In un periodo storico caratterizzato dall’individualismo e dalla progressiva scomparsa di fede nella trascendenza, la raccolta di poesie AD Tendere. Semi sparsi di un dialogo con Dio (2020, Edizioni Setteponti) di Carolina Gentili è una rarità.
Ma non per questo ci si aspettino poesie catechizzanti, che inneggiano alla Chiesa istituzionale.
È anzi con umiltà e delicatezza, sebbene non senza creste di toccante forza poetica, che l’autrice ci guida a sospendere la frenesia di ogni giorno e riflettere su chi siamo, su cosa vorremmo essere all’insegna di una vita piena; è riuscita cioè a coinvolgere il lettore nel suo adtĕndĕre, dal latino “rivolgere l’animo verso”, da cui il titolo della raccolta.
Ma rivolgersi a cosa, come? L’attenzione è rivolta a Dio, nel ben noto contesto di isolamento che abbiamo sperimentato durante la quarantena del 2020. Quando nei momenti di distanza forzata dal resto del mondo, la connessione più importante è diventata quella con Dio, piuttosto che con Internet, che invece rende estranei alla nostra reale condizione … Questa è fatta soprattutto di fragilità e piccolezza, emerse in modo particolare in quel periodo straordinario. Ma è anche possibilità di riscattarsi dai propri inciampi, a passi piccoli e magari malfermi, ma capaci di farci riscoprire la preziosità del nostro Essere, in relazione al Creatore.
Il libro infatti si presta al confronto con un cammino di fede autentico, ma non per forza a un’adesione ad esso. Si parla di un “trasfigurare” che scaturisce dalla scelta di stare nel mondo senza cercare di colmare i vuoti interiori con oggetti, maschere, aspirazioni vane e devianti, ma piuttosto ponendosi in ascolto di ciò che sta attorno e dentro e, nel caso di una persona credente, dialogando con Dio, che dà senso e rifugio a chi gli si rivolge.
Tale rifugio non è un comodo cantuccio dall’alto del quale sprezzare il resto! È anzi ciò che può / spaccare il recinto / che vuole tenerti al buio, il punto di partenza per aprirsi a un rapporto autentico e fraterno col prossimo; così testimoniano le poesie della Gentili, che spesso si rivolgono al lettore in una suggestiva ricerca di senso, di comunione con Dio e condivisione della bontà di tutto ciò.
Così una ferita può diventare motivo di luce, di un’intima contentezza che accompagna anche nei momenti più duri.
Ossimori, versi frammentati e un lessico diretto conferiscono un’eccezionale e variegata profondità di pensiero allo spontaneo fluire poetico, contro una fede impostata e insincera, verso una calorosa accoglienza di ogni spiraglio di luce.
È infine di portata e bellezza universali il monito sulla necessità di non rimandare, ovunque ci si trovi, l’accoglienza del prossimo, troppo spesso ostacolata da gretti risentimenti, dalla cattiveria intesa come gravosa schiavitù. La violenza troppe volte ci attanaglia e impedisce la libertà, che significa poter ritrovare la propria fanciullezza senza il giogo dell’apparire, in contrasto alla concezione meramente, sterilmente utilitaristica che oggi sovrasta.
Passiamo quindi la parola alla poetessa, che ci ha gentilmente concesso la seguente intervista, non prima però di averla presentata. La sua attività poetica ha ricevuto riconoscimenti ad esempio nel Concorso Nazionale di poesia Spiaggia di Velluto di Senigallia del ’97, e con la pubblicazione di alcune sue poesie nei volumi Voci del Duemila. I poeti del terzo millennio di KULT Underground. Nel 1998 pubblica insieme ad altri poeti Attesi da un incontro edito da Studio Editoriale Fiorentino.
Al 2000 risalgono le sillogi Quadri e Frammenti poetici. Contemporaneamente si intensifica l’attività teatrale nella compagnia CDRC Coro Drammatico Renato Condoleo diretta da Paolo Bussagli e basata sul Metodo Mimico di Orazio Costa.
Insegna Metodo Mimico e si è dedicata alla scrittura drammaturgica, ad esempio con La Flautista e Diotima, rielaborazione drammatica di Diotima e la suonatrice di flauto di Ida Travi. A partire dalla sua conversione, la sua poesia affronta temi religiosi, e culmina con la pubblicazione di AD tendere. Per maggiori informazioni è possibile visitare il link https://adtendere.blogspot.com.
Qual è la ragione del sottotitolo della raccolta semi sparsi di un dialogo con Dio?
«Il libro non ha un filo narrativo con un inizio o una fine: racconto momenti di dialogo con Dio, “semi” perché possono imprimersi nel cuore delle persone e sbocciare poi in qualcosa di più grande, “sparsi” perché non collegati da un filo logico, ma nati da ispirazioni diverse. Perciò il libro si presta a essere letto in ordine sparso, in modo da focalizzarsi non sull’insieme, ma su cosa un componimento comunica in un certo momento. È tascabile, quindi agevole da portare con sé e in contrasto con l’idea, purtroppo diffusa, che la lettura sia per forza un peso! Queste caratteristiche sono emerse ad esempio durante una presentazione del libro, in cui una signora lo aprì a caso e si mise a piangere. Mi colpì molto quando poi mi spiegò che la poesia letta casualmente le era arrivata dritta al cuore!»
Come è nata la sua vocazione poetica, con che caratteristiche?
«Ho iniziato a scrivere alla fine del ’98 per caso. Stavo studiando nei laboratori di Teatro danza e durante un esercizio mi venne spontaneamente l’ispirazione per un verso poetico. Ho partecipato a qualche concorso, come quello di Senigallia, e pubblicato la raccolta Attesi da un incontro edito da Studio Editoriale Fiorentino con alcuni miei coetanei. Nel 2000 ho sospeso questa attività perché presa dal teatro. Ho ricominciato più intensamente nel 2013, in cui la fede si è radicata in me, come anche la necessità di scriverne, in forma di pensieri o poesie legati al mio sentimento religioso».
La sua poetica ha qualche legame con la sua attività teatrale?
«Secondo me le forme di Arte sono collegate tra loro, quindi ciò che ho imparato a teatro si è riversato positivamente nell’attività poetica. La concezione che ho di poesia è però slegata dalla letteratura: per me non è circoscritta nemmeno alla scrittura, ma è un modo di vivere l’incontro tra Cielo e Terra, tra me, gli altri e Dio. Attraverso la poesia credo che parli Dio».
È comunque presente l’influsso sulla sua poetica da parte di altre opere o altri artisti, per quanto secondario?
«Gli ultimi miei scritti non scaturiscono da un modello. Mi sento vicina alla mistica francese Madeleine Del Brêl (1904-1964) a livello di contenuto più che formale, dato che guardo a lei come musa ispiratrice nel mio cammino di fede. Nella raccolta non sono presenti, almeno consapevolmente, altre affinità, tanto meno richiami».
Come è riemersa questa vena poetica durante il lock down e come si è sentita a riscoprirla?
«In quel periodo si è instaurato uno stretto legame tra preghiera e poesia, dato che sono rimasta sola a casa. Avevo Dio come interlocutore più vicino. Ed è arrivato inaspettato un fiume di parole con l’esigenza di rivolgersi a Lui, senza la possibilità di comandarlo. Ho sentito una connessione forte con l’infinito, cosa che mi ha sollevato dalle difficoltà e dal senso di solitudine».
Attraverso libro e poetica in generale quali messaggi ritiene principali da trasmettere e a chi?
«Il libro non vuole essere teologico o persuadere della verità evangelica, ma piuttosto essere d’aiuto nel trasmettere che, come è stato possibile per me rialzarsi da un momento buio, può esserlo per tutti. Le difficoltà del resto non possono risolversi nel distacco assoluto dagli altri,e anche io ho avuto bisogno di sostegno. Il lavoro è rivolto a chiunque voglia iniziare un profondo viaggio alla ricerca di sé, ascoltare un messaggio di speranza per cui, anche in un momento di paura e restrizioni come quello della quarantena, possiamo sollevarci dal dolore, dialogando con le nostre parti e con Dio, e percependone l’amore. Così sono passata da uno stato di disperazione a uno di speranza, in cui ho cominciato a valorizzare le piccole cose, lo stesso vivere. Aspetti della nostra vita apparentemente scontati sono diventati motivo di gratitudine».
Se lo ritiene possibile, come pensa che i messaggi religiosi possano soddisfare i bisogni più autentici di ognuno, come dare e ricevere amore?
«Essendo cattolica, credo che Gesù amasse tanto l’umanità da morire per il suo bene, donando amore e l’esempio, la forza per amarci tra di noi. Per questo seguire il Vangelo secondo me è la chiave per vivere bene, sentendosi spiritualmente trasformati. Anche se in questo periodo storico la fede tende a scomparire, rimane il problema comune dell’atmosfera cupa e di dispersione che si respira. È difficile dare consigli in questo ambito, migliorare attraverso un pensiero; ma allo stesso modo c’è l’esigenza, seppur inavvertita, di un amore meno circoscritto e falso rispetto a quello che spesso vediamo. Immagino che sarà sempre più necessario un punto di rottura da cui possa avere origine un modo di essere più autentico, non distratto dalle vanità che ci circondano. Cosa che si declinerebbe in un’unità tra le persone più forte e costante, magari attraverso comunità che si ritrovano, si scambiano affetto, supporto, e affrontano argomenti non di superficie. Troppo spesso ci comportiamo da isole, ognuno troppo preso dai problemi personali per aprirsi al bene collettivo».