Con immenso piacere del pubblico si è aperta la stagione al Teatro della Pergola di Firenze. Dopo il successo del dramma pirandelliano “Il berretto a Sonagli” a cura di Gabriele Lavia, è Paolo Valerio a proporre “La bottega del caffè”, un intramontabile capolavoro della commedia italiana.
Ben sei date, dal 31 gennaio al 5 febbraio, sono dedicate alla commedia più celebre delle sedici scritte nel biennio 1750-1751 da Carlo Goldoni, che, abbandonando le sterili maschere della Commedia dell’arte, segna un nuovo, modernissimo, punto d’inizio per il teatro europeo. Il drammaturgo veneziano ha abilmente canalizzato i principi del razionalismo illuministico, dando voce nelle sue opere alla crescente realtà borghese del tempo, impaziente di essere rappresentata come alternativa alla decadente nobiltà feudale.
Quella di Goldoni è una commedia che riflette i vizi e gli aspetti della variegata società dell’epoca, la “turba universale degli uomini”, animata da persone ritratte in tutta la loro complessità e mutevolezza.
L’opera si sviluppa in una piazza di Venezia sulla quale si affacciano tre botteghe: “quella di mezzo ad uso di caffè, quella alla diritta di parrucchiere, e barbiere, quella alla sinistra ad uso di giuoco, o sia biscazza”. È proprio all’interno di quest’ultimo locale, gestito dal malizioso Pandolfo, che iniziano le infelici peripezie del mercante Eugenio, raggirato da Flaminio, sotto le mentite spoglie del conte Leandro, con il quale è costretto a contrarre pesanti debiti.
La giovane Vittoria, “un poco amorosa e un poco sdegnata”, molto deve penare – sostenuta da Ridolfo – per tentare di riportarlo sulla retta via. Anche il conte Leandro ama il gioco e la fortuna gli sorride (o lo aiutano le carte truccate?) e ha fortuna anche in amore, giacché la bella ballerina Lisaura si lascia corteggiare da lui, sperando di cambiar vita sposandolo. Ma una pellegrina – Placida – appena giunta a Venezia lo riconoscerà e l’aitante conte si rivelerà un marito fedifrago, nient’affatto nobile e presto pentito.
Michele Placido, carismatico protagonista del mondo dello spettacolo italiano, è l’interprete del centralissimo Don Marzio, gentiluomo napoletano nato dall’antipatia di Goldoni per la superbia dei nobili e il loro atteggiamento parassitario e meschino. “Colui che non tace mai e che sempre vuol aver ragione”, che si fa beffa degli altri dall’alto della sua posizione sociale privilegiata, ma che ricorda nella sua taccagneria il marchese di Forlipopoli, il nobile spiantato che anima gli intrecci nell’opera la Locandiera, sempre di Goldoni.
Michele Placido regala al personaggio di Don Marzio ambiguità e ironia, ed è attorniato da una compagnia d’interpreti che si muovono in scena con la forza di personaggi espressivi e ispirati: Luca Altavilla, Emanuele Fortunati, Ester Galazzi, Anna Gargano, Armando Granato, Vito Lopriore, Francesco Migliaccio, Michelangelo Placido, Maria Grazia Plos. Un microcosmo, un affresco sociale e umano esaltato dalla scenografia di Marta Crisolini Malatesta, i costumi di Stefano Nicolao, le luci di Gigi Saccomandi, le musiche di Antonio Di Pofi e i movimenti di scena curati da Monica Codena. Una commedia moderna e complessa, ricca di ironie e acutezze, che unisce una sapiente scrittura drammaturgica corale all’italiano settecentesco parlato.
È così che Paolo Valerio fa rivivere la squallida, ma attualissima, realtà della piazza che specula sulle sciagure altrui, in cui la fa da padrone il personaggio di Don Marzio, la cui unica occupazione è quella di tenersi aggiornato sulle vicende degli altri frequentatori, donne specialmente, del campiello. È in questo contesto che spicca la figura dell’“uomo dabbene”, l’onesto caffettiere Ridolfo, che si affanna per evitare la rovina di Eugenio, nei confronti del quale è moralmente debitore per l’aiuto ricevuto dal padre di lui.
Un’opera nata in un contesto sociale vecchio più di duecentocinquanta anni, ma che oggi si presta a denunciare, ricorda Valerio dalle note di regia, “l’attualità delle fake news quando le chiacchiere del campiello si trasformano in accuse feroci, o un certo gusto per il voyeurismo”. Testimonianza, quest’ultima, del genio di Goldoni, le cui opere mettono al centro l’uomo nella sua globalità, nei vizi e comportamenti propri della sua essenza, in modo che lo spettatore possa sempre immedesimarsi nel palcoscenico, al di là delle barriere temporali e culturali. Come ha sottolineato infatti Michele Placido: “Chi sta in platea guarda se stesso sulla scena, come in uno specchio. Quelli sul palcoscenico siamo noi, con i nostri punti deboli, i vizi e le mancanze, nascoste da un velo di ipocrisia”.
31 gennaio – 5 febbraio | Teatro della Pergola
(martedì, mercoledì, venerdì, sabato, ore 21; giovedì, ore 19; domenica, ore 16)
Michele Placido in
LA BOTTEGA DEL CAFFÈ
di Carlo Goldoni
con (in o.a.) Luca Altavilla, Emanuele Fortunati, Ester Galazzi, Anna Gargano, Armando Granato, Vito Lopriore, Francesco Migliaccio, Michelangelo Placido, Maria Grazia Plos
regia Paolo Valerio
scene Marta Crisolini Malatesta
costumi Stefano Nicolao
luci Gigi Saccomandi
musiche Antonio Di Pofi
movimenti di scena Monica Codena
produzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Goldenart Production, Teatro della Toscana