Anselm Kiefer è uno degli artisti contemporanei più seguiti e amati. Nacque nel 1945 in Germania, poco prima della conclusione della Seconda guerra Mondiale, evento che lo segnò profondamente nella sua arte. Trascorse infatti l’infanzia giocando tra le macerie dei palazzi bombardati e per lui le rovine erano la “cosa più bella che ci fosse” perché erano simbolo di un nuovo inizio.
Nel 1969 si confronta per la prima volta con temi storici e soprattutto con le problematiche legate alla storia tedesca. Nello stesso anno tiene la sua prima mostra, alla Galerie am Kaiserplatz di Karlsruhe. Nelle sue prime opere affronta la solitudine e la sofferenza umana. Nel 1973 guarda all’architettura e dipinge una serie di tele di grandi dimensioni ambientate nella soffitta in legno di casa sua.
Nelle sue opere è sempre presente una notevole matericità, usa infatti numerosi nuovi materiali dal legno alla sabbia, al piombo, alla paglia e pure vestiti cuciti direttamente sulla tela. Tutti elementi che apportano fragilità a un contesto caratterizzato da una certa rigidità dei soggetti.
Nel 1999 riceve il Praemium Imperiale della Japan Art Association. Molte sono le antologiche dedicate alla sua opera, come quelle alla Städtische Kunsthalle Düsseldorf (1984), all’Art Institute of Chicago (1987), al Sezon Museum of Art in Tokyo (1993), al Metropolitan Museum of Art di New York (1998), alla Fondation Beyeler in Basel (2001), al Modern Art Museum di Fort Worth (2005), al Guggenheim Museum Bilbao (2007). Solo due anni fa ha esposto alla Biennale di Venezia dove presentò Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po’ di luce, e nel 2023 è stato girato e presentato poi alla 76esima edizione del Festival di Cannes un documentario su di lui diretto da Wim Wenders, che è riuscito a portare sulla pellicola l’attività rivoluzionaria del pittore.
La mostra a Palazzo Strozzi (22 marzo – 21 luglio) si sviluppa sul primo piano, ma la prima opera è esposta nel cortile del Palazzo: Engelssturz, opera site specific realizzata per instaurare un dialogo con l’architettura rinascimentale del cortile. In Italiano il titolo si traduce con Caduta dell’angelo, il quale angelo nel dipinto è San Michele, figura ricorrente nelle altre sue opere. L’opera che misura più di otto metri in larghezza e sette di lunghezza è ispirata alla cacciata di Lucifero dal Paradiso, in quanto aveva osato sfidare Dio. Nella parte superiore con fondo dorato è presente l’arcangelo che impugna una spada, mentre nella parte inferiore ci sono personaggi caduti dal cielo e trasformati da creature divine in terrene. Evidente è l’uso di oggetti reali per creare una superficie tridimensionale sfruttando proprio le qualità dei materiali.
L’opera riflette sulla lotta tra il Bene e il Male facendo acquisire all’espressione “angeli caduti” una portata più ampia cioè l’intera umanità. Il tema angeli caditi si riconduce a particolari dualismi come quello tra spirito e materia, memoria e presente, mito e storia, tutto questo viene affrontato da Kiefer attraverso magnifiche allegorie e forme nuove intrecciando pittura, fotografia, scultura. L’artista riesce sempre a far emerge la vera protagonista della sua arte nelle opere, cioè la natura umana, e di conseguenza i conflitti e contraddizioni insite in lei.
Successivamente la mostra si sviluppa in 8 sale. Con tele di enormi dimensioni che volutamente interferiscono con lo spazio come l’opera Luzifer della prima sala, Kiefer riesce a coinvolgere lo spettatore e renderlo partecipe alla sua visione.
Dagli anni Settanta Kiefer ha dedicato le sue opere a miti, storia, memoria, letteratura e filosofia. Esempi ne sono l’opera dedicata a Marco Aurelio Antonio, detto Eliogabalo, imperatore del III secolo che tentò di imporre il culto siriano del dio sole Baal, ed è esposta nella seconda sala insieme ad altre due opere che richiamano ai culti solari celebrando il trionfo della luce sulle tenebre. O anche La Scuola di Atene, una rivisitazione dell’omonimo quadro di Raffaello. Per Kiefer “la pittura è filosofia” e con tre opere riesce a creare una sorta di albero genealogico dei presocratici fino ad arrivare a Socrate con cui la filosofia inizia a concentrarsi su temi politici e etici. E questi temi sono presenti nei successivi quadri esposti come le fotografie che lo ritraggono mentre fa il saluto nazista. Kiefer infatti realizzò nel 1969 diverse fotografie con indosso la divisa della Wehrmacht, le forse armate tedesche, mentre esegue il saluto alla vittoria, per riportare l’attenzione su un tema ancora oggi delicato e sensibile.
Molto interessante è come le sue tele non sono mai finite ma subiscono sempre processi che le modificano, è come se dovessero maturare. Le espone frequentemente a pioggia, vento, le seppellisce e le incendia, utilizza pure acidi e le sottopone all’elettrolisi.
In ogni sua produzione artistica esprime il rifiuto del limite soprattutto nell’infinita ricchezza di risorse che utilizza per trattare della memoria e del passato. Kiefer riesce ad abbattere la barriera tra opera e spettatore, facendoci rendere conto quanto sia importante non scordarsi del passato, e che le macerie del passato sono le fondamenta del futuro.