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LM GIALLO E NERO: casi insoluti, misteri e affini negli annali della giustizia italiana. 1) Oltre ogni ragionevole dubbio? Una serie Netflix ripropone la vicenda di Yara

Comincia oggi una nuova serie, affidata al nostro redattore Vincenzo Pio Raso, che riproporrà casi insoluti, delitti particolarmente efferati, dubbi giudiziari e anche interviste con alcuni celebri e rinomati giallisti che abbiamo l’onore di avere come amici. La periodicità dipenderà ovviamente dagli impegni e dal lavoro del nostro cronista, ma potremmo sperare in almeno un articolo al mese. E il prossimo sarà una vera chicca…

L’omicidio di Yara Gambirasio è un caso italiano di cronaca nera che ha avuto un enorme interesse mediatico e di opinione pubblica, la cui risoluzione, seppur dubbia, è avvenuta con un’indagine senza precedenti. Questo caso è tornato agli oneri di cronaca quando l’emittente streaming americana Netflix ha pubblicato nei giorni scorsi una mini serie, “Il caso Yara, oltre ogni ragionevole dubbio”, dove ha ricostruito gli eventi che hanno tenuto incollata allo schermo l’Italia intera, grazie ad una revisione degli atti processuali e ad interviste ai diretti interessati: tra loro Massimo Giuseppe Bossetti, il suo avvocato Claudio Salvagni e il medico legale che si occupò del caso Cristina Cattaneo che tra i tanti si è occupata di altri casi controversi come quelli di Stefano Cucchi e David Rossi. Yara Gambirasio era una ragazza di 13 anni, residente a Brembate Di Sopra (BG), la cui vita, come quella di tante ragazze della sua età, girava attorno a casa, scuola, chiesa e ginnastica ritmica. La palestra dove la ragazzina svolgeva con risultati eccellenti ginnastica artistica, fu anche l’ultimo luogo in cui venne vista: nel tardo pomeriggio del 26 novembre 2010, Yara si reca proprio al centro sportivo, distante qualche centinaio di metri dalla sua abitazione, per portare uno stereo alle sue insegnanti, le quali, insieme alle altre ginnaste videro Yara per l’ultima volta. Vedendo la loro figlia tardare insolitamente, Maura Panarese e Fulvio Gambirasio decisero di lanciare l’allarme, denunciando la scomparsa di Yara ai carabinieri. Iniziarono così le ricerche della ragazzina bergamasca, con l’impiego di volontari e di numerosi cani molecolari; proprio quest’ultimi condussero gli inquirenti al centro commerciale “Il Continente” in costruzione, dove saltò all’occhio che una delle ditte che era impiegata nel cantiere, la “Lopav”, era di proprietà di Patrizio Locatelli, figlio di Pasquale Locatelli, uno dei più importanti boss del narcotraffico europeo. Fu lo scrittore Roberto Saviano a sostenere che Fulvio Gambirasio, che nel 2011 aveva lavorato per la lopav avesse testimoniato proprio contro i Locatelli (notizia smentita dallo stesso Fulvio) e che ad una festa dell’azienda Lopav avessero partecipato vari magistrati bergamaschi e lo stesso Fulvio. Dunque un delitto per ritorsione? Di certo sappiamo che i cani molecolari “impazzirono” nel “Cantiere di Mapello”, dove lavorava Mohamed Fikri il quale, dopo un errore di traduzione durante un’intercettazione telefonica, venne arrestato per poi essere rilasciato successivamente. Le indagini, guidata dalla PM Letizia Ruggeri, non portano a nessuna conclusione sulla scomparsa della ragazzina, fino a quando, esattamente tre mesi dopo la sua scomparsa, il 26 febbraio 2011, venne ritrovato il corpo di Yara in un campo di Chignolo d’Isola, in modo casuale, da un appassionato di modellismo, il quale vide cadere il suo aeroplanino vicino al corpo ormai in fase di avanzata decomposizione di Yara. L’autopsia rivelerà che nessuna delle ferite inferte dall’arma del delitto (mai trovata) erano state mortali, bensì che la ragazzina era deceduta dopo la notte passata al freddo inerme nel campo di Chignolo d’Isola. In questo momento delle indagini iniziano i primi dubbi, molti tra inquirenti e volontari erano passati in quel campo a cercare la povera Yara senza averla mai verosimilmente trovata, destando la domanda tra chi indagava: il corpo di Yara è stato trasportato solo in un successivo momento in quel campo?  Intanto l’inchiesta, dopo mesi di nulla, subisce una svolta: viene trovato sugli slip della ragazzina una traccia di Dna nucleare che verrà chiamata “ignoto 1”, facendo partire un’indagine senza precedenti nella storia. Viene prelevato il Dna di migliaia di persone, tra cui quello dei frequentatori di una discoteca a poche centinaia di metri dal luogo del ritrovamento del corpo. Damiano Guerinoni frequentava proprio la discoteca “Sabbie Evolution”: aveva una parentela con ignoto 1 e così venne prelevato il Dna di suo nonno Giuseppe Guerinoni, deceduto da più di una decina di anni, che risultò essere il genitore di Ignoto 1. Non essendo nessuno dei suoi figli legittimi identificabile come ignoto 1, gli inquirenti capiscono come ignoto 1 sia frutto di una relazione extraconiugale di Guerinoni. Gli investigatori così prelevano altre centine di provette di Dna di donne che negli anni 60’/70’ potrebbero aver avuto relazioni con Guerinoni e risalgono così a Ester Arzuffi, madre biologica di ignoto 1, che risulterà corrispondere a Massimo Giuseppe Bossetti. Così il 16 giugno 2014, mentre il muratore di Mapello stava lavorando viene arrestato con l’accusa di omicidio. Sebbene Bossetti si sia sempre dichiarato innocente, il muratore bergamasco viene dichiarato colpevole in ogni grado di giudizio nonostante le molte ombre di questo caso di cronaca.
Fin subito dopo l’arresto si innesca il meccanismo di creazione del “mostro”, grazie alla disinformazione che si venne a creare, soprattutto grazie a tutti i media: famose diventarono le “ricerche pedopornografiche” che avrebbe fatto l’imputato, mai nulla di più falso. Certamente il caso più eclatante fu il video del furgone di Bossetti: in quest’ultimo, che fece il giro delle televisioni nazionali, si vedeva il furgoncino bianco del muratore girare intorno alla palestra frequentata da Yara più volte e con orari compatibili con la sua scomparsa. Solo successivamente, il comandante dei RIS Giampietro Lago, durante il processo (udienza 30 ottobre 2015) parlerà di «esigenze di stampa» per spiegare la diffusione del video con più immagini di un furgone simile (anzi praticamente identico, diranno gli esperti) a quello di Bossetti, ripreso dalle telecamere sul territorio di Brembate Sopra, attorno alla palestra. Circostanza che aveva fatto arrabbiare la difesa del carpentiere e aveva portato più testate giornalistiche a titolare: «Video falso», o «tarocco»( Fonte:.https://bergamo.corriere.it/notizie/cronaca/16_dicembre_13/vere-immagini-furgone-archiviazione-il-capo-ris-la-querela-bossetti-bergamo-dc46c116-c110-11e6-ba45-25063c27d0aa.shtml). In questo triste caso di cronaca giudiziaria, gli investigatori non riusciranno neanche ad indicare un movente preciso, ipotizzando un’aggressione sessuale finita in tragedia (sebbene non ci siano tracce di una molestia sessuale sul corpo di Yara). Un altro neo di questa vicenda sono le provette di Dna che hanno incastrato Massimo Bossetti, il cui Dna nucleare è stato confrontato con quello di Ignoto 1 con delle provette scadute. Gli avvocati del muratore hanno chiesto più volte, durante il processo, di ripetere il test, ma questa procedura gli è sempre stata negata, fino a quando gli stessi avvocati denunciano il PM Ruggeri alla procura di Venezia per depistaggio, poiché per ordine del pubblico ministero i 54 campioni di Dna vennero spostati dall’ospedale San Raffaele di Milano (dove erano conservati a -80°C) al tribunale di Bergamo, dove però, non conservati ad una giusta temperatura, si deteriorarono inesorabilmente.
Il titolo che Netflix ha dato alla sua serie è molto interessante: “Oltre ogni ragionevole dubbio”. Esso è tratto dall’articolo 533 del codice di procedura penale e recita “il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio”. Se Bossetti sia innocente o meno è difficile da decretare e diversi giudici si sono espressi in merito, ma il muratore di Mapello è stato condannato al di là di ogni ragionevole dubbio?

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