese non erano numerati progressivamente, ma erano indicati sulla base di tre date fisse per ciascun mese. Il primo giorno del mese erano le calende, poi veniva “il giorno dopo le calende”, e poi si iniziavano a contare i giorni che mancavano prima delle altre due festività mensili: le none (il quinto o il settimo giorno del mese) e le Idi (che indicavano circa la metà del mese). L’importante riforma del calendario venne fatta proprio da Giulio Cesare e entrò in vigore nel 45 a.C. Questo calendario, detto giuliano, era di 365 giorni e prevedeva gli anni bisestili. Venne sostituito solo nel 1582 con una riforma di papa Gregorio XIII, che ha dato vita al calendario gregoriano, quello che usiamo ancora oggi.
L’uccisione di Cesare non servì ad arrestare la fine della repubblica e innescò, anzi, una serie di eventi che portarono all’emergere di Ottaviano, figlio adottivo ed erede di Cesare, che pose fine al regime oligarchico e instaurò il principato. Giulio Cesare fu assassinato a Torre Argentina nella parte inferiore, in quella che allora era la Curia di Pompeo.
La morte di Cesare sconvolse il mondo romano ma non frenò la fine della Repubblica, ormai in piena crisi. La figura dell’uomo forte al comando venne ripresa dai due successori del condottiero che si contesero il potere, Marco Antonio e Ottaviano, e quando quest’ultimo prevalse, cominciò la lunga e gloriosa fase imperiale.
Cesare era un genio, non solo militare, infatti egli stava progettando una campagna in Asia, che avrebbe portato Roma alla sua massima espansione ed avrebbe spostato l’asse dell’impero dall’Italia all’Egitto, più precisamente ad Alessandria, creando così qualcosa di incredibile; purtroppo, però, non sapremo mai cosa sarebbe potuto succedere se Cesare fosse rimasto in vita…
- Svetonio, De vita Caesarum, 45-46
- Svetonio, De vita Caesarum, 55