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Maggio Musicale Fiorentino: la Madama Butterfly di Daniele Gatti convince e incanta

foto di Michele Monasta

Al Teatro del Maggio Musicale continua il tributo a Giacomo Puccini: dopo il successo della Turandot dello scorso aprile, il teatro fiorentino si riempie nuovamente in occasione dell’altra grande opera “orientale” del compositore lucchese, la Madama Butterfly. E se la prima ha entusiasmato per la sua ricchezza, la Butterfly del direttore Daniele Gatti e del regista Lorenzo Mariani colpisce in egual misura per la sua “leggerezza”, riscontrando grande approvazione da parte dei numerosi spettatori che hanno riempito la sala grande del Maggio.

Mariani, aiutato dallo scenografo Alessandro Camera, propone nel primo atto una scena essenziale, quasi spoglia. Una semplice piattaforma bianca, grazie agli avanzati mezzi scenografici del Maggio, viene calata dall’alto sul palco, come una leggerissima farfalla che si posa su un fiore, mentre degli stendardi, anch’essi bianchi, rimangono appesi a mezz’aria. La scena risulta perciò quasi anonima, una dimensione ideale e fuori dal tempo, in cui tutta l’attenzione è rivolta ai personaggi.

Quest’ultimi, dal punto di vista visivo, riprendono la componente bianca che domina in tutto il primo atto, sia nel caso dell’ufficiale Pinkerton che del console Sharpless. L’atmosfera quasi diafana conferita dalla dominanza del colore bianco è perfetta per esaltare l’entrata in scena della bella Cio-cio-san, ancora speranzosa e piena di vita. La giovane geisha indossa un meraviglioso costume rosso, che la fa risaltare al centro del palcoscenico. E sembra proprio che la ragazza più felice del Giappone, come lei stessa si definisce in una delle arie più celebri dell’opera, inondi il teatro con la sua gioia: sul palco arrivano i membri del Coro del Maggio, vestiti con abiti tradizionali giapponesi, che oltre a essere eccezionali da punto di vista vocale, conferiscono grande dinamicità anche da quello scenico, muovendosi insieme a Cio-cio-san e sventolando colorati ventagli.

L’ottimo utilizzo delle luci da parte di Marco Filibec valorizza ulteriormente il movimento che inonda la scena; particolarmente apprezzabile è anche l’uso delle ombre in occasione dell’ingresso dell’irato Zio Bonzo, che agita energicamente il suo bastone, come per allontanare fisicamente dalla famiglia l’ormai convertita Cio-cio-san.

Nel secondo atto il tono dell’opera, e anche l’ambientazione, cambiano. Una stanza in soqquadro, con pochi arredi rovesciati, ben esprime la solitudine della protagonista, confortata dalla sola presenza della serva Suzuki e dalla speranza in un ritorno del marito. Tali speranze non si dimostrano del tutto vane: Pinkerton torna, e Cio-cio-san ordina di cospargere la casa di fiori. Il grigio della scena viene quindi rallegrato da petali rosa che cadono dal cielo, un’allegria flebile destinata a durare poco.

L’arrivo di Pinkerton, infatti, accompagnato dalla nuova moglie Kate, dà il colpo di grazia al già lacerato cuore di Madama Butterfly: allegoricamente, anche la scena si “spacca a metà”, creando un vuoto all’interno del palcoscenico, che viene inondato da una forte luce rossa, simbolo al contempo di dolore e disperazione.

Di comprensione meno immediata è invece la scelta di vestire Kate Pinkerton con lo stesso vestito nero che indossa Madama Butterfly. Le due risultano così molto simili, quasi confondibili, in modo da suscitare una certa perplessità. Al contrario, estremamente convincente appare la scena finale dell’opera: l’allestimento essenziale ma eloquente e la luce puntata esclusivamente sulla protagonista ben trasmettono la gravità del fatale gesto col quale Cio-cio-san si toglie la vita.

Nel complesso, la scenografia riesce a veicolare perfettamente la drammaticità di quella che è, probabilmente, l’opera più tragica di Puccini. Più che concentrarsi sulla contrapposizione Oriente – Occidente, essa evidenzia nella sua semplicità gli aspetti umani dei personaggi, primo su tutti la fragilità della protagonista, che è trasmessa dagli elementi scenici prima ancora che da quelli vocali.

La direzione di Daniele Gatti completa perfettamente questo scenario così “introspettivo”. A volte più dolcemente, altre assai energicamente, la bravissima Orchestra del Maggio da lui diretta accompagna perfettamente la vicenda di Madama Butterfly. Anche le arie più orientaleggianti, volute da Puccini il più autentiche possibile, sono state eseguite perfettamente. Nel finale, poi, il culmine della disperazione di Cio-cio-san viene espresso mediante il procedimento dell’omofonia, una scelta che enfatizza il dolore, e forse l’irrazionalità del suicidio, e che termina con l’ultimo, potentissimo accordo, dopo il quale il teatro cade nell’oscurità. Ottimo anche il coro.

Il cast, in generale, è stato al livello della direzione. Piero Pretti è un Pinkerton convincente, con una voce elegante, anche se pecca un po’ di chiarezza e intensità nel primo atto. Il console Sharpless di Nicola Alaimo offre un’ottima performance, caratterizzata da un timbro caldo e da una bella voce baritonale; il fraseggio e i movimenti scenici impeccabili trasmettono perfettamente la duplicità di un personaggio che, se da una parte prova estrema compassione per la condizione di Madama Butterfly, dall’altra non può, o forse non vuole, fare niente per cambiare il suo destino.

La prestazione migliore la offre però Carolina López Moreno: il soprano interpreta una Madama Butterfly impeccabile dal punto di vista vocale, con acuti gestiti perfettamente e una dizione ineccepibile; dal punto di vista scenico, invece, colpisce la sua eleganza. Il risultato è un’espressività conciliata a raffinatezza e bravura tecnica, che entusiasta il pubblico e ottiene lughi applausi, sia a sipario chiuso che a scena aperta.

Particolarmente gradita dal pubblico è stata anche la prestazione di Marvic Monreal nel ruolo della serva di Cio-cio-san, Suzuki, grazie alla sua dinamicità e al fraseggio eccellente.

Per quanto riguarda i ruoli minori, Min Kim, nei panni del principe Yamadori, Elizaveta Shuvalova in quelli di Kate Pinkerton, accanto a Bozhidar Bozhkilov e Oronzo D’Urso, rispettivamente Zio Bonzo e Goro, sono ottimi interpreti, che coronano un meritatissimo successo.

La recensione si riferisce alla recita del 27 ottobre

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