La scienza è davvero in grado di farci conoscere la realtà o solo una pallida approssimazione di essa? Quali sono i limiti della conoscenza umana? Come possiamo arrivare alla verità? Cos’è la realtà? Quella che vediamo ogni giorno o qualcosa che siamo impossibilitati a conoscere per la nostra natura? Queste sono poche delle tante domande che i filosofi epistemologici, a partire da Platone e Aristotele, hanno cercato di rispondere, tra cui Karl Popper uno dei più grandi esponenti della teoria della conoscenza e della filosofia della scienza.

Scomparso 29 anni fa a Londra, Sir Karl Raimund Popper è nato a Vienna nel 1902. Popper è cresciuto in un’epoca di turbolenze politiche e sociali, con l’ascesa del nazismo in Europa, oltre che di rivoluzioni scientifiche che hanno messo in crisi le teorie classiche. Questo contesto ha influenzato profondamente il suo pensiero filosofico. Il padre avvocato muore nel 1932, stesso anno in cui si suicida una delle sorelle. Con lo scoppio della Rivoluzione leninista in Russia, Popper prende parte a gruppi di tendenza marxista e non ancora diciottenne si dichiara comunista, anche se poco dopo a causa di una violenta manifestazione di socialisti e comunisti finita male a Vienna, decide di abbandonare l’ideologia marxista ritenendola troppo pericolosa.

Prima di iscriversi all’Università di Vienna per studiare filosofia, lavora come assistente sociale, aiutando bambini abbandonati. Nel 1928 ha ottenuto il suo dottorato con una tesi sulla teoria della verità e inizia a insegnare nelle scuole superiori. Nel 1930 si sposa Josefine Anna Henninger, intanto scrive il saggio I due problemi fondamentali della teoria della conoscenza (pubblicato in tedesco come La logica della ricerca) , discutendo il problema dell’induzione, ovvero il procedimento di formulare delle leggi universali partendo dai singoli casi particolari, come cerca di fare la scienza. Dopo la pubblicazione del saggio, vive in Inghilterra per nove mesi dove conosce Bertrand Russell, che stava tenendo una conferenza a Oxford: per Popper si rivela un incontro fondamentale e arriva addirittura a definire Russell “il più grande filosofo dopo Kant”. Infatti nel corso dei suoi studi riprendi diverse delle sue teorie epistemologiche, soprattutto riguardo il metodo induttivo.

Fin dal primo giorno questo tacchino osservò che, nell’allevamento in cui era stato portato, gli veniva dato il cibo alle 9 del mattino. E da buon induttivista non fu precipitoso nel trarre conclusioni dalle sue osservazioni e ne eseguì altre in una vasta gamma di circostanze: di mercoledì e di giovedì, nei giorni caldi e nei giorni freddi, sia che piovesse sia che splendesse il sole. Così arricchiva ogni giorno il suo elenco di una proposizione osservativa in condizioni più disparate. Finché la sua coscienza induttivista non fu soddisfatta ed elaborò un’inferenza induttiva come questa: “Mi danno sempre il cibo alle 9 del mattino”. Questa concezione si rivelò incontestabilmente falsa alla vigilia di Natale, quando, invece di venir nutrito, fu sgozzato“. Bertrand Russell, Che cos’è questa scienza

Lo scoppio della Seconda guerra mondiale lo porta a concentrarsi di più sui suoi studi politici: inizia a studiare la nascita e lo sviluppo del totalitarismo nazi-fascista e comunista. Scrive Miseria dello storicismo (il titolo è un ribaltamento dell’opera di Karl Marx Miseria della filosofia) dedicandolo a tutte le persone morte a causa dei totalitarismi. Nel libro afferma che entrambi i regimi si fondano sulla stessa pretesa di tracciare una direzione profetica del corso della storia, vista come un percorso finalizzato che giustifica gli eventi accaduti. Contro lo storicismo Popper scrive: “La storia non ha un senso di marcia e non è possibile stabilire la direzione del suo corso, né prevedere le sue finalità. Qualsiasi credenza deterministica è errata, perché non disponiamo di strumenti che ci permettano una previsione scientifica degli eventi”.

Negli anni Cinquanta e Sessanta inizia una raccolta delle sue riflessioni e saggi, che raccoglie in Poscritto alla logica della scoperta scientifica e Congetture e confutazioni. Nel 1977 pubblica un saggio L’io e il suo cervello con il neurofisiologico e premio Nobel John C. Eccels sul rapporto mente-corpo. Negli ultimi anni della sua vita pubblica una serie di saggi, tra cui Una patente per la TV, per esporre la sua critica contro la televisione che vede come un veicolo per il diffondersi della violenza e dell’intolleranza.

Il contributo più significativo di Popper alla filosofia è la sua teoria della falsificabilità, che ha rivoluzionato la comprensione della scienza. Invece di cercare di dimostrare che una teoria è vera, Popper ha sostenuto che il compito della scienza sia principalmente quello di dimostrare che una teoria è falsa. In altre parole, una teoria scientifica dovrebbe essere formulata in modo tale da essere soggetta a prove empiriche che possano confutarla. Se una teoria supera tutte le sfide e le prove empiriche, può essere considerata scientificamente valida, ma rimane sempre aperta alla falsificazione.

Questo concetto di falsificabilità ha aperto la strada per una concezione più rigorosa della scienza, sfidando il principio della verifica, secondo il quale una teoria è scientifica solo se può essere verificata. Popper ha sottolineato che la verifica è problematica poiché è sempre possibile trovare prove che confermano una teoria senza mai dimostrarla definitivamente vera. Al contrario, la falsificabilità mette alla prova la robustezza delle teorie scientifiche. Una teoria scientifica non si può dimostrare, al massimo più essere ritenuta più verosimile tra le altre, perciò la scienza viene considerata un percorso infinito di avvicinamento alla verità, intesa come spiegazione esauriente del mondo.

Lo sviluppo della sua teoria sulla falsificabilità è stato fortemente influenzato dalle scoperte scientifiche dei suoi tempo, come anche lo stesso Popper ha affermato in diverse interviste. Nel corso della sua vita, da un’università a un’altra, ha avuto l’occasione di conoscere e collaborare con diversi scienziati, come Niels Bohr e soprattutto Albert Einstein. Popper, infatti, ha rivelato durante un’intervista radiofonica del 1967 l’importanza che il suo rapporto con Einstein ha avuto sulla sua filosofia della scienza: addirittura la sua epistemologia ha iniziato a svilupparsi dopo aver assistito nel 1919 a una conferenza tenuta da Einstein, in cui incitava gli scienziati di tutto il mondo a dimostrare attraverso esperimenti la fallacia della sua teoria rivoluzionaria sulla relatività.

Quindi la scienza secondo Popper è una “ricerca senza fine” (titolo della sua autobiografia, pubblicata nel 1974), sempre insoddisfatta dei propri risultati e con la speranza di scoprire nuovi errori nelle proprie teorie. E in tale modo si muove anche la democrazia, seconda grande passione di Popper. Nel suo saggio La società aperta e i suoi nemici, la cui stesura è iniziata il giorno dopo l’annuncio dell’invasione dell’Austria da parte della, espone la sua convinzione che la politica dovrebbe essere strettamente intrecciata con il metodo scientifico, vale a dire che dovrebbe procedere per confutazioni e errori. Come nella scienza non esiste una verità assoluta, anche nella democrazia non esistono autorità assolute, e per questo un governo democratico secondo Popper è in grado di auto-correggersi, quindi migliorarsi.

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