Si passa ora la parola alla docente Valastro, che ha accompagnato nella loro formazione i giovani pianisti Filippo Gambassi e Lorenzo Del Conte precedentemente intervistati.
Che significato dà alla musica?
«La Musica è la mia vita, un elemento di legame con gli altri, un grande amore iniziato sin dall’asilo!».
Come si è evoluto il suo rapporto con la musica?
«La maestra dell’asilo era diplomata in Pianoforte e, non avendo spazio in casa per lo strumento, lo portò a scuola dove, suonandolo, faceva cantare e avvicinare ad esso noi bambini. Nella mia famiglia nessuno era musicista (anche se la musica si ascoltava quotidianamente, in casa, nei teatri, nella sale da concerto), ma io a cinque anni ottenni di cominciare a suonare, nonostante nella Matera di fine Anni Sessanta, città in cui vivevo, non ci fossero docenti di Pianoforte né, all’epoca, un Conservatorio di Musica. Un’insegnante del Conservatorio di Bari, che viveva a Matera, accettò comunque di iniziarmi allo studio del Pianoforte nonostante la tenera età e cominciò così la mia vita con la Musica.
A causa dei continui trasferimenti della mia famiglia (mio padre era un funzionario dello Stato, Dirigente, e veniva trasferito spesso), a quasi sette anni di età mi trasferii a Campobasso (dove c’era una sola maestra di Pianoforte in tutta la cittadina) e dall’età di dieci anni a Verona, città della musica per antonomasia, dove c’era un ottimo Conservatorio. Qui cominciai a studiare Pianoforte sotto la guida di una pianista d’eccellenza, Laura Palmieri (allieva del grande Maestro Arturo Benedetti Michelangeli) che pretendeva uno studio serio e con la quale iniziai veramente la mia formazione pianistica, parallelamente, dopo il conseguimento della licenza media, alla frequenza di duri studi liceali (Liceo Classico). Le due cose erano faticose da gestire insieme: in quegli anni eravamo “mosche bianche”, ragazzi che portavano avanti parallelamente due percorsi di studi così impegnativi, ma sentivo che fosse necessario, sia perché desideravo avere una formazione completa (essendo anche particolarmente portata per gli studi), sia perché la musica era una passione che sembrava non poter garantire un futuro lavorativo stabile.
Successivamente, all’età di diciannove anni, trasferitami con la famiglia a Firenze dopo aver conseguito la maturità classica, continuai con gli studi di Conservatorio di Pianoforte sotto la guida di un’altra pianista e didatta di eccellenza, Lucia Passaglia (anche la sua scuola aveva assorbito il pianismo di Arturo Benedetti Michelangeli) e parallelamente mi iscrissi alla facoltà di Giurisprudenza, sempre assecondando le mie inclinazioni e nell’ottica di avere più strade lavorative aperte. Dopo aver conseguito il diploma (ora equiparato a laurea) di Pianoforte, superai l’esame di ammissione alla classe di Clavicembalo presso il Conservatorio Cherubini di Firenze, entrando nella classe di un’altra valida docente, la clavicembalista Anna Maria Pernafelli, portando avanti parallelamente gli studi cembalistici e quelli giuridici, frequentando altresì varie masterclass ed avvicinandomi contemporaneamente anche all’attività concertistica sia con il Clavicembalo sia con il Pianoforte (in particolare nella formazione di duo pianistico a quattro mani insieme a mio fratello Angelo, che stava portando avanti, dopo gli studi di Liceo Classico, quelli di Pianoforte, Composizione e Lettere Classiche). Nel 1990, quindi, conseguii prima il diploma in Clavicembalo e poi la laurea in Giurisprudenza.
Terminati gli studi accademici, cominciai a darmi da fare per entrare nel mondo del lavoro. Durante gli anni di formazione a Verona, la Maestra Palmieri aveva avuto il grande merito di insegnarmi ad insegnare: sin dall’età di tredici anni cominciai ad aiutarla nelle lezioni a bambini molto piccoli, appassionandomi all’insegnamento dello strumento. Quindi in quegli anni insegnavo privatamente Pianoforte, svolgevo attività concertistica, frequentavo masterclass di Pianoforte, Musica da Camera e Clavicembalo, ero tirocinante nella classe di Clavicembalo del Conservatorio Cherubini e svolgevo la pratica presso uno studio legale di Firenze.
Vinto il concorso a cattedra per l’insegnamento della Musica nelle Scuole Medie, entrai subito in ruolo e lavorai per due anni in Abruzzo, dove instaurai un rapporto straordinario con gli alunni. Fui così enormemente incoraggiata a proseguire nell’insegnamento nella scuola, strada di cui inizialmente non ero sicura. Vivevo divisa tra mondo musicale di insegnamento della Musica nelle Scuole (prima in provincia di Chieti, in Abruzzo, poi in provincia di Prato e Firenze), attività concertistica e pratica legale. Superato, quindi, il concorso per l’Avvocatura, mi iscrissi all’albo degli Avvocati presso la Corte d’Appello di Firenze e successivamente, sempre per la preoccupazione del “non si sa mai nella vita”, vinsi anche il concorso per l’abilitazione all’insegnamento di Diritto e Economia.
Tuttavia questa vita intensa sul piano lavorativo ha in qualche modo sacrificato la mia vita privata. Pian piano ho comunque dovuto abbandonare l’Avvocatura qualche anno fa, non riuscendo più a sostenere insieme le diverse attività. Ho anche ridotto l’attività concertistica dedicandomi in modo completo all’insegnamento e assumendo anche diversi incarichi nelle scuole nelle quali ho insegnato.
Nei miei ormai 31 anni di docenza di ruolo, ho insegnato Musica nelle Scuole Medie e Pianoforte nei Licei Pedagogici passando poi, avendone i titoli, ad insegnare Pianoforte nelle Scuole Medie ad Indirizzo Musicale e in seguito, dopo l’attivazione, con la riforma Gelmini, dei Licei Musicali, Pianoforte presso il Liceo Musicale Alberti-Dante di Firenze».
Quale pensa sia l’importanza di concerti in cui giovani musicisti possano esibirsi?
«Il mondo accademico fa studiare, ma non prepara a saper trasmettere la propria passione, né a gestire l’emozione che si prova nell’esibirsi davanti a un pubblico. Avendo provato il terrore del pubblico a causa dell’emotività e del fatto che non ero stata abituata ad affrontarlo, ho capito l’importanza delle esperienze concertistiche nella formazione dei ragazzi. Personalmente mi sono messa in gioco nonostante lo scarso supporto in questo senso, e ora mi preme che i giovani musicisti siano guidati ad affrontare il pubblico. Quando ricoprii l’incarico di referente dell’indirizzo musicale del Liceo Alberti/Dante, feci di tutto per far esibire gli studenti, anche in luoghi e sale molto prestigiose (come, a Roma, Montecitorio e il Quirinale). Ciò ha fatto crescere enormemente i ragazzi e mi riempie di gioia sapere di ex-alunni che, continuando a coltivare la loro passione e a studiare nei Conservatori, riescono ad esibirsi in pubblico e ad intraprendere anche una carriera concertistica. Proprio in quest’ottica ho organizzato il concerto del 27 giugno del mio ex alunno Lorenzo Del Conte».
A suo avviso, che ruolo dovrebbe avere la musica nella vita dei giovani, anche non musicisti?
«Ritengo che la Musica debba essere nella vita di ciascuno sin dallo stadio fetale! Consiglio ai miei studenti l’ascolto di musica di ogni genere. La mia formazione è passata dalla fruizione della Musica di tutti i generi e gli stili musicali: anche il Jazz, che ad esempio non rispecchia molto i miei gusti, ma anche il Rock ed il Rap, generi a me più congeniali. Non sono una docente musicista che ascolta soltanto musica classica: per fare un esempio, a me (anche clavicembalistica, specializzata in musica antica e barocca) piace anche la musica di un complesso come quello dei Måneskin : la loro musica piace perché di buona qualità, gli arrangiamenti delle loro canzoni sono di alto livello, nei loro brani riecheggia un po’ tutta la Storia della Musica dal Canto Gregoriano in poi. Quindi sono convinta che il loro successo a livello mondiale non sia soltanto legato al loro modo di presentarsi in pubblico, al loro look, al loro essere “personaggi”. Infine, sono molto contenta di aver istruito e avvicinato tanti giovani al mondo dei concerti, dell’opera lirica e del fatto che ex-alunni, anche di vecchia data, mi fanno sapere della loro tenace passione per questo mondo grazie a esperienze indimenticabili fatte in passato, come incontri con personaggi rilevanti del mondo musicale, quali Riccardo Muti e Zubin Mehta.
Insomma, la Musica accomuna e avvicina i popoli; per chi ha fede, come me, la Musica è un dono di Dio ed avvicina a Dio (tra le altre cose, da 29 anni a questa parte faccio un servizio di volontariato suonando l’organo e dirigendo un Coro Liturgico Parrocchiale). Chi fruisce della Musica e soprattutto fa Musica, non sarà mai solo e avrà sempre una ragione di vita».
E infine, la parola alla scienza. Cosa ci dice della musica?
«La musica ha guidato l’umanità nel contesto sociale e religioso dagli albori della civiltà; per secoli filosofi, scienziati, persone comuni ne hanno osservato il potere emotivamente liberatorio quanto necessario. La comunicazione verbale infatti richiede uno sforzo razionale, talvolta addirittura vano – si pensi ai quotidiani fraintendimenti; invece la musica offre un canale di sfogo alle emozioni senza pari. È inafferrabile, ma allo stesso tempo concreta nei suoi effetti di cambiare stati d’animo. Già Pitagora, Platone, Aristotele ne intuirono il potere incantatorio e calmante, il potenziale conoscitivo , e nella cultura e nel mito greci il ritmo e l’armonia costituivano il principio ordinatore del cosmo. Esiste infatti la musicoterapia, disciplina atta a lenire disagi psico-fisici attraverso l’ascolto o l’esecuzione di musica scelta da un musico-terapeuta, che mastica musica e medicina, e nacque ufficialmente nel 1749 col trattato Reflections on Antient and Modern Music with the Application to the Care of Disease del medico e musicista Richard Brocklesby.
Studi più recenti, come quelli condotti dal neurologo britannico Oliver Sacks negli Anni Cinquanta, ne dimostrano anche la capacità di stimolare ricordi, oltre che emozioni, persino in pazienti affetti da Alzheimer. Ancora più recentemente, la facoltà di Medicina della Stanford University ha dimostrato attraverso risonanza magnetica come il semplice ascolto della musica coinvolga e quindi eserciti più aree del cervello: quella di memoria, creatività, calcolo e concentrazione. Oltre a ciò, sembra che siano positivamente influenzati dalla musica la socievolezza, la capacità di coordinamento motorio, la circolazione sanguigna e lo sviluppo emotivo e linguistico, specie nei bambini. Certamente sarà più difficile trarre benefici da impietose e aggressive schitarrate ma, non essendo la musicoterapia una medicina effettiva, si lasciano certi margini di soggettività. Tuttavia, l’ascolto della musica attiva oggettivamente il rilascio del neurotrasmettitore dopamina, l’ormone della felicità, dovuto all’attivazione del sistema della ricompensa, un circuito della struttura cerebrale del sistema limbico. Esso infatti si attiva per rilasciare sensazioni di benessere in seguito a attività piacevoli, come mangiare e, appunto, ascoltare buona musica.
Di conseguenza, la guida di un musico-terapeuta è consigliabile in ambito educativo e riabilitativo, di ricerca di una maggiore motivazione o fiducia nel relazionarsi; è complementare a trattamenti di disagi più o meno patologici, tra cui autismo infantile, schizofrenia, afasia, dolori cronici e psicosomatici, a scanso di abuso di medicinali. Persino il feto, a supporto del consiglio della Prof. Valastro, sembra trarne beneficio nel suo sviluppo psicofisico, soprattutto trattandosi di musica classica lineare e stimolante. È bene però non aspettarsi miracolosi “effetti Mozart” per cui si assisterebbe a sorprendenti sprazzi di intelligenza matematica dopo l’ascolto di musica classica.
Si conclude quindi questo articolo dedicato alla bontà della musica con un augurio di buon proseguimento ai musicisti che ci hanno gentilmente concesso l’intervista, e uno indistinto di coltivazione di questo bene comune. Infine, con la citazione di un calzante aforisma di Nietsche, per cui «senza musica la vita sarebbe un errore».