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La Chiesa dei morti e le mummie di Urbania: un macabro ma affascinante reperto con “cartelle cliniche” di secoli fa.

Nella medievale cittadina di Urbania si trova La Chiesa dei morti, originariamente chiamata Cappella Cola perché costruita su iniziativa di Cola di Cecco (diminutivo di Nicola di Francesco), nativo di Sant’Angelo in Vado. Egli, assieme alla moglie Antonia di Filippuccio, risiedeva nei pressi del Convento di San Francesco, dove fece erigere questa cappella nel 1380. Alla loro morte, nel 1400, lasciarono,  mediante testamento, la cappella in eredità alla Compagnia della Misericordia dedicata a San Giovanni Battista, che la mantenne fino al 1602. Sulla facciata del piccolo edificio, spicca l’arco romanico-gotico in pietra rosa, affiancato da colonne incavate e colonnine tortili, i cui capitelli sorreggono il timpano curvilineo incastonato nella facciata medievale.

La riesumazione

La Compagnia della Misericordia era formata da volontari sia laici che chierici e si occupava di distribuire i viveri e l’elemosina ai più bisognosi oltre che a garantire ai meno abbienti dignitose sepolture all’esterno della Cappella, dove ancora oggi è visibile il cortile di un ex convento francescano. Nel 1804, Napoleone emanò l’editto di Saint Cloud, il quale prevedeva che la sepoltura dei corpi avvenisse al di fuori dei centri abitati per questioni igieniche. In quel periodo il priore della Confraternita era Vincenzo Piccini, uomo laico, che svolgeva la professione di medico e farmacista. Egli sapeva bene quanto indietro nel tempo andasse l’usanza della Confraternita di seppellire i morti in quel terreno, tanto che, alla vista di cadaveri così perfettamente conservati, congetturò l’uso da parte dei suoi predecessori, di una qualche sostanza che permettesse tale mantenimento. Iniziò così la sua ricerca di un composto che avesse queste proprietà, lo stesso con cui poi venne trattato il suo corpo, quello della moglie Maddalena Gatti e del figlio Guido, morti rispettivamente nel 1834, nel 1836 e nel 1887.

I tre corpi sono esposti assieme alle altre 9 mummie, ma, a differenza di quanto creduto dal priore, la mummificazione di questi corpi è naturale. La vera causa di questo mantenimento si scoprirà solo intorno al 1950 tramite analisi del terreno circondante la Chiesa. Il suolo contiene infatti un micelio che, a sua volta, emana la muffa Hypha bombycina caratterizzata da proprietà antibiotiche. Questo tipo di muffa è in grado di uccidere i batteri presenti, in più di consumare i liquidi all’interno dei corpi, fino a disidratarli (consideriamo che i corpi venivano seppelliti nella nuda terra, avvolti solo da un sudario). L’essiccazione dei cadaveri ha fatto sì che questi perdessero anche l’odore, di conseguenza non attiravano più animali normalmente dediti al consumo (e quindi alla decomposizione) di carcasse.

La storia dietro le mummie 

I 9 corpi che si sono conservati naturalmente, sono appartenuti a comuni persone vissute nella seconda metà del ‘500 e portano memoria dei diversi stili di vita o addirittura del tipo di morte che hanno subito.  Ad esempio si vedono due uomini dei quali  possiamo percepire la corpulenza, dovuta ad una vita di abbondanza: questi erano infatti un prete ed un fornaio al servizio dei frati. Tramite una ricerca condotta dal National Geographic, si è scoperto che il prete era addirittura affetto dalla gotta. Su altri cadaveri sono state riconosciute, al contrario, malattie dovute ad una vita di stenti, come il corpo di una ragazza affetta da rachitismo, il quale presenta un petto carenato. Sono ben individuabili anche malattie e malformazioni come la poliomielite o la displasia dell’anca. 

Particolarmente interessanti sono i cadaveri appartenuti a tre uomini: il primo è un caso di catalessi, ossia di morte apparente. Il soggetto aveva probabilmente contratto la peste, e per questo motivo era stato seppellito in fretta, senza accertarsi dell’effettiva morte. Lo sfortunato al risveglio aveva provato a scavare nella terra per liberarsi, come testimoniato dall’assenza di pelle sui polpastrelli. Dopo pochi minuti  però  morì di asfissia, come si percepisce dal diaframma rientrato, dal rossore dovuto ai capillari rotti sul petto in seguito allo sforzo, e dalla pelle d’oca.

Il secondo invece è stato analizzato da un equipe del reparto di Antropologia dell’Università di Pisa, alla fine degli anni ’70. In particolare la ricerca è stata eseguita sugli organi interni, reidratati tramite un liquido che ha funzionato come mezzo di contrasto. Eseguendo poi un esame istologico è stato scoperto che la morte dell’uomo era stata provocata da un tumore ai polmoni. Il terzo corpo è appartenuto ad un ragazzo morto quando aveva circa 17 anni, ucciso con diversi colpi di stiletto dopo una festa danzante (tali informazioni specifiche le conosciamo tramite gli archivi e i registri appartenuti alla Confraternita). Nel 1960, il professor Pietro Valdoni, considerato il padre della moderna chirurgia italiana, ha eseguito un’autopsia sul corpo di questo giovane. A seguito di tale autopsia sono riusciti ad individuare la ferita mortale: il colpo è stato inflitto nel costato sinistro, dal basso verso il cuore, così che l’arma è arrivata a perforare la cavità ventricolare sinistra. 

La visita all’interno della Cappella ha una durata di circa mezz’ora ed ha i seguenti orari: 11:00-12.00 e 16:00-17:00 nei giorni feriali, 10:30-12:00 e 16:00-17:30 Domenica e festivi. I lunedì è chiuso almeno che non si tratti di festivi o prefestivi. 

La guida è davvero simpatica e coinvolgente oltre che molto competente. 

il biglietto costa 3 euro (2 euro per comitive dalle 20 persone) e vale anche per visitare il Museo Diocesano Corrado Leonardi

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