Il 5 settembre (data in cui, nel 1850, il Príncipe Dom Pedro II decretò la creazione della Província do Amazonas) si celebra la giornata indetta dall’Articolazione dei Popoli Indigeni del Brasile (APIB) per sensibilizzare il mondo intero sulla tragica situazione che colpisce la foresta amazzonica e per riflettere sul legame fra deforestazione, crisi climatica e violazione dei diritti umani.

La Foresta amazzonica si estende su una superficie di 6,7 milioni di km². È la foresta pluviale più grande rimasta sulla Terra, si sviluppa sul territorio di ben nove Stati sudamericani (Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname, Venezuela e Guyana francese). La porzione più ampia, le cui dimensioni vanno oltre quelle dell’Europa occidentale, è situata in Brasile.

La foresta amazzonica è un patrimonio naturale inestimabile da cui dipende l’intera esistenza stessa del nostro Pianeta. Lo stato di salute di questa prezioso habitat, infatti, è appeso a un doppio filo insieme a quello del clima globale.

La temperatura elevata e costante tutto l’anno, le piogge in grandi quantità sono le condizioni perfette che garantiscono livelli altissimi di biodiversità, da quella vegetale a quella animale.

La vegetazione è formata per l’80% da alberi e solo il restante 20% è costituito da piante erbacee, questo fa sì che il 99% della luce solare non raggiunga il suolo. Lungo le sponde dei fiumi e dove si aprono delle radure per la conformazione del terreno o perché è caduto un grande albero, le giovani piante trovano le condizioni per crescere.

Un altro elemento di grande ricchezza è rappresentato dall’eterogeneità della foresta, soprattutto se la paragoniamo alle nostre foreste temperate dove in genere una o poche specie sono dominanti. Nei dintorni di Manaus in un’area di 1.000 mq sono state censite ben 110 specie di alberi con il diametro del tronco superiore a 2,5 metri.

L’Amazzonia assorbe da 150 a 200 miliardi di tonnellate di Carbonio, equivalenti da 367 a 733 gigatonnellate di CO2 e rappresenta uno degli elementi fondamentali dell’equilibrio climatico del Pianeta.

Le foreste pluviali forniscono dal 17 al 20% dell’acqua dolce della Terra, per comprendere come funzioni la foresta a contenere questa immensa massa d’acqua occorre pensare che ¼ della pioggia che cade sulla foresta, viene trattenuta dalle foglie e non arriva mai al suolo.

Il Rio delle Amazzoni raccoglie tutta l’acqua del bacino amazzonico e con sé trasporta una enorme quantità di detriti che riversa nell’oceano. Il Tamigi non trasporta nemmeno in un anno il volume d’acqua che il Rio delle Amazzoni trasporta in un solo giorno.

La deforestazione è la causa primaria che minaccia la sopravvivenza del polmone verde del nostro Pianeta. Soltanto nel territorio brasiliano viene eliminata una superficie di foresta pluviale equiparabile a oltre tre campi da calcio al minuto.

Una delle tecniche più usate per espandere le aree per le coltivazioni, gli allevamenti e le miniere è l’uso del fuoco. La tecnica chiamata slash and burn, ovvero taglia e brucia, va avanti ettaro dopo ettaro finché, eliminata la foresta, i terreni rimangono argillosi, vengono dilavati dalla pioggia e diventano sterili per le coltivazioni in pochissimo tempo, e al posto della vegetazione secolare si fanno largo coltivazioni di soia o mandrie di bovini.

Negli ultimi 20 anni un’area compresa tra i 103.079 e i 189.755 km² è stata colpita da incendi, con impatti negativi sull’85% delle specie che vi abitano. Secondo i dati forniti dall’INPE (National Institute for Space Research) nei primi 6 mesi del 2022 sono andati distrutti quasi 4.000 km² di foresta amazzonica, oltre 3 volte la superficie di Roma. Con il nuovo governo brasiliano di Luiz Inácio Lula da Silva la deforestazione è diminuita nei primi 6 mesi di quest’anno, ma i focolai divampati in Amazzonia nel 2023 hanno registrato un aumento del 5,3% rispetto al medesimo periodo del 2022. Gli incendi si concentrano principalmente negli Stati di Mato Grosso, Maranhão e Pará, dove l’industria agroalimentare continua a espandersi a scapito della più grande foresta pluviale del Pianeta.

L’allarme deriva anche dal fatto che ormai, la capacità di resilienza dell’ecosistema forestale, ossia la capacità di ritornare allo stato iniziale a seguito di un perturbamento, sta progressivamente e inesorabilmente diminuendo.

L’Articolazione dei Popoli Indigeni del Brasile

L’APIB è stata creata dal movimento indigeno a Camp Terra Livre (ATL) nel 2005.

ATL è la più grande mobilitazione indigena nazionale, che riunisce ogni anno, sulla spianata dei ministeri, a Brasilia-DF, la capitale del Brasile, più di 1000 leader provenienti da tutte le regioni del paese. La manifestazione ha lo scopo di aumentare la consapevolezza sulla situazione dei diritti indigeni e rivendicare dal governo brasiliano la realizzazione delle sue richieste.

APIB è un esempio di riferimento nazionale del movimento indigeno in Brasile, creato dal basso verso l’alto. Riunisce le organizzazioni regionali indigene ed è nata con lo scopo di rafforzare l’unità dei popoli, l’articolazione tra le diverse regioni e organizzazioni indigene nel paese, oltre a mobilitare i popoli indigeni e le organizzazioni contro le minacce e le aggressioni contro i diritti indigeni.

Fanno parte dell’APIB otto organizzazioni indigene regionali: Articolazione dei popoli indigeni nel nord-est, Minas Gerais e Espírito Santo (APOINME), Consiglio del popolo Terena, Articolazione dei popoli indigeni del sud-est (ARPINSUDESTE), Articolazione dei popoli indigeni del sud (ARPINSUL), Grande Assemblea del popolo Guarani (ATY GUASU), Coordinamento delle organizzazioni indigene dell’Amazzonia brasiliana (COIAB) e Commissione Guarani Yvyrupa.

Recentemente l’APIB ha definito “frustrante” la Dichiarazione di Belém, il documento finale firmato dagli otto Paesi (Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname e Venezuela) al termine del vertice dell’Organizzazione del Trattato di Cooperazione Amazzonica (ACTO). 

Nella Carta di Belém, gli otto paesi ACTO stabiliscono un’alleanza per combattere la deforestazione per evitare che l’Amazzonia raggiunga il punto di non ritorno. Ma senza fissare scadenze.

In un comunicato dove si afferma che il documento doveva essere “più ambizioso” in termini di obiettivi per la conservazione della foresta, il coordinatore esecutivo dell’associazione Kleber Karipuna ha dichiarato: “Comprendiamo la diversità dei dibattiti e riconosciamo gli impegni politici assunti, ma l’assenza di obiettivi specifici e oggettivi relativi alle popolazioni indigene e all’ambiente è frustrante”. APIB ha quindi chiesto ai paesi di definire azioni puntuali per impedire all’Amazzonia di raggiungere il cosiddetto punto di non ritorno della foresta. Tra questi la delimitazione delle terre indigene, il catasto dei territori e la creazione di unità di conservazione.

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