Il 21 dicembre, presso la biblioteca delle Oblate di Firenze, si è tenuta la presentazione del libro di Francesca Perugi Storia di una sconfitta. Carlo Maria Martini e la Chiesa in Europa (1986-1993). I temi affrontati nel libro, in conclusione riassunti dall’autrice, sono stati esposti dai professori Bruna Bocchini, Maria Paiano e Riccardo Saccenti.
Il libro è stato pubblicato nel luglio 2022, a seguito di un dottorato di ricerca e scrupoloso lavoro di archivio in tema della giovane autrice. Forte di una composizione all’insegna del rigore scientifico e di un’attenta contestualizzazione storico-politica, il volume parte da una questione che in una società incline all’allontanamento dalla religione, potrebbe generare indifferenza o diffidenza: qual è il futuro della Chiesa Cattolica in Europa?
La Chiesa del resto non suscita a tutti simpatia, dando idea di chiusura alla modernità, di un ramo quasi del tutto privo di linfa vitale, volendo guardare a certi trascorsi o accettare una visione stereotipata. I giovani studiano a scuola la storia di una Chiesa spesso affetta da bigottismo, corruzione e scarsa credibilità. Come del resto quasi ogni istituzione statale, ha risentito della bramosia di potere dei suoi amministratori. Tuttavia si tende a un’eccessiva semplificazione e ciò porta all’errore, a una visone distorta o ristretta della realtà.
La questione sopramenzionata infatti ne sottace altre: qual è l’evoluzione della società e come si ripercuote su un’istituzione millenaria quale la Chiesa? Di quale sconfitta si parla nel volume? Quali sono le relazioni tra assetto politico e ideologico dell’Europa con le posizioni prese dalla Chiesa in epoca postmoderna?
La portata del libro non è quindi prettamente di natura religiosa, ma più ampia, coinvolge tutta la società, laici e non credenti compresi.
Ma allora perché il titolo rievoca Carlo Maria Martini (1927-2012), illustre cardinale e arcivescovo di Milano? Il nodo si scioglie attraverso la posizione che egli prese nel difficile passaggio dalla divisione all’unificazione che l’Europa stava vivendo alla fine del XX secolo, Guerra Fredda in corso: il processo di declino degli assetti politici dell’Europa orientale improntati alle ideologie socialiste o comuniste era in qualche modo caldeggiato dalla Chiesa, che desiderava l’unificazione delle chiese cattoliche in Europa. In alcuni di quegli Stati la religiosità era infatti limitata, in certi casi soggetta a persecuzione; il cambiamento da divisione a unione dell’Europa, e così del clero europeo, era improvviso e netto, non tenendo conto abbastanza delle rilevanti diversificazioni che la disunione aveva provocato. Tali diversificazioni spiegano tutt’oggi il divario che vediamo in Europa.
Il Vaticano appoggiava cioè l’ecumenismo (atteggiamento di dialogo e compattamento tra le confessioni cristiane riconducibili al Cattolicesimo), basato su un modello Roma-centrico.
Il cardinale Martini, sebbene anch’egli sostenitore della necessità di un dialogo, pensava che fosse altresì necessario un passaggio graduale dall’isolamento all’incontro.
Osteggiava il clima nazionalistico che sarebbe potuto nascere nelle chiese se il clero fosse rimasto separato da confini di ordine geografico e politico, in quanto pericolo per l’integrità del Cattolicesimo; non approvava neanche una conformazione forzata a sottostare al volere di un Pontefice che non considerasse abbastanza le diversità tra chiesa e chiesa.
Ma procedendo per gradi, è interessante capire come scaturiscano le posizioni di Martini dall’uomo che è stato. Come fa notare la professoressa Maria Paiano, il profilo di studioso, capace di un’analisi critica delle Sacre Scritture in chiave moderna come di un’attenta lettura della realtà contemporanea, spiega la concezione di Martini in questo complicato contesto.
Un cardinale illuminato? Questa l’etichetta più adatta a un personaggio come Martini? Forse, ma, come al solito, ridurre la complessità delle vicende umane a uno slogan o un’etichetta ne limita la comprensione. Segue così la sua biografia, nel tentativo di delinearne i tratti essenziali.
Carlo Maria Martini nacque a Torino da una famiglia benestante. Sin dalla tenera età manifestava uno straordinario interesse per le Sacre Scritture. Nel 1944 entrò a far parte della Compagnia di Gesù, ordine religioso cattolico. La sua formazione da abile biblista e esegeta emerse ben presto, tanto che arrivò a investire l’incarico di rettore del Pontificio Istituto Biblico e a curare traduzioni delle Sacre Scritture valide tutt’oggi.
Nel 1979 ottenne l’incarico di arcivescovo di Milano, non di poco rilievo, dato che implica l’amministrazione di una vastissima diocesi. Detenne questo ruolo fino al 2002. Negli anni di episcopato la sua attività fu frenetica: nel 1983 è stato nominato anche cardinale (elettore e stretto collaboratore del Pontefice); nel frattempo si faceva portatore di carità e supporto agli indigenti nell’anonimato, diede altrettanto supporto e vicinanza a ex-terroristi dei cupi anni del terrorismo italiano, guidandoli a pentimento e cambiamento; in questo periodo istituì varie iniziative come la Scuola della Parola (1980) e la Cattedra dei non credenti (1987). Queste due iniziative erano volte a diffondere la buona novella tra chiunque volesse approfondirla. La conversione e “accalappiamento” di fedeli convinti non era infatti lo scopo di tali proposte, che racchiudevano un nuovo significato di evangelizzazione, nel senso di dialogo e diffusione della parola di Dio. La Scuola della Parola invitava a un’attenta lettura del Vangelo nel duomo di Milano e guidava a un’attualizzazione dei suoi messaggi: “cosa mi dice oggi questo passo del Vangelo?”,era la domanda che Martini poneva. La Cattedra dei non credenti era invece uno spazio di confronto tra credenti e non, che condividevano le ragioni delle proprie convinzioni.
Detto non a caso “cardinale del dialogo”, egli sentiva tra l’altro il debito della comunità cristiana nei confronti dell’Ebraismo, la prima religione monoteistica; era convinto della bontà di un confronto tra religioni e di un avvicinamento della Chiesa alla società moderna, alla concretezza della quotidianità a partire dalle Sacre Scritture.
A suo dire, il compito della religione era portare armonia e rispetto tra le persone. Il Cristianesimo secondo lui avrebbe perso del significato originario, se non avesse promosso l’umanizzazione e la responsabilizzazione verso il prossimo.
Inorridiva al pensiero dei fondamentalisti che erigevano la propria religione a bandiera di ostilità contro qualsiasi divergenza.
Era fautore di un atteggiamento non di condanna, ma di ascolto e comprensione verso posizioni e possibilità recentemente diffusesi (o in certi casi, venute “in voga”), come contraccezione, ateismo, omosessualità e aborto, soprattutto se frutto di prolungata riflessione. Non per questo approvava tutto: il suo pensiero si basava sulle Sacre Scritture e non deviava da esse. Non scordava la dottrina cristiana nel suo nocciolo, nel goffo e contraddittorio tentativo di inglobare seguaci da tutte le parti; la sua apertura non sconfinò insomma nel comodo e dilagante relativismo etico che lui stesso disapprovava.
Prima della distinzione tra credenti e non, riteneva sostanziale quella tra pensanti e non, in quello che lui chiamava popolo di Dio. La distinzione era cioè tra chi sceglieva in base a un ghiribizzo, una moda del momento, e chi sceglieva in base a una convinzione maturata e ragionata. Sosteneva l’invalidità religiosa di una devozione ostentata ma finta, magari utilitaristica o figlia del conformismo.
Sempre al periodo di episcopato risale la sua attività come membro e promotore del Gruppo di San Gallo (1986-1993). Il libro di Perugi si concentra su tale periodo. Prima di tutto, cosa era però il Gruppo di San Gallo? Come spiega l’autrice del volume, è un collegio informale di vescovi da tutta Europa, non riconosciuto dalla Curia romana (il “governo della Chiesa”); esso si riunisce concentrandosi in una discussione che tocca tre aspetti principali: ecumenismo, collegialità episcopale e evangelizzazione nell’attualità.
Questi vescovi erano disposti a venirsi incontro, in un quadro europeo variopinto e complicato.
Vedevano nella collegialità episcopale una collaborazione tra vescovi non circoscritta alla diffusione della buona novella con atti e parole, ma anche riconosciuta e dotata dalla Curia romana di potere decisionale.
Attribuivano a evangelizzazione lo stesso significato difeso da Martini, cioè di divulgazione del messaggio di pace e speranza della parola di Dio, non di proselitismo dal retrogusto sofistico.
Tale evangelizzazione doveva rispettare la secolarizzazione della società, ormai dato di fatto, contro cui la Chiesa non aveva potere.
Come già stabilito dal Concilio Vaticano II, la Chiesa avrebbe dovuto adeguarsi al cambiamento in un’ottica di attualizzazione e conservazione del messaggio evangelico. I propositi del Concilio in parte restano tutt’oggi un obiettivo della Chiesa, in cammino con una società in continua evoluzione.
Intendevano infine ecumenismo come apertura al dialogo, rispetto verso tradizioni consolidatesi con l’isolamento, a patto che non perdessero l’identità cattolica: la Chiesa era da intendere come soggetto plurale, non confederazione di realtà scollegate e magari persino in rapporti ostili, nemmeno come ente troppo uniforme e compatto.
La Guerra Fredda aveva del resto sancito la cortina di ferro tra Europa orientale e occidentale fino al 1989, con il simbolico abbattimento del muro di Berlino. Ma demolendo un muro non si rimuovevano certo i frutti della separazione, e questo il Gruppo di San Gallo lo sapeva bene. La Curia romana promuoveva invece un’unificazione dall’Atlantico agli Urali, repentina e precipitosa agli occhi del collegio episcopale. Il modello di dialogo proposto dalla Curia romana risultò infine vincente su quello proposto dal Gruppo di San Gallo, a partire dal 1993 (anno in cui Martini smise di credere nell’attuabilità dei suoi progetti, almeno nella loro interezza). Perciò Perugi esplicita già dal titolo di raccontare la “storia di una sconfitta”. L’allora papa Giovanni Paolo II impostò così un modello di centralismo per la Chiesa.
Quindi il libro non è pensato per un ristretto pubblico di teologi, ha un messaggio assai attuale. Il volume stimola importanti riflessioni sull’assetto dell’Europa di oggi, su come il suo ordinamento politico permei la Chiesa e la società, quindi il nostro modo di vivere la realtà.
Avvicina inoltre i lettori a un personaggio come il cardinale Martini, importante nel suo tentativo di equilibrare concretezza e spiritualità. La conciliazione equilibrata tra aspetto pragmatico e spirituale è difficile da raggiungere, quanto del resto fondamentale al conseguimento di quel benessere psicofisico di cui si sente tanto parlare. Benessere attraverso cui si diventa capaci di leggere in modo critico e, per quanto possibile, distaccato, la realtà; così si potranno affrontare responsabilmente gli ostacoli e le questioni che la vita ci pone.