Il 27 gennaio 1922 morì uno degli scrittori più importante del patrimonio culturale italiano e mondiale: Giovanni Verga.

In occasione del centesimo anniversario si è aperto un anno di celebrazioni per omaggiare lo scrittore siciliano, considerato il caposcuola e il più autorevole della corrente letteraria del Verismo.

Verga è nato a Vizzini (presso Catania) nel 1840 da una famiglia aristocratica e la sua attività letteraria, che va dai romanzi alle opere teatrali, passando per le novelle, ha influenzato numerosi campi della letteratura, delle arti e del cinema, in particolare il neorealismo che ha reso celebre il cinema italiano nel mondo.

Egli, partendo dalle basi del Naturalismo francese di Emile Zola, sviluppò l’idea di una tecnica narrativa capace di essere impersonale, in modo che l’opera risultasse tale da “aver maturato ed esser sorta spontanea come un fatto naturale, senza serbare alcun punto di contatto col suo autore”, come scrisse in uno dei più celebri “manifesti” del Verismo, la prefazione alla novella L’amante di Gramigna.  

L’idea teorica di Verga dunque era quella di un’opera priva di un giudizio esterno esercitato da un’interpretazione soggettiva dei fenomeni. Per questo la maggior parte della critica ha sempre parlato, a proposito dello scrittore siciliano, di materialismo, pessimismo e ateismo. Ma Verga era realmente così?

Una parte della critica ha iniziato a pensarla diversamente, affermando che nelle opere verghiane una totale oggettività non sia effettivamente raggiunta. Giacomo Debenedetti, uno dei critici ad essere andato controcorrente, affermava che Verga «fu creduto e si credette verista, sebbene i suoi risultati più alti siano al di fuori e al di sopra, non solo dei canoni, ma delle previsioni del naturalismo». Questo perché a una lettura più attenta dello scrittore siciliano, ad esempio nella novella Rosso Malpelo o nel suo capolavoro “I Malavoglia”, emergono quei valori umani, che valorizzano ancora di più l’opera di Verga, sebbene lo stesso scrittore affermasse di voler ricercare una totale impersonalità. Anche un altro studioso di Verga, il professore Giuseppe Savoca, nel suo volume “Verga cristiano. Dal privato al vero”, ritrae il massimo esponente “verista” in modo del tutto nuovo, più umano, più cristiano. Il senso del peccato e la caducità dell’esistenza umana, che apre a un “aldilà” che la trascenda, sono sicuramente due elementi che dimostrano una religiosità di Verga, nonostante egli stesso si dichiarasse apertamente scettico…

In occasione del Centenario della morte di questo straordinario autore è stata promossa un’iniziativa, prodotta dalla Dreamworld Pictures e da Festival Verghiano, sotto la Direzione Artistica del regista Lorenzo Muscoso, originario di Vizzini -come l’autore – che porterà in auge l’universo verghiano attraverso una serie di attività articolate tra spettacoli teatrali, musicali, rassegne filmiche, itinerari con FAI , incontri culturali che si realizzeranno lungo il 2022 e che continueranno anche per il 2023.

Lo scorso 27 gennaio si è svolta la Cerimonia di presentazione della Manifestazione Ufficiale, culminata con l’assegnazione del Premio Verga al Maestro Placido Domingo, straordinario interprete di Turiddu nel film-opera “Cavalleria rusticana” di Franco Zeffirelli, che riprende l’opera, nata dalla sceneggiatura fatta dallo stesso Verga di una sua novella, che fu musicata da Pietro Mascagni.

Inoltre, è stata costituita una rete culturale che riunisce Città, Enti e Università italiane ed europee: Palermo, Vizzini, Catania, Ragusa, Matera, Roma e soprattutto Milano, dove Verga si trasferì dal 1872 e venne in contatto con gli ambienti della Scapigliatura, frequentati dall’amico conterraneo Luigi Capuana, da Arrigo Boito, Emilio Praga, Giuseppe Giacosa e Luigi Gualdo. Tra le città è presente anche Parigi, che appartiene al trascorso di Giovanni Verga sia nei legami con Emile Zola sia come luogo del suo esordio teatrale fuori dai confini nazionali.

E Firenze?

Anche Firenze svolse un ruolo fondamentale per la formazione del pensiero e dell’opera di Verga. Egli soggiornò nel capoluogo toscano per la prima volta nel gennaio 1865, quando la città era già stata proclamata nuova capitale del neonato Regno d’Italia. La novità e la ricerca di solidi agganci per la propria carriera letteraria spinsero lo scrittore a rimanere per circa 4 mesi a Firenze- definita da Verga in una sua lettera “centro dell’intellettualismo, qui si vive un’altra atmosfera” – probabilmente fino al 14 maggio, giorno in cui si svolsero le celebrazioni per il 500° anniversario della nascita di Dante Alighieri con la posa della statua in marmo in piazza Santa Croce. In questi mesi Verga frequentò vari circoli letterari, tra cui il Gabinetto Vieusseux.

Nel 1869 Giovanni lasciò nuovamente la sua Sicilia per trasferirsi definitivamente a Firenze. Nella città frequentava i salotti di Ludmilla Assing, intellettuale berlinese, e delle signore Shwanzberg, madre e figlia, entrambe pittrici tedesche. Inoltre era solito frequentare il caffè Doney e il caffè Michelangiolo, luogo di ritrovo dei pittori Macchiaioli, e assistere agli spettacoli del teatro Pagliano (oggi Verdi) e del Teatro alla Pergola.

Il salotto più frequentato però era quello di Francesco Dall’Ongaro, esule trevigiano e critico letterario, della cui ospitalità godevano Luigi Capuana, i poeti Prati e l’Aleardi, i fratelli Michele e Mario Rapisardi, Emma Fuà Fusinato, Imbriani…

Proprio lì conobbe Giselda Fojanesi, figlia di un proprietario terriero della Valdichiana; Giovanni si invaghì di lei e si offrì di accompagnarla a Catania, dove la donna aveva ottenuto un incarico presso il convitto nazionale. Durante il viaggio con la nave verso Catania tra i due nacque una relazione clandestina, la cui narrazione divenne una delle Novelle Rusticane dal titolo “Di là del mare”. Verga, tornato a Firenze, intrattenne con lei un fitto rapporto epistolare, che fu d’aiuto allo scrittore nella stesura di “Storia d’una Capinera”. Tuttavia la loro storia d’amore s’interruppe in quanto il poeta Mario Rapisardi, amico di Verga, innamoratosi di Giselda si dichiarò platealmente causandole imbarazzo e disonore; avendo perso il posto di lavoro per questa ragione, Giselda fu costretta a sposarlo.

Giovanni rinunciò al suo amore, ma, trasferitosi nel frattempo a Milano, continuò lo scambio di epistole con la donna amata. Proprio una lettera scoperta dal Rapisardi nel 1883 causò la loro separazione. Giselda e Verga ricominciarono a frequentarsi, ma anche la loro relazione naufragò…

“Il cuore si stanca anche lui, vedi; e se ne va a pezzo a pezzo, come le robe vecchie si disfanno nel bucato.”

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