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Un cuore che torna a battere dopo più di 20 minuti: lo straordinario trapianto a Padova

La stessa città veneta in cui il 14 Novembre 1985 è stato eseguito il primo trapianto di cuore nel nostro paese; ha raggiunto, l’11 maggio scorso, un altro strabiliante traguardo: un cuore, fermo da 20 minuti è stato trapiantato con successo.
A ricevere il cuore è un uomo di 45 anni con una patologia cardiaca congenita che lo ha portato a subire un precedente intervento già in età pediatrica (correzione radicale canale atrio-ventricolare parziale nel 1982, reintervento di plastica valvolare mitralica e tricuspidalica, chiusura del difetto interatriale, radioablazione nel 2018). Il paziente era in lista per il trapianto da ormai tre anni. Il donatore invece è un uomo colpito dalla così detta “morte cardiaca“. Il sorprendente intervento è stato eseguito dall’équipe del professore e cardiochirurgo Gino Gerosa.


Non è la prima volta che in Italia si esegue un trapianto DCD (Donation After Cardiac Death) con altri organi, in particolare fegato e reni, ma non era mai stato tentato con il cuore. Differentemente, in altri paesi questo tipo di intervento è già praticato, questo perché l’espianto è autorizzato dopo (in media) 3-5 minuti dalla constatazione dell’elettrocardiogramma piatto. La legge italiana prevede che la donazione possa avvenire solo dopo l’esecuzione di un elettrocardiogramma protratto per un tempo di almeno 20 minuti. Trascorso questo tempo si considera irreversibile la perdita delle funzioni encefaliche, e quindi la morte dell’individuo (dalla Legge 29 dicembre 1993 n. 578 e dal D.M. 11 aprile 2008 n. 136 che aggiorna il D.M. 22 agosto 1994 n. 582).


Oltre ai 20 minuti di Ecg dobbiamo considerare altri 20 minuti di warm ischemia time cioè il tempo in cui il cuore si sta fermando ed in cui il paziente non è ventilato, il cuore quindi è in sofferenza. Di conseguenza l’organo trapiantato dal professor Gerosa è stato in arresto per ben 44 minuti: nessuno avrebbe immaginato che sarebbe ripartito con una capacità contrattile del 70% praticamente come un cuore normale. “L’eccezionalità sta proprio nei tempi”, afferma difatti il professor Gino Gerosa, e poi sottolinea : “Una volta avuta l’autorizzazione dal Centro Nazionale trapianti, ci siamo riusciti al primo tentativo”. E ancora spiega: “Ci eravamo preparati. Da diversi mesi lavoravamo sia in ambito sperimentale sia clinico, mettendo a punto una tecnica per poter gestire il donatore prima dell’arresto cardiaco e poi la riperfusione di questo cuore . Dopo aver perfuso il cuore per circa due ore, sempre all’interno del donatore cadavere, ne abbiamo valutato la funzione di pompa. Era estremamente soddisfacente, quindi abbiamo prelevato l’organo, trasportato a Padova e trapiantato”.


Questo formidabile passo avanti potrebbe portare all’incremento del 30% del numero di organi disponibili, comportando tempi di attesa notevolmente ridotti. Tuttavia Gino Gerosa è anche un pioniere nella ricerca per la realizzazione di un cuore artificiale italiano, migliore dei prototipi nordamericano e francese. Solo ciò, a detta del professore diminuirebbe esponenzialmente il rischio che un paziente cardiopatico terminale muoia in lista d’attesa.


Ancora una volta è la sanità del Veneto a varcare una nuova frontiera della medicina. Da oggi la cardiochirurgia non sarà più come prima, perché si apre una prospettiva che può ridare speranza a tanti malati che attendono un trapianto di cuore. Lo dobbiamo, con gratitudine, all’intera Azienda Ospedale Università di Padova, al professor Gino Gerosa e alla sua équipe e al dott. Paolo Zanatta, direttore dell’Anestesia e Rianimazione del Ca’ Foncello, che ha eseguito il prelievo dell’organo. Straordinari professionisti, ai quali vanno i nostri orgogliosi complimenti”, con queste parole è intervenuto Luca Zaia, presidente della regione Veneto, durante la conferenza di presentazione di questo, straordinario, intervento.

La presentazione si conclude con una frase dal forte impatto, una dedica e un messaggio di speranza che l’Azienda Ospedale Università di Padova rivolge ai suoi pazienti:

“Questo è solo l’inizio…
Per noi, per i nostri pazienti che muoiono in
lista, per quelli che muoiono senza che
nessuno dia un senso alla loro morte, che
già non ha senso.”

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