Il primo di febbraio si è tenuta la seconda rappresentazione della Bottega del caffe di Carlo Goldoni, al Teatro della Pergola, in scena dal 31 gennaio al 5 febbraio con la regia di Paolo Valerio. Protagonista dello spettacolo Michele Placido nei panni di Don Marzio, il nobile napoletano che osserva, seduto alla bottega del caffè, gli intrighi e le peripezie degli altri personaggi (interpretati da Luca Altavilla, Emanuele Fortunati, Ester Galazzi, Anna Gargano, Armando Granato, Vito Lopriore, Francesco Migliaccio, Michelangelo Placido, Maria Grazia Plos), mal visto per la sua natura pettegola. Le vicende dei personaggi si intrecciano tutte a Venezia, in un piccolo spazio dove si affaccia la bottega del caffè governata dal buon Ridolfo, la casa da gioco di Pandolfo, e l’appartamento di Lisaura, bellissima ex-ballerina. All’inizio della storia Ridolfo decide di aiutare il giovane mercante di stoffe Eugenio che ha perso gran parte del suo patrimonio giocando d’azzardo con il conte Leandro. Dopo che Ridolfo ha prestato una grande somma ad Eugenio per aiutarlo a riaggiustare la sua vita, e il suo matrimonio, Don Marzio instilla nel povero ragazzo la convinzione che Lisaura sia una mantenuta del conte. Nel frattempo arriva Placida, una pellegrina di Torino venuta fino a Venezia per ritrovare il proprio marito, e Vittoria, la moglie di Eugenio, che quando viene a sapere da Don Marzio che il marito ha cercato di vendere i suoi orecchini per risanare i debiti, minaccia di lasciarlo portandosi con lei anche la sua dote. Spinto da Don Marzio, decide di celebrare la sua ritrovata libertà nella casa da gioco dove vengono interrotti da Placida che riconosce in Leandro il suo marito perduto. Dopo quella rivelazione, scoppia il caos: Leandro cerca di assassinare la moglie, Lisaura caccia di casa il conte che le aveva promesso di sposarla, Vittoria lascia Eugenio. Alla fine Ridolfo riesce a rinsavire i due giovani convincendoli a tornare con le proprie mogli. L’unico che non viene perdonato è Don Marzio, accusato da tutti di essere un diffamatore e amareggiato dall’ipocrisia borghese, decide di lasciare Venezia.
Un’opera che, come altre di Goldoni, è permeata di ironia e di vitalità. Goldoni riesce a mettere in luce sia gli aspetti positivi sia quelli negativi della borghesia: dall’intrapendente e di buon cuore Ridolfo il caffettiere, fino al pettegolo e ipocrito usuraio Don Marzio, che crede solo al suo orologio che segna sempre l’ora sbagliata. La moglie devota Vittoria, il manipolatore Pandolfo, il rovinato mercante Eugenio completano la cerchia di personaggi che rendono la vivacità e dinamicità di questa solare, ma anche amara, commedia di Goldoni. Buona la recitazione degli attori, e soprattutto di Placido, che hanno saputo ricreare l’atmosfera dell’opera. Interessante la scena finale, quando Don Marzio comprende di essere stato abbandonato da tutti, viene attorniato dagli altri personaggi con indosso delle maschere. Il periodo in cui si svolge la commedia è proprio il Carnevale, per cui si spiegherebbe la scelta di questo particolare, così affine al gusto e alla filosofia pirandelliani, che simboleggia l’ipocrisia tanto criticata da Goldoni.
La scenografia (Marta Crisolini Malatesta) e i costumi (Stefano Nicolao) tradizionali ricreano perfettamente l’ambiente veneziano di quei tempi. Ad aggiungere un tocco più realistico la riproduzione del canale davanti allo spazio, una superficie lucida che rifletteva le figure dei personaggi come un vero corso d’acqua.