Sabato 4 marzo, presso la biblioteca delle Oblate, è stato organizzata dall’associazione culturale Ideerranti la presentazione del libro Contro tutti i muri. La vita e il pensiero di Franca Ongaro Basaglia (Editore Donzelli, pubblicato nel 2022). Ha presentato l’evento Enrica Vignoli, presidente di Ideerrranti, erano moderatore la giornalista Susanna Cressati, relatori la psicologa Alberta Basaglia (figlia di Franca e Franco Basaglia), lo psichiatra Paolo Serra e l’autrice del libro e prima studente universitaria di Storia Contemporanea Annacarla Valeriano. Incontro e libro di portata umana vasta. Troppo universale per chi specula sui dolori, di chi è affamato di notizie devastanti per una sete morbosa, di chi falsamente afferma secondo buonismo di poter abbracciare tutto il mondo. Il libro apre un orizzonte sulla vita di tanti internati attraverso quella di una studiosa che combatté per la loro dignità, contro il loro maltrattamento avvilente, bestiale, ineffabile. La studiosa è Franca Ongaro Basaglia (1928-2005), e voleva lasciare un segno nella vita delle persone, senza l’ambizione della fama.
In Italia i manicomi continuano a essere dal XV secolo tremendi e alienanti, in cui metodi di contenzione sedano il malato, fino alla legge 180 (1978), anche detta legge Basaglia, i cui fondamenti e diffusione si realizzarono grazie all’attività di Psichiatria Democratica, società fondata nel 1973 da Franco Basaglia (1924-1980) e gestita da lui, la moglie Franca Ongaro e altri collaboratori psichiatri e attivisti; tale legge fu custodita e migliorata dalla moglie in seguito alla prematura morte del consorte. Egli, sposato con Ongaro dal 1953, era stato direttore dell’ospedale psichiatrico di Gorizia tra 1961 e 1971: aveva creato, a partire dallo sfacelo iniziale, un luogo in cui si valorizzavano le capacità positive dei ricoverati, senza metodi di contenzione, in cui si riunivano in assemblee i pazienti per discutere delle loro richieste e proposte per la gestione dell’ospedale e c’era un rapporto umano tra dottore e ricoverato, impegno nella riabilitazione di quest’ultimo: insomma un luogo in cui l’utopia era diventata realtà, come sottolineava Ongaro, grazie alla volontà di attuarla; i coniugi volevano attuare un cambiamento non solo tramite un dialogo più umano e meno verticalizzato tra personale e pazienti, ma anche con l’abbattimento di un sistema ospedaliero in cui “fuori e dentro” sono rigidamente separati, gli internati non sanno niente del mondo esterno e viceversa, così ponendo le basi per la de-istituzionalizzazione degli ospedali psichiatrici, contro la volontà di emarginare, comprimere e isolare i malati, le contraddizioni e le sofferenze che portavano con sé. Ongaro entrò in contatto tramite il consorte con l’orrore dei manicomi, e da scrivere favole e libri per bambini, iniziò a scrivere saggi circa le ingiustizie di quel mondo e soluzioni concrete per arginarle. Già, perché Ongaro non tollerava discorsi astrusi che giravano attorno ai problemi senza affatto risolverli. Infatti inizialmente da senatrice (carica che mantenne per due legislature dal 1983 al 1992) si trovò smarrita in quel contesto a suo parere troppo teorico, poi riuscì a imporsi e con la sua caparbietà e ascolto verso i bisogni dei ricoverati e familiari, aiutare davvero con i provvedimenti. I coniugi Basaglia idearono un progetto che prevedeva insomma assegnazione di diritti e dignità ai malati, una medicina psichiatrica più umana, la creazione di centri in cui la permanenza non fosse una condanna a vita ma di durata relativa, a seconda delle esigenze; la permanenza doveva essere trasparente per i familiari e, entro i limiti del possibile, doveva venire incontro alle richieste e ai bisogni del malato. Dall’enormità della vita scaturisce la sfuggente e contraddittoria condizione umana, per cui l’attivista aveva un rispetto quasi sacrale. Tale contraddittorietà ha guidato l’umanità alla segregazione dei malati per un vergognoso, forse atavico istinto umano di reprimere la contraddizione come per proteggersene, per paura di affrontarla. Tale fobia, notava Ongaro, ha facilitato la manipolazione delle masse; lo si constata in eventi tragici come lo sterminio degli imperfetti (portatori di handicap) sotto il Terzo Reich, fatto sembrare da un’inquietante e disumana certezza ideologica necessario, in quanto toglieva di torno cosiddette vite indegne di essere vissute e la minaccia genetica che costituivano per la razza ariana, il costo economico. La grandezza della vita a volte ci spaventa, e ci fa dimenticare che anche il malato è accomunato da questo mistero, di fronte al quale cosa ci autorizza a tacerlo, calpestarlo? Mettendosi nei suoi panni, non si avvertirebbe il bisogno di sostegno, rispetto? La paura che può mettere il loro agire, non è quella che ciascuno potrebbe fare? La lotta per i diritti degli oppressi fu un ambito che Ongaro trattò nei suoi scritti in svariate sfaccettature, dalla condizione femminile, alla tossicodipendenza, alla bioetica, ai manicomi; approfondì le sue conoscenze psichiatriche trascrivendo con abnegazione il pensiero del marito, traducendo scritti del sociologo canadese Erving Goffmann, dello psichiatra argentino Gregorio Bermann. Trattò anche la realtà degli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari), enti che isolavano ancor più dei manicomi i malati mentali colpevoli di reati. Pensava che l’isolamento fosse nocivo alle persone, che donna e uomo dovessero affrontare la loro diversità come fonte di arricchimento spirituale e non di sopraffazione reciproca, che per i tossicodipendenti, i malati mentali, anche quelli criminali, dovesse esserci una riabilitazione, per una premura verso la vita che si riconduce a un sentimento di solidarietà e giustizia.
Inizia sulla base di tali nozioni un fruttuoso dialogo tra i relatori.
La presidente di Ideerranti Enrica Vignoli presenta l’autrice sottolineando la continuità del suo ultimo libro con il precedente, Malacarne. Donne e manicomio nell’Italia fascista (2017, Donzelli Editore), in cui alla fine è scritto che gli orrori avvenuti nei manicomi sarebbero stati riconosciuti e estirpati dall’odiernità solo con la legge 180.
La giornalista Susanna Cressati, che seguì le vicende della legge 180, evidenzia le espressioni chiave per comprendere l’operato della Ongaro: conflitto (non è casuale il titolo “contro tutti i muri”, muri di discriminazione che la donna scavalcò), contraddizione, di cui ciascuno è fonte in quanto umano, ma che spesso si vuole soffocare perché così è tutto più semplice, così si pensa di piacere di più, legame della libertà, espressione usata da Ongaro in quanto la tutela dei diritti dei più fragili è una conquista ottenuta dalla cooperazione contro ciò che ci divide. Si passa la parola alla psicologa Alberta Basaglia, attivista impegnata nel contrasto alla violenza, alla guerra, alle discriminazioni; ha scritto la sua testimonianza di donna cresciuta in una casa da cui partì una rivoluzione culturale dalla quale è tutt’ora ispirata, Le nuvole di Picasso. Una bambina nella storia del manicomio liberato (2014). Sottolinea la forza della madre nell’imporsi come studiosa in una società che tendeva a riconoscere alla donna solo i meriti di moglie e madre, il suo zelo nel tentativo di comunicare ai giovani le problematiche dell’epoca, di usare quindi un linguaggio semplice ma espressivo, testando l’efficacia dei suoi sforzi su Alberta stessa.
Lo psichiatra Paolo Serra lavorò presso l’ospedale di Gorizia dove il cambiamento portato avanti dai coniugi Basaglia ebbe radici: per questo si sente coinvolto dall’argomento del libro e per l’ammirazione verso Franca Ongaro, con cui condivide il dissenso per l’eccessiva faciloneria delle persone in balia di un acritico senso comune da cui possono scaturire, testimoni i libri di storia, situazioni pericolose. Oggi da pensionato si dedica alla Caritas nazionale del progetto di salute mentale nei Balcani, regione ancora insufficientemente attenta nella cura dei deficit mentali, segnata dai conflitti della fine del XX secolo e dalle ideologie di confinamento del diverso di un regime totalitario ancora non smaltite del tutto. Racconta la sua esperienza da neolaureato a Gorizia quando Franco Basaglia lavorava in maniera radicalmente diversa da quella di altri manicomi, infondendo speranza in un ospedale psichiatrico migliore. Il seme della speranza in contrasto a una realtà aberrante e dolorosa fu da allora anche in lui. Ci porta preziose quanto angosciose testimonianze dell’alienante vita manicomiale – per il personale e, soprattutto, per i ricoverati. Ha mostrato un video di un manicomio serbo in cui gli internati hanno nostalgia di casa, manifestano insofferenza alle ristrettezze materiali e spirituali in cui sono costretti a vivere: nessuna passeggiata, nessun contatto con l’esterno, con la normalità. Si avvertono mancanze che acuiscono il disagio dei malati, la loro insofferenza a una vita di emarginazione, troppo lunga, troppo compressa e dolorosa. Poi legge una lettera del 1969 al padre di un ventiduenne internato in un manicomio aretino. La lettera è scritta con magnifica lucidità, suscita negli increduli il rinnegamento della sua paternità. Lo psichiatra, che seguì il ragazzo personalmente, smentisce tali voci. Nella lettera si avverte un patimento che solo un vero internato poteva trasmettere. Si descrive un’ambientazione in cui le condizioni fisiche rispecchiano le morali di un’umanità dimenticata, tenuta all’oscuro di ciò che avviene fuori; mentre il ragazzo scrive, circa quaranta persone sono debilitate spiritualmente e fisicamente, assuefatte a punizioni spietate, iniezioni, pasticche somministrate incurantemente, confinate e compresse in una piccola stanza, con pavimenti sporchi, senza adeguati indumenti, senza alcuna inibizione né dignità riconosciuta… questa la realtà del manicomio che si replica quasi identica ovunque. Spiega poi la differenza tra ospedalizzazione, de-ospedalizzazione coattive e de-istituzionalizzazione: sono provvedimenti di un ente statale in ambito ospedaliero, ma mentre il primo binomio prevede internamento o espulsione di persone giudicate inferme, indipendentemente dalla loro volontà, per la de-istituzionalizzazione del manicomio si creano ambienti più umani per l’accoglienza di malati psichici secondo il progetto di Basaglia, come le case famiglia; la de-ospedalizzazione è generalmente più allettante della de-istituzionalizzazione per le classi dirigenti, in quanto comporta un semplice smantellamento di ospedali psichici e l’abbandono a se stessi o a famiglie magari impreparate, così da risparmiare sulla manutenzione ospedaliera. La de-istituzionalizzazione invece ha un costo, che ha spesso indotto parlamentari a respingerla e ha costituito un grave impedimento alla realizzazione della legge Basaglia.
Infine l’autrice del libro si riallaccia al femminismo di Ongaro cui accennava la figlia, inteso come abbattimento di stereotipi che lasciasse la donna libera di realizzarsi quanto l’uomo alla stregua del lecito, e che concedesse un dialogo tra i due generi in quanto diversi, ma sullo stesso piano; ciò per Ongaro si concretizza nella libertà di esprimersi scrivendo, analizzando e chiarificando a sé e ai lettori la realtà sociale che indaga.
Valeriano spiega che dopo aver studiato Storia contemporanea presso l’Università di Teramo, si è dedicata alla ricerca in cartelle cliniche (documenti storici a tutti gli effetti) di testimonianze di malati psichici, a partire da quelle del manicomio di Teramo; tale ricerca è iniziata quando, desiderosa di ampliare le conoscenze di quella parte di mondo spesso tralasciata, si presentò al manicomio di Teramo. Il direttore le permise di leggere una scioccante marea di lettere, spesso “morte”, nel senso che il personale del manicomio impediva anche che i ricoverati comunicassero con i congiunti, pur di non far conoscere le condizioni in cui essi si trovavano. Valeriano ha così conseguito la pubblicazione di tre libri riguardanti la vita manicomiale: Ammalò di testa. Storie dal manicomio di Teramo (1880-1931) (2014), Malacarne e Contro tutti i muri. L’ultimo, il più recente, è stato composto tramite meticolosa ricerca nell’archivio delle carte di Franca Ongaro Basaglia. È stato scritto perché Valeriano avvertiva la mancanza del tassello di un passaggio importante come quello costituito dalla legge Basaglia per capire il mondo manicomiale nella sua evoluzione diacronica.
Franca Ongaro ha insomma contribuito a un’importante conquista, su cui bisogna vigilare, gridano gli orrori e le ingiustizie commesse contro gli oppressi, in particolare gli internati dei manicomi. Capirne a fondo il pensiero aiuta a cogliere la drammaticità della problematica e uscire da quella rassegnata, a volte egoistica indifferenza e allontanamento del diverso, del complicato: sebbene inaugurabile, la malattia trasuda umanità, ci accumuna tutti almeno potenzialmente, quindi un’istintiva solidarietà può guidarci a sostenerla; il libro di Valeriano aiuta a comprendere ciò.
Seguirà intervista all’autrice del libro, che si è gentilmente resa disponibile.