Architetto e scrittore, Renzo Manetti è una figura di spicco nel contesto artistico nazionale. Laureatosi in architettura presso l’Università di Firenze nel 1977 con una tesi in Restauro dei monumenti, nel corso della sua carriera ha realizzato numerosissime progettazioni architettoniche e urbanistiche, oltre ad aver fatto parte di molte commissioni consultive nelle pubbliche amministrazioni. Tra queste ricordiamo la Commissione Urbanistica del comune di Firenze, la Commissione Edilizia del comune di Firenze e la Commissione Regionale Tecnico Amministrativa della Toscana; nel 2018, inoltre,  è diventato Presidente della classe di architettura dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze. Accanto alla carriera di architetto, Manetti ne porta avanti una altrettanto prolifica di scrittore, come testimoniato dai suoi libri, in cui ha modo di approfondire argomenti riguardanti la storia dell’arte e dell’architettura, anche sotto aspetti meno conosciuti. Manetti, infatti, è esperto di iconografia e iconologia, e nelle sue opere rivela i significati e i simbolismi che  le opere artistiche più celebri nascondono.

È anche questo il caso del suo nuovo libro, Le mura di Firenze da Arnolfo a Michelangelo (Pontecorboli editore) presentato lo scorso 13 maggio presso l’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, in cui l’autore presenta una visione dettagliata e il punto di vista privilegiato di un esperto di architettura su un tema assai diversificato.

L’argomento delle mura, infatti, assume una particolare importanza all’interno della storia fiorentina, tanto che Manetti l’aveva già affrontato in un suo libro intitolato Firenze: le porte dell’ultima cerchia di mura. Le mura, infatti, non rappresentavano solo un meccanismo di difesa per la Firenze medievale e rinascimentale, ma erano e sono tutt’oggi il simbolo dell’identità cittadina e del potere, un confine entro il quale i fiorentini potevano sentirsi sicuri e protetti.

Nonostante le successive modifiche della conformazione della città, esse non sono mai sparite del tutto. Infatti, col celebre Piano Poggi, esse vennero parzialmente abbattute, e al loro posto vennero realizzati gli odierni viali, in una discussa ma necessaria modernizzazione in vista dell’istituzione di Firenze come capitale del Regno d’Italia. Di fatto, quindi, le mura continuano a determinare l’attuale configurazione cittadina, a testimonianza della loro incancellabile presenza. Inoltre, molte porte monumentali vennero comunque conservate, restando tutt’oggi esempio di architettura medievale e rinascimentale e riflettendo l’evoluzione delle tecniche costruttive e delle strategie difensive nel corso dei secoli.

Abbiamo avuto la preziosa occasione di intervistare Renzo Manetti, che per questo ringraziamo.

Lei è architetto e scrittore, cos’hanno in comune queste due professioni e come convivono in lei?

È una domanda difficile. Sono due cose che possono vivere anche separatamente, però per conto mio l’essere architetto influisce su tutto ciò che scrivo, poiché lo scrivo dal punto di vista filosofico, storico ma anche architettonico. Molti trattano di storia dell’architettura, storia dell’arte, quindi da questo punto di vista spesso convivono, però è ovvio che un architetto può anche non essere uno scrittore, come uno scrittore non è detto sia architetto.

Lei ha già scritto diversi libri riguardanti aspetti specifici della storia dell’arte, come affronta la fase di documentazione e ricerca delle fonti storiche?

In maniera molto accurata. Nel senso che mi baso sia su ricerche d’archivio sia su ricerche documentarie bibliografiche al di fuori degli archivi, quindi sia in bibliografia che in ricerca d’archivio.

Sulle mura di Firenze, in particolare, ho consultato il Gabinetto edizione stampa degli Uffizi, Gabinetto fotografico degli Uffizi, casa Buonarroti, archivio di stato di Firenze, bibliografie. Quindi la documentazione, direi, è esaustiva.

Parlando più nello specifico del suo nuovo libro, quale ruolo svolgono e cosa rappresentano le mura all’interno della storia di Firenze?

Le mura rappresentano la città, delimitano la città. Non sono solo un sistema difensivo, certamente all’avanguardia per l’epoca in cui sono state costruite, ma anche un recinto sacro. Introducono in uno spazio che è quello della città, dove vigono la giustizia e l’ordine. All’esterno, molto spesso, c’è il disordine e il caos, perché ci sono signorotti, i feudatari, i banditi, c’è l’incertezza di dover pagare gabelle a quello e all’altro.

Le mura, inoltre, rappresentano un luogo che ha una sua sacralità. Esse sono decorate con immagini sacre, non a caso e proprio per questo introducono lo spazio di una Civitas, di una comunità che rispetta il sacro e vive nel sacro.

Se parliamo dell’ultima cerchia di mura, quella medievale, quindi quella che viene da Vasari attribuita ad Arnolfo, essa è costruita in funzione del Battistero: porta al Prato, porta di piazza San Gallo e porta alla Croce sono tutte equidistanti dal Battistero, e siccome in geometria tre punti individuano una sola circonferenza, ecco che tutta Firenze, nell’idea arnolfiana, è una città costruita in funzione del Battistero, che è quindi il suo luogo sacro.

Altra cosa particolarmente significativa è che, invece, le mura d’oltrarno sono state costruite qualche decennio più tardi, senza un progetto e quindi in modo veloce, seguendo fortificazioni precarie, fossati e palizzati precedentemente innalzati. Perciò, non rispondono a questa circonferenza che caratterizza il progetto di qua d’Arno. Negli anni ’40 del 500, però, il duca Cosimo I de’ Medici fa costruire una cinta bastionata, in oltrarno, con bastioni che partono dalla zona di Piazza Tasso che, insieme al bastione presso i giardini di Annalena e quello che oggi si chiama il bastione del Cavaliere, chiude, guarda caso, la circonferenza arnolfiana.

Tuttavia, ciò assume un significato diverso a questo punto: non più mistico in senso medievale, bensì in senso laico, la misticità del gran ducato. Le mura rappresentano ora un potere nuovo, un nuovo stato, non più fiorentino ma toscano, e il potere del Granduca è un’investiture che deriva dal Cielo.

Vi sono altri simbolismi o significati iconologici nascosti?

Si, aggiungiamo che la circolarità, che determinava un luogo sacro nel medioevo cristiano, non poteva che riferirsi alla Gerusalemme Celeste. La Gerusalemme Celeste viene indicata nell’Apocalisse come quadrata, ma nel Medioevo è spesso rappresentata come circolare. Perché questo?

Per due motivi: il primo è che i pellegrini che tornavano da Gerusalemme vedevano la grande basilica costantiniana, che è circolare, con la grande cupola, e per questo associavano la pianta centra a Gerusalemme.

 Il secondo è che la circolarità è anche un simbolismo cosmico: il cielo è rappresentato spesso come un circolo o come una semisfera; quindi, se nella geometria il quadrato, con i suoi quattro vertici, quattro angoli e quattro lati rappresenta le quattro direzioni della terra ed perciò è terrestre, il cerchio è celeste. Ciò significa che Firenze si identifica come la Gerusalemme Celeste con questa sua circolarità, che è peraltro rappresentata in modo amoralmente sublime in un affresco nella volta del palazzo dell’Arte dei Giudici e Notai in via del Proconsolo, dove Firenze è raffigurata circolare con dodici torri, come dodici è, guarda caso, il numero che l’Apocalisse attribuisce alla Gerusalemme Celeste.

Il mondo medievale, ma anche quello rinascimentale, è intriso di simboli. Si opera più con i simboli che con la lingua.

Da Arnolfo a Michelangelo, si copre un intervallo di tempo di circa tre secoli. C’è un filo conduttore tra gli artisti che si sono succeduti durante la costruzione delle mura?

Durante questo intervallo di tempo, molti artisti si sono susseguiti, anche se si sono occupati di corse diverse. Da Arnolfo a Giotto il più importante è Giotto; lui si occupa delle mura, anche se per poco dato che diventa maestro della cattedrale e costruisce il campanile. Michelangelo, invece si occupa delle fortificazioni, in previsione dell’assedio imperiale.

Il filo conduttore è che anche Michelangelo, come la gran parte degli altri artisti, è un mistico. È lui che si impone per far fortificare il colle di San Miniato col fine di proteggere la basilica di San Miniato. Infatti, in vista dell’assedio tutto il rione di San Niccolò era indifendibile, poiché sormontato proprio dal colle, che stava al di fuori delle mura cittadine e da cui sarebbe stato facile attaccare.

C’erano perciò due possibilità all’epoca: quella di fortificare il colle di San Miniato oppure quella di demolire il rione di San Nicolò, di fare terra bruciata. E sicuramente avrebbero fatto così, come fecero in realtà per tutto ciò che era esterno alle mura: tutti i borghi all’esterno delle mura furono rasi al suolo. Si persero capolavori, non solo case e ville, ma anche monasteri, affreschi e opere d’arte. Si perse la metà della città di Firenze, tutto demolito selvaggiamente. Sarebbe toccata la stessa sorte anche a San Miniato al monte se Michelangelo non si fosse imposto e non avesse preteso di fortificarlo. Perché quella era la cittadella sacra di Firenze, la protezione di Firenze dal cielo. Quindi anche Michelangelo, che vive in pieno Rinascimento, ha la misticità che spesso si attribuisce solo ai medievali.

Per concludere, che consiglio si sente di dare a uno studente che si accinge a leggere il suo libro?

 Curiosità. Leggerlo con curiosità. Si tratta di novità, aspetti meno conosciuti, che possono fornire una visione più completa su questo argomento.

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