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Le interviste del Leo 88: Andrea Claudio Galluzzo, imprenditore, saggista, capitano di Parte Guelfa. Un libro -testimonianza su don Cuba, difensore degli Ultimi.

 Andrea Claudio Galluzzo di Capramozza è un imprenditore fiorentino che ha riscosso il suo maggior successo nell’attività commerciale, lavorando principalmente come manager. Galluzzo ha interpretato sempre al meglio i ruoli che gli sono stati assegnati nelle diverse compagnie di cui ha fatto parte nel corso della sua carriera e oggi può vantare di essere il CEO delle Hercules Holding, un centro di attività globali incentrate sul business e le sue diverse forme , che ha sede a Dubai, città nella quale Galluzzo si è trasferito da ormai diversi anni. La completa formazione di Andrea Galluzzo, che lo ha visto studiare anche nel Liceo Linguistico di Oxford, nella New York Univeristy e nell’Accademia delle Arti del disegno, ha permesso all’imprenditore fiorentino di ricoprire numerosi ruoli in attività anche molto diverse fra loro, divenendo esperto in diversi campi. Nella sua vita Galluzzo ha sempre manifestato la sua passione per la scrittura, un hobby che come lui stesso ha detto lo fa sentire libero; a questo proposito, alla vigilia della presentazione del suo nuovo libro Essere Arcobaleno, dedicato all’iconico prete fiorentino Don Danilo Cubattoli, Andrea Galluzzo ci ha concesso un’intervista esclusiva da non perdere. Nel testo che segue l’autore, storico e studioso fiorentino ci parlerà delle sue esperienze personali, delle sue sensazioni sul libro e della relazione, che gli ha cambiato la vita, con Don Cuba. Il libro verrà presentato domani ( 5 ottobre) alle ore 18 presso la biblioteca delle Oblate. Presentano Antonio Lovascio (direttore ufficio comunicazioni sociali arcidiocesi di Firenze), padre Bernardo Gianni (abate S. Miniato al Monte), Franco Lucchesi (presidente Fondazione Don Danilo Cubattoli) Giannozzo Pucci (editore Libreria Editrice Fiorentina), Andrea Fagioli e Maurizio Naldini (giornalisti); modera Domenico Mugnaini, (direttore Toscana Oggi). Sara presente l’autore.

Innanzitutto, lei è un fiorentino del mondo in quanto per lavoro si muove continuamente, appunto, in vari paesi, ma precisamente, in cosa consiste questa attività?

“Allora, io gestisco gli investimenti di capitali stranieri, cioè con soldi stranieri di cinesi, americani e mediorientali. Sono residente a Dubai, negli Emirati Arabi e da lì gestisco questi investimenti che sono diretti su varie aree: una è l’educazione, abbiamo per l’appunto realizzato un’università privata. Lavoro molto anche in campo tessile: produciamo un gran numero di capi per diversi marchi importanti. E poi stiamo iniziando il Food, l’agroalimentare è un’altra area di investimento. In altre parole, io faccio aziende.”

Da dove è nata questa passione e che cosa l’ha portata a intraprendere questo tipo di carriera?

“La mia preparazione, quello che ho studiato e quello che io ho sempre fatto è stato quello di costruire delle reti di persone che possano collaborare in ambito commerciale. Ho fatto l’avvocato, cioè, sono avvocato di partenza, anche se di fatto non ho mai lavorato come tale, ma sempre come manager; quindi, alla base della mia carriera ci sono tante vocazioni. Una di queste è saper realizzare, mettere insieme la gente, le persone, costruire delle reti: ovvero dei contatti, delle connessioni tra le persone giuste per fare in modo che insieme possano dare vita a un prodotto, a una catena di hotel etc. Questo si chiama Network, vuol dire che tu hai un giro di conoscenze che ti permette poi nella vita di dire: “Aspetta, voglio fare un’azienda che venda posate”. Se il mio network comprende persone che hanno degli hotel, ho un punto da cui partire, nel momento in cui realizzo il mio prodotto, per venderlo.”

 Viaggiare è quindi parte fondamentale del suo lavoro?

“Non è solo viaggiare e fare che naturalmente aiutano, ma sono i contatti, le relazioni, cioè il fatto di conoscere un numero di persone utili a un certo obiettivo. Quello fa la differenza.”

Invece, venendo al libro, da che presupposto è nata l’idea di scriverlo?

Il libro è una cosa totalmente personale, non ha a che fare con la mia vita professionale, ha a che fare col fatto che io, grazie a Dio, ho conosciuto questa persona fantastica che era Don Cuba, Don Danilo Cubatto. E questa persona, al di là di essere un prete, era un uomo eccezionale che dava una mano a tantissime persone, indipendentemente dall’essere preti; perché sì, era un sacerdote, d’accordo, ma era soprattutto una gran persona: questo era Don Cuba. Possedeva una qualità che onestamente ho visto in pochi in tutta la mia vita: era uno capace di dare veramente una mano, di aiutare tanta gente. Andava spesso a fare visita nelle carceri, perché lui era stato cappellano delle carceri di Firenze e anzi era decano, cioè il più anziano dei Cappellani carcerari italiani.”

Proprio a questo proposito cosa sa delle collaborazioni di Don Cuba con numerosi registi italiani per la diffusione, appunto, del cinema nelle carceri?

“Fin dagli anni 50, quindi si sta parlando di 70 anni fa, lui andava a fare visita ai carcerati. In quel periodo i carcerati venivano trattati senza ritegno, e lui, invece andava a mettere in pratica un famoso passo del Vangelo. “Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, ero nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. “

La scelta del titolo del libro a cosa è dovuta?

Essere arcobaleno. Sì, perché lui era una persona che sapeva stare con tutti, quindi era un essere multiforme, diciamo pure arcobaleno, appunto, che si adattava a tutti i colori. Ma, in realtà, non è questo il vero motivo. Il vero motivo è che il giorno del funerale, alla chiesa del Carmine, quando arrivammo con la bara, ancor prima di attraversare la piazza davanti alla chiesa, sopra di noi, in una giornata anche piuttosto piovosa, il cielo si è aperto sopra di noi e ha lasciato spazio ad un arcobaleno. Un evento quasi mistico che mi ha colpito parecchio. Fra l’altro, gli arcobaleni sono chiamati ponti e sono spesso identificati come una forma di dialogo con l’oltretomba: cioè quando si vede l’arcobaleno, è come se qualcuno dei nostri parenti o amici scomparsi ci salutasse. Quindi quel giorno tutta la piazza rimase impressionata da questo evento e tutti sapevano che quello era il saluto del Cuba.”

Lei è anche capitano della parte Guelfa, a cosa o chi lo deve e che attività svolge in funzione di questo ruolo?                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       “Sì, devo a Don Cuba anche questo, perché il Don era un grande ambientalista. Perché come raccontava lui, le chiese sono certo bellissime le chiese, ma la cattedrale più bella è un bosco. Lui veniva dalla campagna, quindi aveva quest’istinto e di fatto me l’ha trasferito. A un certo punto nella vita è importante avere gli amici, è importante, studiare, qualificarsi, lavorare; però non basta, nella vita bisogna avere una missione, uno scopo per fare qualcosa di utile, non per sé stessi, ma anche per la collettività, gli altri. E quando si presentò l’opportunità di riattivare l’antica parte Guelfa che aveva una funzione ambientale, io la pensai proprio come Don Cuba. Noi siamo cavallerie e tutto ma, soprattutto facciamo salvaguardia ambientale, monitoraggio, pulizia dei boschi, pulizia delle spiagge etc. Fu addirittura Cosimo I a dare questo incarico a parte Guelfa, dal 1549, con la legge dell’Unione, anche se purtroppo questa cosa dal 1669 si era spenta.”

Come ha conosciuto Don Cuba?

“ Perché aveva letto un libro che avevo scritto io e gliel’aveva dato un comune amico: il Marchese Cosimo Ridolfi che vinse anche un premio nazionale e che si intitola “il fiorentino”, dedicato al Marchese Luigi Ridolfi, zio di questo mio amico: è colui che ha fondato la Fiorentina, il Maggio Musicale fiorentino, un mecenate insomma. Ne ho scritto la biografia e Cosimo Ridolfi la dette a Don Cuba a cui piacque tantissimo; però non lo conobbi subito per quello. Ebbi modo di conoscerlo in un periodo molto brutto per me, molto triste della mia vita ad un matrimonio di un amico mio, che fu celebrato a San Miniato al Monte e del quale Don Cuba era il celebrante. Io ero dietro a un pilastro, ero abbastanza triste, ero passato da un evento molto brutto, non fu facile per me; e il Don senza conoscermi venne verso di me e capì tutto. Anche se portavo gli occhiali quindi non si vedeva che fossi abbattuto lui evidentemente lo sentì perché era una specie di Santo. Un uomo particolare che sentiva le cose. E da lì la mia vita è ripresa e poi siamo diventati amici e ho avuto la fortuna di averlo come guida spirituale. Una sorta di secondo padre, ma lo è stato per molte persone non solo per me. Lui aiutava le persone per quello che loro erano e per quelle che erano le loro esigenze. Per esempio, ho potuto vivere in prima persona la sua esperienza con i carcerati. Perché lui, quando andava in carcere, portava speranza. Lui era La speranza, era la luce che entrava. Non ho mai più incontrato nessuno così quindi mi sento di dire, senza esagerare, che io un Santo l’ho conosciuto. Seguiva un cammino di cristianità assoluta, che è una cosa molto difficile soprattutto di questi tempi. E’ molto impegnativo e quindi la gente vuole le cose semplici ed è attaccata alla materialità.”

Lei ha scritto molto, ma è una cosa assolutamente slegata dal suo lavoro, a cosa deve questa passione?

“La vocazione di scrivere è nata da una passione, perché io amo scrivere. E nella vita, a mio parere, che è breve ed è una cosa unica, meravigliosa, speciale, bisogna fare quello che quelloi si sente; anche se tu poi nella vita fai un altro lavoro, nessuno e niente ti vieta di seguire le tue passioni. Quindi bisogna esprimersi. La mia forma di espressione è leggere e scrivere, mi piace, mi sento bene perché riesco a raccontare delle immagini. Però io non scrivo “di fantasia”, racconto quelle che sono le mie esperienze e quello che vedo e a mio parere la realtà è ben più incredibile della fantasia. Ho fatto tutta saggistica, ricerche storiche e le mie erano espressioni di lavoro, di ricerca. Invece, a differenza delle mie precedenti produzioni, in questo nuovo libro c’è una ricerca, magari interiore, ma è mia, è assolutamente personale. Praticamente io racconto le mie cose, è una cosa molto intima ed è la mia testimonianza, quello che ho visto fare a Don Danilo Cubattoli. Non c’è in me la volontà di dire don Cuba era così perché penso questo, no! Io vi racconto quello che mi è successo accanto a lui, quello che ho visto, quello che mi ha detto. Naturalmente anche le idee che mi sono formato. Ma non scrivo mai, in generale, e in particolare questa volta per qualcuno, per gli altri: io scrivo per me, lo faccio per me, per esprimere quel qualcosa che ho dentro. Poi se a qualcuno piace sono contento, se non piace non mi interessa neanche, ma non non è snobbismo, è solo per dire che non ne ricavo niente. Anzi, se ci saranno delle entrate, andranno nell’associazione, quindi è uno scopo benefico. Ma non è questo il punto, lì ci sono dei sentimenti, c’è la mia vita personale, che io, riflettendoci molto, ho deciso di rendere pubblica. E l’ho fatto come omaggio, in parte, ma soprattutto per raccontare, testimoniare che cosa ho visto io e cosa ho ricevuto da questa persona. E basta, quindi io voglio, vorrei, che il mondo sapesse che essere umano fantastico è stato Don Cuba.”

Grazie

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