Dopo tre anni dall’ultima rappresentazione della penultima opera verdiana al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, è tornato in scena l’Otello, opera di Giuseppe Verdi, scritta sul libretto del poeta-musicista Arrigo Boito e tratto dall’omonima tragedia shakespeariana, con cui la trama si differenzia solo per la mancanza nella versione di Verdi di un retroscena iniziale, originariamente presente all’inizio della tragedia di Shakespeare, il cui scopo era quello di rendere la drammaturgia la più incalzante possibile. L’opera si apre dunque con l’arrivo di Otello, generale dell’Armata Veneta, nell’isola di Cipro, dove dopo un difficile attracco viene festeggiato per le sue vittorie contro i musulmani. Ad accoglierlo c’è anche Jago, l’alfiere che nutre un profondo odio per Otello e che farà di tutto per ricevere quell’incarico di Capitano da lui desiderato, portando il povero Otello all’omicidio dell’amata Desdemona e al suo successivo suicidio. La versione del Teatro del Maggio, interpretata dal direttore d’orchestra Zubin Mehta, ormai conosciuto e amato dal pubblico fiorentino, e dal regista Valerio Binasco, che riprende la direzione artistica di João Carvalho Aboim, è stata rappresenta per la prima volta il 20 Maggio 2023 e sarà esibita nuovamente e per un ultima volta il giorno 31 Maggio. L’opera ha lasciato qualche peplessità: infatti è mancata quella potenza sia visiva che musicale, necessaria a far appassionare il pubblico che comunque , a onor del vero, ha calorosamente applaudito; partendo dalla regia di Valerio Binasco essa risulta molto statica: la recitazione è risultato nel complesso poco espressiva, a parte casi particolari in cui si sono riuscite a trasmettere al meglio le emozioni dei personaggi come nell’ultima scena in cui Otello distrutto dalle sua follia e dalle azioni da lui compiute decide di suicidarsi accanto al corpo dell’amata assassinata da lui stesso poco prima, episodio sceneggiato da Binasco con grande trasporto e in grado di trasmetterci empatia per il personaggio. Le scene di Guido Fiorato a loro volta non sono state del tutto convincenti, infatti non sempre si capisce l’utilità di alcuni espedienti scenografici, come i due palazzi ai lati della scena, onnipresenti durante tutta l’opera, ma mai utilizzati se non nel secondo atto in cui Cassio vi si ritira a parlare per pochi minuti con Desdemona; sembra così che Fiorato non abbia seguito la tendenza contemporanea che preferisce una scena minimalista e a volte eccessivamente povera, ma al contrario la sua scena è troppo ricca e riduce la percezione dell’importanza degli eventi. Per quanto riguarda i costumi di Gianluca Falaschi, si può dire che essi risultano al quanto incoerenti, infatti guardando ad essi non riusciamo ad orientarci temporalmente, in quanto sono presenti contemporaneamente sul palco soldati vestiti con corazze ed elmetti e ufficiali come Jago e Cassio vestiti con abiti e berretti che risultano molto più simili ad uniformi di rappresentanza della seconda guerra mondiale. Infine, per quanto riguarda la parte registica, abbiamo le luci di Pasquale Mari, al quale non si può rimproverare niente: infatti sono state in grado di riportare quell’atmosfera cupa che si addice all’Otello di Verdi, senza però essere eccessiva nei contrasti fra luce e buio. Passando alla musica possiamo dire che non troviamo uno Zubin Mehta al meglio della sua forma, infatti nella direzione del maestro non vi è stata una grande collaborazione fra la buca d’orchestra e il palcoscenico: in alcune parti dell’opera più significative e sinfonicamente più potenti, il complesso orchestrale è risultato un po troppo sopra il canto rendendolo poco comprensibile; inoltre la direzione con i “tempi lunghi” propri talvolta del maestro, se nelle parti più solenni rende l’ascolto ancora più piacevole e significativo, in quelle musicalmente complesse ha lasciato un po’ perplessi, dando ancora l’impressione di una sintonia non perfetta col palcoscenico.. Il coro diretto da Lorenzo Fratini, insieme a quello delle voci bianche istruito da Sara Matteucci, hanno messo in scena un’ottima prestazione, riuscendo con grande precisione a dare enfasi e potenza allo spettacolo, sopratutto all’inizio con il famoso coro Una vela! Un vessillo, che ha aperto al meglio. Tutti i cantanti a loro volta sono riusciti a dare una degna interpretazione dei loro personaggi e tra loro si nominano: il tenore armeno Arsen Soghomonyan con Otello, che risulta molto espressivo nella dizione, ma purtroppo in alcune parti un po fiacco e impreciso; Jago è affidato invece a Luca Salsi, il quale ha compiuto un ottima messa in scena del suo personaggio distinguendosi come al suo solito per la sua nota potenza vocale che lo esenta dunque dai problemi di sovrapposizione fra orchestra e palco accennati poco prima; Zarina Abaeva interpretata invece Desdemona, che è riuscita ha dare un’interpretazione musicale ottimale, con una voce nitida, senza sbavature e una dizione ottima; buono anche il Cassio di Joseph Dahdah, il quale non ha avuto ne eccessi positivi ne negativi. Tra gli altri attori interpreti dei personaggi secondari si hanno: Eleonora Filipponi con la sua Emilia e il Lodovico di Adriano Gramigni, il Montano di Eduardo Martinez, il Roderigo di Francesco Pittari e l’Araldo di Matteo Mancini. L’opera, a cui il pubblico ha partecipato in gran numero, si è conclusa con i consueti applausi e l’usuale saluto al maestro Mehta, il direttore emerito a vita dell’Orchestra del Maggio, per il quale il pubblico fiorentino nutre giustamente un grande affetto.
La recensione si riferisce alla recita di martedì 23 MAGGIO.