Più di 16500 italiani uccisi, uomini, donne, bambini, tutti colpevoli solo di essere italiani.
L’anno passato, in occasione del Giorno del ricordo dedicato alle vittime delle foibe, il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella si rivolse così alla nazione dall’Aula dei gruppi parlamentari a Montecitorio: “Le sofferenze, i lutti, lo sradicamento, l’esodo a cui furono costrette decine di migliaia di famiglie nelle aree del confine orientale, dell’Istria, di Fiume, delle coste dalmate sono iscritti con segno indelebile nella storia della tragedia della Seconda Guerra Mondiale e delle sue conseguenze.” disse il capo dello stato ricordando le migliaia di vittime “Tanto sangue innocente bagnò quelle terre. L’orrore delle foibe colpisce le nostre coscienze.”.
Il Presidente si rivolse anche a tutti i familiari e a tutti i discendenti dei moltissimi esuli italiani che dovettero fuggire alla ricerca di sicurezza, talvolta persino in Nord e Sud America:
“Nel Giorno del Ricordo, che la Repubblica ha voluto istituire, desidero anzitutto rinnovare ai familiari delle vittime, ai sopravvissuti, agli esuli e ai loro discendenti il senso forte della solidarietà e della fraternità di tutti gli italiani. I crimini contro l’umanità scatenati in quel conflitto non si esaurirono con la liberazione dal nazifascismo, ma proseguirono nella persecuzione e nelle violenze, perpetrate da un altro regime autoritario, quello comunista.” “Prezioso è stato il contributo delle associazioni degli esuli per riportare alla luce vicende storiche oscurate o dimenticate, e contribuire così a quella ricostruzione della memoria che resta condizione per affermare pienamente i valori di libertà, democrazia, pace.” un silenzio, quello che ricorda il Presidente, durato più di 60 anni. Infatti fu solo con la legge Menia, pubblicata il 13 Aprile 2004, che la Repubblica Italiana riconobbe il 10 Febbraio come “Giorno del ricordo”.
Questo massacro ai danni dei cittadini italiani lungo il confine tra Jugoslavia e Italia iniziò l’8 Settembre 1943, dopo l’armistizio, con una prima ondata di violenza compiuta dai partigiani jugoslavi guidati da Josip Broz, chiamato “Tito”, che vollero vendicarsi dei fascisti presenti in Istria e Dalmazia. Tra la popolazione italiana però non erano presenti solo fascisti, ma per i partigiani di Tito non fece molta differenza. Uomini, donne, bambini ed anziani del tutto innocenti vennero uccisi in una maniera brutale. Le esecuzioni venivano svolte presso delle voragini naturali (appunto le foibe da cui prende il nome l’accaduto), tipiche della morfologia del luogo. I condannati (o sarebbe meglio dire “vittime del massacro”) venivano messe in fila sul ciglio del precipizio e poi legate insieme con del filo spinato, poi veniva aperto il fuoco sui primi tre o quattro di loro che, gravemente feriti ma ancora vivi, cadevano nel baratro (che poteva essere profondo anche un centinaio di metri) trascinando con loro tutti gli altri, che erano destinati ad una lenta agonia che portava alla morte dopo giorni, intrappolati sul fondo della foiba in mezzo ai cadaveri. Non dobbiamo dimenticare però che le foibe non furono il solo modo con cui i soldati di Tito agirono, moltissimi italiani vennero deportati in campi di concentramento jugoslavi, dove non ricevettero un trattamento migliore.
L’avanzata di Tito si arrestò all’incontro con le truppe alleate che provenivano dal Sud Italia, ma anche dopo questo evento i massacri non si placarono e, tra il Maggio e il Giugno del 1945, altre migliaia di italiani vennero uccisi o costretti a fuggire.
Riguardo a tali eventi l’opinione pubblica è divisa, ma come ci ricorda il Presidente della Repubblica in un suo discorso del 2020: “Esistono ancora piccole sacche di deprecabile negazionismo militante. Ma oggi il vero avversario da battere, più forte e più insidioso, è quello dell’indifferenza, del disinteresse, della noncuranza, che si nutrono spesso della mancata conoscenza della storia e dei suoi eventi. Questi ci insegnano che l’odio, la vendetta, la discriminazione, a qualunque titolo esercitati, germinano solo altro odio e violenza.”
La storia, anche nei suoi capitoli più bui, va ricordata e non va dimenticata. Le foibe sono un massacro che va oltre il limite dell’ideologia politica, sono un crimine di guerra ed un crimine contro l’umanità.
Per ricordare le vittime di quegli avvenimenti quest’anno, nel comune di Vigarao Mainarda, in occasione del Giorno del ricordo, il parco di Borgo verrà rinominato “Giardino Martiri delle foibe”.
Anche quest’anno il Presidente della repubblica Sergio Mattarella ha tenuto il suo discorso:
“Il Giorno del Ricordo richiama la Repubblica al raccoglimento e alla solidarietà con i familiari e i discendenti di quanti vennero uccisi con crudeltà e gettati nelle foibe, degli italiani strappati alle loro case e costretti all’esodo, di tutti coloro che al confine orientale dovettero pagare i costi umani più alti agli orrori della Seconda guerra mondiale e al suo prolungamento nella persecuzione, nel nazionalismo violento, nel totalitarismo oppressivo.
È un impegno di civiltà conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli istriani, dei fiumani, dei dalmati e degli altri italiani che avevano radici in quelle terre, così ricche di cultura e storia e così macchiate di sangue innocente. I sopravvissuti e gli esuli, insieme alle loro famiglie, hanno tardato a veder riconosciuta la verità delle loro sofferenze. Una ferita che si è aggiunta alle altre.
La sciagurata guerra voluta dal fascismo e l’occupazione nazista furono seguite, per questi italiani, da ostilità, repressione, terrore, esecuzioni sommarie aggravando l’orribile succedersi di crimini contro l’umanità di cui è testimone il Novecento. Crimini che le genti e le terre del confine orientale hanno vissuto con drammatica intensità, generando scie di risentimento e incomprensione che a lungo hanno segnato le relazioni tra popoli vicini.“
“L’Europa – ha poi continuato il Presidente – nata dalla pace e il dialogo ravvivato dall’affermazione delle democrazie hanno aperto e sviluppato una strada nuova. Queste memorie hanno guadagnato rispetto, dignità, ascolto. Sono storia vissuta, monito e responsabilità per il futuro.
Il ricordo, anche il più doloroso, anche quello che trae origine dal male, può diventare seme di pace e di crescita civile. Questo è l’impegno di cui negli ultimi anni il nostro Paese si è reso protagonista insieme alla Slovenia e alla Croazia per fare delle zone di confine una terra di incontro e prosperità, di collaborazione, di speranza. La scelta di Gorizia e Nova Gorica, che saranno congiuntamente Capitale della Cultura europea 2025, dimostra quanto importante sia per l’intera Unione che la memoria delle oppressioni disumane del passato sia divenuta ora strada dell’amicizia, della comprensione, del primato della dignità delle persone, nel rispetto delle diversità e dei diritti”