Lo scorso mercoledì, al liceo scientifico Leonardo da Vinci di Firenze, si è tenuto un incontro con un compositore di fama internazionale, il maestro Marco Tutino, su invito dell’associazione Eumesvil, in compagnia della redazione del Leomagazine, il giornale gestito dal liceo, il nostro direttore responsabile, il prof. Domenico del Nero e la dirigente scolastica Annalisa Savino, che ha accettato di ospitare questo incontro nel nostro liceo. In occasione di questa giornata particolare, il compositore ci ha concesso di rivolgergli alcune domande riguardo alla sua carriera e al suo lavoro. Nato nel 1954 a Milano, si diploma in Flauto e Composizione al Conservatorio della sua città natale. La sua carriera di compositore si sviluppa soprattutto nel campo dell’opera, con gramdi successi internazionali nei teatri più prestigiosi; ricordiamo tra i tanti La Lupa, scritta nel 1990 per il Centenario Mascagnano di Livorno, Senso nel 2011 per il teatro Massimo di Palermo in occasione dell’anniversario dell’unità d’Italia e La Ciociara, commissionata dal San Francisco Opera House nella stagione 2014/15: È la prima volta, dopo Puccini, che un teatro americano commissiona a un compositore italiano un nuovo lavoro. Ricordiamo infine la bellissima e suggestiva Le Braci, rappresentata al Maggio Musicale Fiorentino nel 2017 e nel 2022 lo spettacolo I giusti che ricorda la stragi di Capaci e via d’Amelio: uno spettacolo composito con attori, musica sinfonica e musica vocale, un coro, un’orchestra e un soprano. Il maestro nel 1993aveva già composto un requiem per le vittime della mafia.
Ma il suo curriculum è davvero notevole anche per altri motivi: tra il 1990 e il ’94 è direttore Artistico dei Pomeriggi Musicali di Milano, l’ente di produzione sinfonica e lirica della Regione Lombardia. Nel 1998 al 2002 viene chiamato come consulente artistico e compositore residente alla Fondazione Arena di Verona, dove realizza il progetto FUTURI, un festival dedicato al teatro musicale per le nuove generazioni.
Dal 2002 è nominato Direttore Artistico del Teatro Regio di Torino, che diventa il primo Teatro italiano come numero di abbonati, e si inserisce a pieno titolo nella competizione tra i più prestigiosi teatri europei. Nell’ottobre 2006 viene nominato Sovrintendente e Direttore artistico del Teatro Comunale di Bologna, iniziando una faticosa opera di risanamento che porterà il teatro a estinguere il suo cospicuo debito finanziario e a ridurre sensibilmente le sue perdite economiche. Marco Tutino fonda a Bologna, nel 2008, la scuola dell’Opera italiana, accademia di alto perfezionamento delle professioni del teatro lirico, che ha lo scopo di insegnare e tramandare lo stile italiano dell’arte lirica e di investire sulle giovani generazioni.
Nel 2009 è stato nominato presidente dell’Anfols, l’associazione che riunisce tutte le fondazioni liriche italiane, ruolo che manterrà sino allo scadere del suo mandato; ha fatto poi parte della commissione musica del Ministero dei beni e attività culturali, in qualità di consulente per la Lirica.
Lasciamo dunque la parola al maestro.
Cosa significa essere compositore di musica operistica e sinfonica, soprattutto nel ventunesimo secolo in cui molti considerano questo genere morto, ma in realtà non è?
Ho pensato di fare questo mestiere nel ventesimo secolo, quindi in un periodo diverso. Non so se farei ancora questa scelta se oggi avessi l’età che avevo, perché le condizioni sono cambiate. Quando ho iniziato ero un ragazzo, con la consapevolezza di avere un talento e la voglia di imparare un mestiere. Per me fare il compositore era essenzialmente un mestiere da fare nel modo migliore, anche con una dimensione direi etica. All’inizio non si sapevo bene cosa volessi fare, poi mi sono reso conto che quello che mi interessava era raccontare storie; la cosa che più mi affascinava l’idea di catturare l’attenzione dei miei simili e raccontare qualcosa che non sapevano nella maggior parte dei casi. Questa è la ragione per cui mi sono interessato di teatro musicale e di opera lirica, nonostante si pensi siano cose ammuffite che riguardano l’Ottocento. Ma l’opera lirica non è morta, d’altronde nel mondo vengono ancora scritte ed eseguite e anche amate dal pubblico molte opere liriche. Nel corso della mia vita ovviamente ho avuto modo di chiedermi se quella scelta sia stata giusta; è una domanda alla quale non sono ancora riuscito a rispondere. Sto scrivendo la mia 20esima opera lirica, le altre diciannove sono state tutte eseguite e io ho imparato da ciascuna qualcosa in più su come fare in modo che il pubblico che ho davanti non si distragga, sempre più difficile, dal momento oggi la capacità di concentrazione sta diminuendo.
Lei e un compositore che segue ancora principalmente il filone Neotonale e Neoromantico. In cosa consistono queste tendenze?
Neoromanticismo è una parola che ho inventato negli anni 80, ma, in realtà, era più un escamotage per farsi notare, dal momento che in quegli anni era molto difficile emergere. Per ribellarmi a questa situazione, io inventai questa parola voleva dire: “consideriamo ancora il passato come una cosa non morta”. Le avanguardie musicali del tempo avevano la pretesa di inventare da zero il linguaggio musicale, cosa che mi è sempre sembrata una sciocchezza. Dopo una mia uscita pubblica nacque questo movimento; da allora molti giovani hanno preso coraggio e si sono messi a scrivere cose che piacevano di più a loro e che piacevano di più al pubblico. Era iniziata una piccola rivoluzione all’interno del mondo musicale, soprattutto italiano, molto arretrato rispetto agli altri paesi per molti motivi storici: la situazione era accesa.
Quali sono i criteri con cui sceglie i soggetti per le sue opere? E che rapporto cìè tra lei è i librettisti, quando non provvede a scrivere direttamente i testi?
È un rapporto molto conflittuale: il librettista deve prestarsi disponibile a essere completamente tagliato, stravolto, vessato, cosa che non succede sempre. La cosa principale per me è scegliere un soggetto che abbia già la porta principale aperta verso l’ascoltatore, per questo spesso scelgo soggetti letterari conosciuti, o che prendono addirittura spunto da film famosi, nel caso dell’opera più nota che ho scritto che si chiama La Ciociara, che è un film degli anni 60 di Vittorio De Sica tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia. Il primo passo è far capire a chi ascolta, chi viene a teatro, che voglio parlare: spesso, quindi, chiamo l’opera con un titolo che molte persone conoscono, magari perché hanno letto il libro o hanno visto il film. Il librettista è una persona difficile da trovare, un mestiere ormai quasi scomparso, per fortuna io ne ho incontrati due molto validi e li ho tartassati a morte, ma il nostro rapporto è molto stretto. L’opera inizia a nascere nella testa del compositore: mentre scrive il libretto insieme al librettista, la musica inizia a formarsi in modo fantasmatico nella testa. Ma la cosa più straordinaria che ho imparato da questo mestiere, da un grande compositore, forse l’ultimo grande compositore dell’opera italiana cioè Giacomo Puccini, è che non basta un librettista, ci vuole uno sceneggiatore. Questo l’ho imparato sia da Puccini, sia da quello che Puccini ha creato: il cinema. Nell’Ottocento i libretti non avevamo bisogno di una storia ben concepita, oggi non è più così; con Puccini, il livello di raffinatezza degli incastri drammaturgici del raccontare si è perfezionato, fino alle serie tv di oggi, che ci fanno comprendere quanto possono essere abili gli sceneggiatori di oggi. Il pubblico inconsciamente si è abituato a qual livello di complessità narrativa; oggi quindi, per carpire l’attenzione del pubblico, bisogna utilizzare anche uno sceneggiatore.
A quali altri compositori si è ispirato nella sua carriera?
I compositori più importanti che hanno sviluppato il linguaggio della drammaturgia musicale sono Wolfgang Amadeus Mozart, Giuseppe Verdi, Gioacchino Rossini, Richard Strauss, Puccini.
Nel ‘93 ha scritto un requiem per le vittime delle stragi della mafia, e più recentemente ha composto una cantata per Falcone e Borsellino. Quale pensa sia il peso della musica per sensibilizzare le persone?
Quando ho composto il requiem, ho chiesto ad altri sei compositori da fare una parte di questa messa. Non credo di aver provato un’emozione più grande di quando fu eseguita per la prima volta nella cattedrale di Palermo davanti ai parenti delle vittime, osservando la commozione nei loro volti, mi ha fatto capire che stavamo facendo una testimonianza contro la mafia molto più forte di qualsiasi altro discorso o altra iniziativa pubblica. Reagire a quell’orrore con l’arte, significava reagire alla distruzione con la creazione. Passare da una bomba posta sulla strada a un’opera d’arte, vuol dire collegare i due poli opposti del genere umano.
Qualche anno fa è stato a Firenze, in una collaborazione con il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino è stata rappresentata la sua opera le braci. Qual è stato il suo rapporto con il pubblico?
Con il pubblico ho sempre avuto un ottimo rapporto, con le istituzioni un po’ meno. Le fondazioni liriche italiane hanno talmente tanti problemi secolari che spesso è difficile lavorarci serenamente. Ho avuto la fortuna di avere molte delle opere rappresentate dalle fondazioni liriche italiane. All’estero la situazione è molto diversa, ma qui in Italia ancora ci sono vari malfunzionamenti nel sistema.
Quali sono i suoi progetti per il futuro?
Al momento sto scrivendo un’opera su una commedia di Pirandello, il berretto a sonagli, che verrà rappresentata l’anno prossimo a Catania insieme a La Lupa, un’altra mia opera, composta da un atto. Sin dall’inizio della stesura di un’opera ho la sensazione che sia qualcosa di buono, di essere connesso con quella dimensione che mi permette di scrivere, questa sensazione la chiamo è arrivato l’angelo. Bisogna liberarsi dalla dimensione del proprio io, appesantito dalle preoccupazioni di ogni giorno, e passare a un’altra dove mi è permesso di scrivere. Credo sia un’esperienza che capiti a tutti ai creativi. Un’altra opera di cui mi occuperò è La Ciociara, al festival Wexford, in Irlanda. Si svolge in una piccola cittadina di pescatori, che una settantina d’anni fa ha pensato di creare un festival di opera lirica rara, poco eseguita o nuova. È interessante vedere come tutta la città nel mese di ottobre di mobilità per creare questo festival, dà ancora speranza che l’umanità sia tutt’ora capace di occuparsi di qualcos’altro oltre la nostra spazzatura quotidiana.