I Giochi Olimpici rappresentano la più alta manifestazione dello spirito sportivo che si basa su rispetto, lealtà e passione. Parteciparvi è il sogno di ogni atleta.
La prestazione che gli appassionati vedono alla televisione è il risultato di anni di dedizione, fatica e sofferenza. Nulla viene per caso. Prendere parte alle Olimpiadi è un grande onore perché significa rappresentare il proprio paese.
Purtroppo però questo clima di fratellanza e solidarietà viene spesso spezzato dall’ideologia del successo che spinge gli atleti a compiere scelte estreme, come assumere sostanze dopanti. La pressione degli sponsor, il desiderio di vittoria e la paura di fallire portano spesso a percorrere strade all’apparenza più facili, ma la storia insegna come siano in realtà le più pericolose.
Il doping consiste nell’assunzione di una sostanza, non a scopo medico, per migliorare le prestazioni sportive sia sotto l’aspetto fisico che quello mentale. Si tratta di uno dei principali rivali dello spirito sportivo e rischia di terminare la carriera dell’atleta che viene scoperto.
L’origine del termine doping è incerta. Secondo alcuni deriva dalla parola “doop” che in fiammingo significa “mistura” ma che indica anche una bevanda alcolica usata come stimolante nelle tribù sudafricane del XVIII secolo.
Il doping non è un problema recente ma affonda le sue radici nella Grecia classica. Gli atleti, alla ricerca della fama conseguente alla vittoria, assumevano infusi a base di erbe o funghi per migliorare massa muscolare e resistenza. Il fenomeno non riguardava solo gli uomini, anche i cavalli che trainavano i carri da corsa venivano dopati per favorire il divertimento del pubblico. Coloro che venivano scoperti erano esclusi dai Giochi e talvolta giustiziati.
Con l’inizio delle Olimpiadi moderne (1896) è ripreso l’uso delle sostanze dopanti. Nei Giochi di St.Louis del 1904, lo statunitense Thomas Hicks trionfò nella maratona dopo che il suo allenatore gli aveva somministrato iniezioni del solfato di stricnina (uno stimolante). Si tratta del primo caso di doping dei Giochi moderni. Hicks non venne squalificato data la mancanza di controlli antidoping.
Tra gli anni cinquanta e gli anni ottanta i paesi dell’Europa orientale (Germania dell’est e Romania tra tutti) hanno conseguito numerose vittorie con atleti dopati. In quegli anni lo sport aveva assunto molta importanza e i successi olimpici dimostravano la grandezza del paese e del suo sistema politico. Per fronteggiare la potenza orientale anche i paesi occidentali iniziarono a investire sul miglioramento delle prestazioni sportive. La conoscenza degli effetti delle sostanze dopanti era ancora scarsa, si sapeva solo che erano in grado di ottimizzare le prestazioni atletiche. Negli anni successivi diversi atleti hanno subito gli effetti collaterali dell’assunzione di tali sostanze.
Celebre è il caso di Andreas Krieger, pesista e discobolo della Germania dell’est che fino al 1997 era una donna, Heidi Krieger. Durante la carriera le furono somministrate numerose sostanze dopanti come l’Oral-Turinabol, uno steroide. Dopo la caduta del muro di Berlino vengono scoperti vari documenti sugli atleti dell’est e si viene a sapere che nel 1986 Krieger assunse 2590 milligrammi di steroidi. Tali sostanze le diedero problemi di salute e modificarono il suo corpo tanto da costringerla, nel 1997, a sottoporsi a un intervento chirurgico per cambiare sesso. Il suo nome è legato a un premio che viene assegnato annualmente in Germania a chi si batte contro il doping.
Nel 1960 i Giochi Olimpici si tengono a Roma. Il 26 luglio è una giornata molto calda e durante la 100 chilometri ciclistica a squadre, Knud Enemark Jensen, atleta danese, perde l’equilibrio e cade fratturandosi il cranio. Tre ore dopo viene dichiarato morto. L’autopsia sul corpo smentisce l’ipotesi di un malore dovuto al caldo ma sancisce che il ciclista danese aveva fatto uso di sostanze dopanti. Nei giorni successivi l’allenatore della squadra ciclistica danese Jørgensen dichiarò che i suoi atleti avevano assunto una sostanza per aumentare la resistenza. La versione viene sostenuta anche dalla Federciclismo danese. La morte del ciclista portò il CIO (Comitato Olimpico Internazionale) a istituire una commissione medica e a iniziare i controlli antidoping nelle edizioni successive. Il primo atleta fermato per doping fu il pentatleta svedese Hans Lil Jenwall ai Giochi di Città del Messico del 1968 a causa di un tasso alcolico troppo alto.
Uno dei casi più famosi riguardanti il doping è sicuramente quello di Ben Johnson, velocista americano. Nella finale dei 100 metri dei Giochi di Seul 1988, Johnson sconfisse il rivale Carl Lewis stabilendo il nuovo record del mondo (9.67 secondi). La gioia durò però ben poco, nei campioni di urina di Johnson viene rilevata la presenza di stanozololo e viene squalificato. Il velocista ammise poi di aver usato sostanze dopanti anche in occasione dei Campionati Mondiali del 1987, quando realizzò il record mondiale. Johnson fu così costretto a rinunciare ai suoi record e alle sue medaglie. Tornò a gareggiare nel 1991 fino a quando venne ritrovato ancora positivo in una gara a Montréal e squalificato a vita.
La lotta contro il doping è uno degli argomenti più discussi nel mondo dello sport. L’art. 5 della Carta europea dello sport per tutti sancisce: “Devono essere adottate misure per salvaguardare lo sport e gli sportivi da ogni sfruttamento a fini politici, commerciali e finanziari, e da pratiche avvilenti e abusive come l’uso delle droghe“
Il 10 novembre 1999 è stata creata la WADA, l’Agenzia mondiale antidoping. Il suo ruolo è quello di combattere il doping in tutte le sue forme.
Caso Russia: il doping di stato
Vedendo le Olimpiadi di Tokyo in molti si sono chiesti perché i campioni russi partecipano con un’altra bandiera e un altro nome. Gli oltre 300 atleti russi gareggiano sotto il nome e la bandiera del ROC (Comitato Olimpico Russo). Al posto del tricolore orizzontale bianco, blu e rosso è presente una fiamma degli stessi colori che arde sopra i cerchi olimpici. Quando un russo vincerà una medaglia d’oro non ci sarà il solito inno ma si sentiranno alcune note di Pëtr Il’ič Čajkovski, compositore russo. Perché tutto questo? Il motivo risale al 9 dicembre 2019, quando la WADA ha squalificato il paese per doping per quattro anni. Quindi non parteciperà neanche alle Olimpiadi invernali di Pechino 2022.
La Russia è stata accusata di aver creato un sistema di “doping di stato” che ha coinvolto più di mille atleti tra il 2012 e il 2015. Le accuse principali riguardano i Giochi di Londra del 2012 e le Olimpiadi invernali di Sochi 2014. Secondo le denunce del WADA, le autorità russe hanno falsificato molti test di atleti dopati. Obbiettivo della condanna è quello di punire le autorità sportive russe e gli atleti che si sono dopati, coloro che hanno dimostrato la propria innocenza hanno ottenuto il permesso di continuare a gareggiare. Il governo russo ha riconosciuto i casi di doping ma smentisce l’ipotesi dell’esistenza di un sistema di doping.