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Le interviste del Leo 77: Francesco Pasqualetti, direttore d’orchestra e autore del successo editoriale “La regina della notte”. Quando la musica scandisce i tempi della storia …

Il libro del maestro Pasqualetti sarà presentato a Firenze dal LeoMagazine  e dalla Libreria Gioberti il prossimo Mercoledì 3 Maggio alle 17.30 presso l’oratorio salesiano, via Gioberti 33 (piano primo)

Il mondo della musica si sa, può nascondere molto più di quanto si pensi. È il caso di Francesco Pasqualetti, direttore d’orchestra ed insegnante di lettura della partitura al Conservatorio G. Puccini di La Spezia, che ha debuttato recentemente anche nell’ambito letterario con il suo libro La regina della notte, riscuotendo un notevole successo. Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo riguardo questo suo nuovo libro e alla sua attività di direttore d’orchestra.

La regina della notte è il suo primo romanzo: come le è venuta l’ispirazione?

Lo ricordo molto bene: stavo dirigendo Il Matrimonio segreto di Cimarosa, proprio una delle opere che è al centro del dell’intreccio poi della Regina della notte, al Teatro Regio di Torino; era il marzo del 2013, quindi esattamente 10 anni fa. In genere cerco anche di fare ricerche  per approfondire il periodo storico: e scoprii delle cose già note note, ma che erano veramente singolari:  l’opera fu bissata per intero, caso unico  in tutta la storia della musica: la Boheme che pure  ha avuto un così grande successo fu forse bissata per intero? Assolutamente no. Di solito, al massimo si bissa qualche aria. Quindi è un caso unico e la cosa mi incuriosì, anche perché è un’opera di quattro ore, per cui  quella mattina uscirono dal teatro all’alba, alle 5 della mattina. Facendo delle ricerche si trova una ragione molto specifica legata alla politica di quel giorno. E poi Cimarosa, che aveva appena preso il posto lasciato libero due settimane prima da Mozart il quale aveva avuto un impegno indifferibile con la morte, fu strapagato: 15.000 ducati. Per fare un confronto:  l’imperatore gli assegna il posto di compositore imperiale, solo che gli moltiplica per 15 lo stipendio. Cioè mentre Mozart guadagnava 800 Ducati, due settimane dopo Cimarosa è ingaggiato per 15.000, e facendo i conti, perché gli storici si sono divertiti a fare anche il conto dell’inflazione, Mozart guadagnava circa 36.000 euro l’anno e Cimarosa 850.000, cioè quasi un milione di euro. Tutte queste cose erano un po’ strane, anche perché l’imperatore, cioè l’uomo più importante d’Europa, il datore di lavoro, muore due settimane dopo la prima del Matrimonio segreto. E questo imperatore Leopoldo II a noi toscani in realtà qualcosa ci dice perché era sul trono imperiale da circa un anno e mezzo, ma aveva trascorso buona parte della vita nella nostra regione, come Granduca di Toscana col nome di Pietro Leopoldo per ben 25 anni: quel famoso Pietro Leopoldo che abolisce la pena di morte e che poi, per ragioni dinastiche, passa al trono imperiale. E incrociando i dati Pietro Leopoldo, divenuto imperatore appunto da poco più di un anno muore mentre sta per salvare una certa sua sorella; molto famosa perché niente di meno che Maria Antonietta. Quindi nel febbraio del 1792, intorno al Matrimonio segreto di Cimarosa ci sono una serie di eventi che se fossero andati in modo anche leggermente diverso, la storia d’Europa sarebbe andata in una ben differente direzione. E quindi a un certo punto provare a raccontare questi fatti non è più stato un: «che bello scrivere un libro», ma è stata letteralmente una necessità, perché si tratta certo di ipotesi e probabilmente su alcune cose non si potrà mai avere la certezza assoluta, ma sono anche congetture estremamente verosimili, e comunque illuminano quei giorni in un legame fra musica e potere che è ineludibile.

Il titolo del suo romanzo è decisamente mozartiano… il suo libro si collega alla sua professione? In che modo?

 La musica è parte vitale. Innanzitutto l’idea del romanzo è nata mentre ero letteralmente sul podio a dirigere la musica di Cimarosa. E poi credo che gran parte del romanzo si componga di due grandi filoni, con  alcune cose che un musicista di professione conosce, storiche e musicali;  ma molte altre legate alla diplomazia e agli eventi di quel periodo  un musicista di professione non è di noma tenuto a conoscerle,  perché bisogna andare veramente nello specifico. Non basta sapere che nel 1789 è scoppiata la Rivoluzione Francese, bisogna guardare proprio alle lettere che si scambiavano gli ambasciatori in quel periodo. Ci pensavo qualche giorno fa, è come se un pediatra a un certo punto si fosse appassionato di astronomia e mischiando le due discipline avesse trovato un punto di incontro molto singolare, così singolare che ci svela per esempio una novità. Un esempio: un certo diplomatico russo, che si chiama Razumovskij è famoso nella storia della musica perché Beethoven gli dedica nientemeno che la quinta e la sesta sinfonia, eseguite peraltro per la prima volta a casa dello stesso conte: ma non si sapeva che per vent’anni prima di conoscere Beethoven Razumovskij era stato il protettore di Cimarosa e questa è una novità per gli appassionati di storia della musica. Ma poiché ciò avviene proprio nel 1792, potrebbe anche essere un segnale di alcuni fatti criminali avvenuti proprio nella Vienna di quel momento. Quindi la musica c’entra moltissimo, anche perché l’esperienza di produrre e dirigere musica in un certo senso è stata anche la guida: c’è come una tensione musicale a cui un musicista di professione è abituato, quando segue il direttore che  indica la direzione della frase musicale. Così, nello scrivere il romanzo, ritrovo questa tensione di andare da una sensazione verso un’altra, come la musica va da un’emozione a un’altra, da un primo tema a un secondo, da una felicità ad una melancolia: è stata un’ispirazione costante. Per non parlare del fatto che ci sono diversi piani nel libro, diverse storie che si intrecciano e io più volte questo l’ho fatto deliberatamente, un po’ perché è andata così e un po’ perché avevo in mente il contrappunto: quindi storie che si intrecciano come temi che si intrecciano, e poi a un certo punto scopri che quel tema che pensavi fosse tutt’altra cosa in realtà è la seconda parte del primo … pensavi di ascoltare due cose separate e invece erano una cosa sola. E questa è un po’ la storia che si racconta: due vicende, due o tre storie che sembrano separabili, che invece a un certo punto si riuniscono in un precipitoso collasso. Si potrebbe dire, per usare un termine più fisico, in un punto specifico di densità enorme.

Come ha impostato il rapporto storia-invenzione in questo suo romanzo? Accennava prima ai fatti criminali di Vienna. Pensando anche a tutte le leggende che ci sono come l’avvelenamento di Mozart, il coinvolgimento di Salieri e molte altre, quanto secondo lei c’è di vero in tutto ciò?

Allora, comincio da Salieri è che la cosa più facile. Ovviamente la parola definitiva ce l’ha Dio. Tuttavia, la vulgata che sia stato Salieri ad avvelenare Mozart è storicamente quanto di più improbabile. Anche perché questa leggenda ha un inizio ed un inventore che hanno un nome e un cognome, che non ha nulla a che vedere con la storia perché il mito di Salieri, avvelenatore di Mozart l’ha inventato Puskin in una sua novella nel 1836, quindi a distanza di quasi cinquant’anni. È un racconto impregnato di romanticismo, cioè del genio che è toccato da Dio e del buon artigiano che è geloso. Ciò si sposa benissimo con gli ideali romantici del genio incomprensibile così bravo da diventare odioso, ma non ha nulla a che fare con quello che ci racconta Mozart del rapporto con Salieri. E neppure con ciò che Salieri fa per Mozart: il Così fan tutte, che è un’opera di Mozart del 1790, era stata commissionata a Salieri (infatti le prime battute de La mia Dorabella all’inizio del primo terzetto sono di Salieri), solo che quest’ultimo era pieno di lavoro e Mozart moriva di fame in quel momento, quindi gli passò il compito. Questo è un atto di amicizia, quanto mai desueto soprattutto per gli artisti del tempo. Quindi ci sono tracce storiche piuttosto significative, così come Mozart nell’ultima lettera che scrive cita Salieri e dice: “L’ho preso in carrozza, siamo andati a vedere la recita del Flauto magico. Era felicissimo, mi ha applaudito”. Quindi Mozart poteva anche essere un semplicione da un punto di vista delle relazioni umane, ma veramente non si era accorto di avere il suo avvelenatore davanti durante gli ultimi anni? Tuttavia che la morte di Mozart sia un mistero è innegabile. Questo anche perché di Mozart non esiste una tomba. È una cosa di una gravità sconvolgente, la sappiamo tutti e la accettiamo tutti. Il compositore di corte gettato in una fossa comune non ha veramente senso. Quindi è avvenuto qualcosa di strano. Per quanto riguarda il rapporto storia-invenzione ogni capitolo è interamente ispirato a ciò che leggevo sui libri, e ne ho studiati almeno un’ottantina in quattro lingue, facendo ricerche fra New York, Londra e facendomi stampare dei manoscritti settecenteschi da microfilm. Quindi è stata una ricerca molto accurata. E ho inventato il meno possibile per due ragioni: prima di tutto perché inventando molto su una cosa che amo avrei prima di tutto tradito me stesso. Gli ultimi istanti di Mozart li ho raccontati secondo la fedele biografia. Certamente il fatto nuovo è che incrociando i dati con la storia della diplomazia ne esce un quadro del tutto diverso, cosa che gli storici sorprendentemente non hanno fatto. Io parlavo con un importante storico della musica e diceva: «Razumovskij ha un contatto molto stretto con Mozart proprio nelle ultime settimane prima di morire». Per sapere la storia di Razumovskij bisogna studiarsi un libro che si chiama La seconda spartizione della Polonia, che racconta un piccolo fatto storico, almeno per noi. Queste 600 pagine sono illuminanti sulla storia della musica e finché qualche altro storico non si prenderà la briga di andare a fondo a questa ricerca sono solo io che faccio questa ipotesi. Sono abbastanza convinto che ci vorrà del tempo, ma prima o poi le farà qualcun altro. Il grande evento del 1792: un paese grande quanto la Francia, il regno di Polonia, scompare dalla cartina del mondo e viene mangiato dalla Russia (tra l’altro all’epoca il Regno di polonia includeva l’Ucraina…coincidenze). La posta diplomatica in gioco in quei mesi del 1792 era enorme. Non c’erano solo un po’ di soldi, ma l’equivalente della ricchezza di una nazione grande quanto la Polonia. Infatti, in pochi mesi essa sparisce dalla cartina d’Europa e Razumovskij è al centro di queste vicende. L’imperatore Leopoldo II proteggeva la Polonia e a mio parere doveva morire, affinché qualcuno si potesse arricchire a dismisura. Un intreccio che i libri di storia ci raccontano ma che va riscoperto e, soprattutto alla luce di alcuni eventi di storia della musica, ci restituiscono un’immagine abbastanza sorprendente degli avvenimenti di quei giorni.

Quindi crede che in qualche misura fossero coinvolti anche figure come Mozart e Cimarosa in questi intrighi internazionali?

È abbastanza certo che i musicisti dell’epoca fossero dei corrieri di informazione, oggi li chiameremmo degli agenti segreti. Ci sono notizie certe: Per esempio il maestro di canto di Maria Antonietta  era nientemeno che  Gluck, un tedesco anche se tutta la sua produzione  più importante fu francese;  l’aveva spedito la madre di Maria Antonietta, l’imperatrice Maria Teresa, perché voleva essere informata su una cosa molto particolare e molto intima, ossia le mestruazioni di Maria Antonietta.  La ragione per la quale la figlia era in Francia era infatti procreare. È un’informazione così personale, così delicata ed è proprio Gluck, nelle sue lettere a Maria Teresa, a riportarla.  I musicisti potevano infatti viaggiare liberamente, avevano accesso diretto alle stanze più intime del potere. Non per nulla Cimarosa prima di arrivare a Vienna, ha passato tre anni proprio al servizio della zarina di Russia…

Questo suo romanzo, come sta andando a livello di pubblico e di critica? Un piccolo bilancio?

Sta andando molto bene, ha attirato l’attenzione del TG 2 e di diverse testate giornalistiche, la casa editrice mi riporta cifre che sono perfino straordinarie per un esordiente. E poi una grande soddisfazione mi arriva da alcuni colleghi di storia della musica, che lo stanno adottando per i corsi di biennio perché ritengono che per la loro disciplina non sia solo un metodo o un modo per avvicinarsi a respirare l’aria di quel periodo, ma potrebbe esserci della verità. Da una parte sono innamorato del thriller in quanto tale e dall’altra sono curioso di vedere se poi in futuro alcune ipotesi saranno effettivamente confermate.

Magari anche trovando documenti nascosti da tempo?

Non è solo una questione di documenti nascosti che a volte riemergono. Faccio subito un esempio: un’altra figura importante, che è legata al Conte Razumovskij, è quella del principe Lichnowsky. Sono cognati, sono quasi fratelli, il principe è stato protettore di Mozart e questo lo sappiamo. Però il rapporto fra i due a un certo punto si complica, tanto che nel novembre del 1791 Lichnowsky intenta una causa per debiti e attinge i soldi direttamente alla fonte dello stipendio di Mozart: un mese prima di morire, Mozart ha quindi il dispiacere di vedersi decurtato lo stipendio alla fonte da chi oggi potremmo paragonare ad uno degli uomini più ricchi d’Europa che certo non aveva bisogno di risparmiare sul suo stipendio. E la cosa interessante è che questi documenti sono riemersi solo negli anni 90 del secolo scorso. Pertanto a volte succede che escano fuori dei documenti nuovi, ma  a volte i documenti sono muti se non inseriti nel contesto storico; le fonti possono essere sterili, se non contestualizzate.
Un esempio che ho trovato assolutamente incredibile; un biglietto del 4 marzo 1792 ci informa del fatto che l’ambasciatore prussiano si reca dalla vedova Mozart e chiede: la partitura della Betulia liberata, che è un’opera che Mozart ha scritto quando aveva 12 anni, delle Litaniae Sacre, altra partitura che Mozart aveva scritto da ragazzino, e del Requiem. E per queste partiture la ricopre di soldi. Firmato ambasciatore prussiano 4 Marzo 1792. Mozart era morto da tre mesi… si vede che al diplomatico prussiano piaceva la musica di Mozart, visto ciò che era successo il giorno prima. C’era stato infatti il funerale dell’imperatore Leopoldo II che era morto improvvisamente. La morte dell’uomo più importante del mondo cambia gli scenari diplomatici: l’invasione in Francia non si può più fare, la Polonia si può conquistare, è come se ora morisse il Presidente Americano da un giorno all’altro. E il giorno dopo, l’ambasciatore prussiano non ha nulla di meglio che fare che andare a prendere le partiture di Mozart?  Come se oggi  morisse Biden e l’ambasciatore tedesco non avesse di meglio da fare che andare da Lady Gaga il giorno dopo, chiedendogli dei brani che ha scritto quando aveva 10 anni e l’ultima canzone perché era un po’ compromettente… Quantomeno strano!  Con una guerra in corso! Ecco perché le fonti fuori dal contesto, perdono il loro autentico significato.


Parliamo anche un po’ della sua attività principale che è quella di direttore d’orchestra, che è sicuramente un mestiere molto affascinante. Come vive questo ruolo, e cosa significa per lei ricoprirlo ai tempi d’oggi?

Una domanda difficile. La direzione d’orchestra è il mio grande amore, sin da quando ero adolescente, il primo concerto l’ho tenuto all’età di 17 anni. Posso dire di essermi avvicinato alla musica sin da quando ero bambino ed ho avuto la fortuna di studiare con dei maestri che mi hanno passato la sensazione che il ruolo del direttore sia veramente un ruolo per così dire sacerdotale nel senso originario del termine: cioè di colui che si rende tramite fra qualcosa che non c’è e altri.  Da una parte il compositore, la bellezza della musica; dall’altra lo spettatore o ascoltatore, che però certo non può suonarsi da solo una partitura di Beethoven o di Puccini o di Mozart. C’è quindi  bisogno di tanti esecutori, e in particolare di uno che coordina tutto: il direttore d’orchestra che è quindi un po’ un tramite fra due dimensioni, di cui una  non è presente se non nella partitura che però è solo l’aspetto più materiale. Alcuni grandi filosofi dicono che la vera musica è nello spazio fra una nota e l’altra e non nelle note.  È una maniera per dire che è nel come le note sono suonate che si svela il senso più profondo voluto dall’autore:  rendere questa conoscenza fruibile, disponibile  impone anche una specie di etica, di sacralità in quello che si compie. Quindi sicuramente ci vuole molta concentrazione, quasi una certa venerazione, un amore che raggiunga la venerazione per quello che si sta studiando e provando in quel momento e che diventa totalizzante.

Secondo lei qual è il rapporto tra i giovani e la musica classica?
Prima di tutto a me sembra di aver già vissuto due epoche, perché ho cominciato a lavorare nei primissimi anni 2000. Quindi dal 2000 al 2010 mi è sembrato di vivere un’epoca, poi dal 2012/2013 un’altra. Questo cambiamento è coinciso con l’avvento su larga scala dei social che hanno veramente un po’ cambiato la vita di tutti: certo ha reso disponibile un mondo di registrazioni, ma a mio parere dobbiamo ancora un po’ riprenderci da una di specie di shock, per cui la musica classica è ora estremamente fruibile, l’ascolti mentre sei al bagno, magari sulla chat e così si perde proprio quell’aspetto particolare, che prima si poteva provare quasi solo in una sala da concerto. Sul rapporto con i giovani io le dico questo: ho studiato a Londra e sono poi rientrato in Italia e uno dei miei primi incarichi uscito dalla scuola di direzione d’orchestra fu quando mi furono affidate ben 120 recite di un Nabucco in versione ridotta per le scuole, una produzione organizzata dal teatro di Como, che poi ha girato tutti i teatri del Nord Italia. Le recite erano la mattina, venivano intere classi, il teatro era costantemente pieno di bambini che erano stati preparati appositamente:  cantavano il Va pensiero, e alla fine di ogni recita facevano un tifo da stadio. Quindi non solo avevano partecipato in silenzio al Nabucco, che per quanto tagliato durava comunque un’ora e un quarto e per dei ragazzini di 9, 10 , 12 anni era comunque tanto, ma avevano anche cantato bene, erano stati in silenzio e alla fine erano contenti. Quindi credo che il problema sia come coinvolgerli, come proporgli l’opera, perché l’opera li può entusiasmare, su questo non c’è discussione, è un dato di fatto.  Certamente è un privilegio potersi avvicinare in questo modo, e poi non è mica detto che a tutti piaccia a tutto: a me non piace il black metal, la musica rock la adoro, il jazz mi fa impazzire… quindi non è detto che tutto debba piacere a tutti però sicuramente se proposta nel modo giusto l’opera ha ancora tanto da dire.

Preferisce dirigere opere o musica sinfonica, o è solo una questione di compositori?

Negli ultimi 10 anni la mia carriera si è concentrata molto di più sull’opera, che è un amore viscerale, nel senso che il fatto di poter unire il significato della parola alla bellezza del canto e alla potenza dell’orchestra è veramente per la mia sensibilità un non plus ultra. Di musica sinfonica ne ho fatta tantissima, sia quando ero ancora studente sia nei primi anni della professione, perché l’opera è dispendiosa; quindi prima che un teatro affidi ad un giovane direttore o ad un direttore emergente una produzione che costa diverse decine se non centinaia di migliaia di euro bisogna che questi goda di una certa fiducia, mentre un concerto sinfonico può costare un po’ meno. Quindi in genere i giovani direttori fanno tanto sinfonico all’inizio, poi se sono bravi fanno anche opera, se poi sono bravissimi fanno sinfonico ad altissimi livelli . Tuttavia quando mi capita di fare musica sinfonica è straordinario, bellissimo, soprattutto se si riesco a proporre brani che non siano solo le sinfonie di Beethoven. Per esempio per un concerto a Lubecca lo scorso anno ho proposto la prima sinfonia di Alfredo Casella, ed era la prima esecuzione tedesca di una musica meravigliosa. La musica sinfonica è bella, è un linguaggio ovviamente diverso dall’opera, ed è bello soprattutto andare ad indagare alcuni pezzi meno noti; questo vale anche nell’opera dove ci sono opere meravigliose poco eseguite e particolarmente stimolanti.

Lei citava giustamente Casella che forse non è tra i compositori più conosciuti, come lo è un po’ tutto il primo 900 italiano.

Esattamente; il primo Novecento italiano, dagli anni Sessanta a oggi, ha conosciuto una specie di purga non ben giustificata se non per il fatto che a un certo punto si è imposto ad oltranza il sistema genericamente detto atonale, per cui quella musica sembrava retrograda e troppo tradizionale. In realtà è musica scritta veramente bene, di grandi artisti e ricca di fascino.

Ultimamente lei ha diretto, con grande successo, il Mefistofele di Arrigo Boito ed il Werter di Massenet. Parlando della prima, alcuni la ritengono un capolavoro, mentre altri la guardano con disprezzo. Lei cosa ne pensa?

Mi sono innamorato del Mefistofele sino a esserne in un certo senso schiavo, la trovo un’opera meravigliosa ma è certo che divide, perché è un azzardo, è una sfida fin dalla sua stessa concezione, fin dalla sua stessa nascita; è un qualcosa di così unico che dal giorno della sua prima rappresentazione o la si adora o non la si sopporta. Nel prologo dell’opera parla Dio, il protagonista è il diavolo… per un interno filone di critica e di pensiero musicale improntati a un certo materialismo marxista è tutto sbagliato, mentre l’operazione che fa Boito è straordinaria, musicalmente imponente, commovente e addirittura così audace che Toscanini è stato costretto a modificare in parte l’orchestrazione. Per fare un esempio: a un certo punto ci sono le falangi celesti che cantano, composte da un doppio coro accompagnato da una grande orchestra, un coro di voci bianche e una banda di palcoscenico, circa 200 o poco più esecutori che suonano e cantano contemporaneamente per celebrare la grandezza di Dio. La battuta dopo entra Mefistofele: Boito nell’originale metteva solo due fagotti, quindi si passava da oltre 200 esecutori che cantavano fortissimo a due strumenti che accompagnavano l’entrata di Mefistofele! L’esatto opposto, il mondo che si ribalta, il sacro contro il comico… e Toscanini valutò questo gap sonoro eccessivo e ci mise gli archi, come accade nelle odierne esecuzioni.

Quindi la versione che sentiamo oggi non è quella originale di Boito ma è una rivisitazione di Toscanini?

In alcune singole battute, nel prologo e verso la fine ci sono pochi ma molto significativi aggiustamenti di Toscanini, che in fondo sono perfettamente logici e funzionano bene. Cogliamo l’arditezza totale del pensiero, dello stile e della volontà di Boito anche nei piccoli dettagli. Egli voleva raccontarci qualcosa di estremo, lo è ad esempio il sabba infernale e la sua scrittura  vertiginosa.  Per fare un esempio, se possiamo definire Mozart allegro Boito invece è turbinoso, violentissimo, la sua diventa una musica che ha una tendenza verso un abisso. Molti odiavano Boito perché si era esposto da giovane, aveva detto che Verdi crea della musica così insomma un po’ all’acqua di rose come diremmo oggi, anche se lui non ha usato questi termini. Poi in vecchiaia diventarono amici … Boito era una personalità forte, incisiva. Però per chi lo sa apprezzare è affascinante e tra l’altro il Mefistofele che seguiamo adesso è una rivisitazione, perché la primissima edizione durava sei ore e fu un fiasco totale; Boito alla fine, nella seconda edizione del 1875, arriva a questa sorta di riassunto che comunque è in sei parti: quattro atti, il prologo e l’epilogo. Rimane pur sempre qualcosa di monumentale, calibrando le tempistiche in maniera straordinaria e con un potere a dir poco seducente.

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