Martedì 7 febbraio al Teatro della Pergola si è tenuta la prima di Spettri, di Henrik Ibesn, con regia di Rimas Tuminas e adattamento di Fausto Paravidino, che resterà in scena fino a domenica 12 febbraio. 

Protagonista di questo dramma borghese, composto durante un soggiorno in Italia, e considerato uno dei drammi più significativi scritti da Ibsen, è Andrea Jonasson, che dopo oltre15 anni torna ad esibirsi nel teatro fiorentino. L’attrice, musa e vedova di Giorgio Strehler, è riuscita perfettamente a calarsi nei panni della ricca vedova Helen Alvin, esempio della donna ricca amorosa verso il figlio e attenta all’immagine della sua famiglia. La vicenda è imperniata sul conflitto tra Helen e il figlio Osvald, artista appena tornato da Parigi, interpretato da Gianluca Merolli: il ritorno a casa del figlio malato e l’imminente inaugurazione dell’orfanotrofio in onore del marito constringono Helen a rievocare vecchi segreti di famiglia. Perseguitata dai ricordi del passato e dalle illusioni che ha costruito per proteggere il figlio dalla cruda verità, Helen si contorce nel doloroso dubbio se sia meglio rivelare la verità al figlio per quanto ormai troppo tardi. Presentata in questa versione nell’atteggiamento della Maria addolorata come nella Pietà di Michelangelo, Helen è una donna forte che ha sacrificato la sua vita sopportando un marito traditore e corrotto, e crescendo un figlio l’unico modo per liberarsi dai propri fantasmi è rivelare le verità che tanto si è faticato ad occultare, frantumando l’immagine della famiglia felice. 

“La verità è la cosa più difficile da rivelare”, ha affermato il regista lituano Tuminas, In quest’opera di Ibsen, infatti, Helen, e gli altri personaggi intraprendono una sorta di liberazione dalle illusioni, che, una volta crollate, spogliano i personaggi delle menzogne della famiglia ideale. Lo spettacolo rappresenta la riconquista della propria indipendenza attraverso il superamento delle illusioni e dei fantasmi che vivono dentro ognuno di noi. I fantasmi sono il fulcro di quest’opera esistenziale di Ibsen: un continuo passaggio da presente a passato, il cui confine è così sfocato che la dimensione onirica si fonde con quella reale, e i fantasmi ritornano dall’altro mondo. La vicenda è ambientata nella dimora degli Alvin, circondata dalla campagna norvegese dove non batte mai il sole, come nell’animo dei personaggi, così ingrigiti dall’ipocrisia che ancora macchia la loro vita

Se l’abilità di Jonasson è stata uno dei punti di forza della rapprensentazione, buona anche la recitazione degli altri attori, che sono riusciti a infondere nei loro gesti il dovuto pathos, coinvolgendo il pubblico e trascinandolo nella dimensione oscura e inquietante della vicenda: il Pastore Manders, interpretato da Fabio Sartor, sconvolto davanti alle rivelazioni della vedova sulla vera personalità del marito, il figlio Osvald e la progressione della sua malattia mentale, consapevole di essere destinato alla follia e innamorato di Regine (Eleonora Panizzo), giovane, ingenua cameriera al servizio degli Alvin, figlia di una relazione extraconiugale del marito di Helen, il misterioso falegname Jakob Engstrand (Giancarlo Previati), il padre adottivo di Regine, che vuole riprendersi la figlia dagli Alvin per aprire una “Casa del marinaio”, anche se alla fine, dopo che le menzogne racchiuse nell’animo della vedova sono venute alla luce, è Regine stessa che decide di seguirlo per lavorare nel suo bordello. 

Un altro dei temi centrali di questo dramma, dove si mescolano incesti, follie e angosciose verità alla maniera delle grandi tragedie classiche, è l’ipocrisia della morale borghese: lo sforzo da parte dei personaggi di distendere un velo di apparenze e perbenismo sulle loro vite, arrivando a sostituire le illusioni alla realtà. Tra le rivelazioni dei personaggi, si scopre il marcio che si annida in quella casa, un male che non può portare altro che alla follia e alla disperazione: Osvald, dopo che scopre che Regine (Eleonora Panizzo), la giovane cameriera di cui è innamorato, è in realtà sua sorellastra, decide di chiedere alla madre di porre fine alla sua vita prima che, affetto dalla sifilide trasmessa dal padre dissolto, lo porti a perdere completamente la ragione.

Un complimento anche alla scenografia, a opera di Adomas Jacovskis, e alle luci, curate da Fiammetta Baldesserri e Oscar Frosio, che hanno ricreato quella dimensione onirica in cui la protagonista si sente confinata: un ambiente grigio dove aleggia una densa nube, magari come rappresentazione degli spettri che si aggirano in quella casa oppure come simbolo della cortina di apparenze sotto la quale la verità preme per mostarsi.

Certamente questa sinistra rappresentazione ha meritato i numerosi applausi da parte del pubblico, trascinato lungo tutta la vicenda in questo vortice di tensione e oscurità, fino al disvelamento della nostra fragilità davanti alla verità.

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