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Interviste del Leo 67: lo storico Franco Cardini ci racconta le cause del conflitto Russia-Ucraina

Un momento della presentazione a palazzo Strozzi-Sacrati

Venerdì 16 dicembre, nella sala Pegaso di Palazzo Strozzi Sacrati in piazza Duomo, è stato presentato Ucraina 2022 – La storia in pericolo, nuovo volume della collana Controvento pubblicata dalla casa editrice La Vela. A esporre l’opera erano presenti il professore Franco Cardini, curatore dell’opera, e agli autori Ugo Barlozzetti, Alessandro Bedini e Claudio Carpini, insieme al moderatore Paolo Guidotti e il presidente della regione Toscana Eugenio Giani. Con l’occasione abbiamo rivolte alcune domande al professor Cardini, celebre storico e saggista fiorentino, riguardo ai fatti antecedenti al conflitto Russia-Ucraina.

Ringraziamo il professore per il tempo concesso e lasciamo a lui la parola.

Potrebbe descriverci, a parole sue, la figura di Vladimir Putin? E soprattutto la situazione della Russia prima del conflitto?

Vladimir Putin è un militare, si può dire di carriera. Ha fatto carriera alla polizia e altri tipi di servizi, è diventato un leader della primissima Russia quando ormai l’unione sovietica si era frammentata, cioè dopo 1991. Non credo sia mai stato comunista, se per comunismo si intende un’ideologia, è sempre stato un uomo che ha lavorato nell’apparato e profondamente nello stato. Lo definirei un cristiano nazionalista, non è vero che adesso abbia atteggiamenti cristiani o ortodossi per diventare popolare, di lui si è sempre della che avesse uno speciale rapporto con il cristianesimo. È di famiglia cristiana, come la maggior parte delle famiglie russe, pure durante il regime sovietico anche se non lo davano a vedere, e idee di un uomo che ha iniziato la carriera con Iversen. Iversen vuol dire il fascino dell’occidente, la speranza che la Russia potesse in poco tempo, non solo tornare ad essere una grande potenza lcome ormai non era più, ma che anche potesse tornare ad un buon livello di benessere individuale, di ricchezza personale e di libertà dall’occidente. È un uomo che ha creduto in buona fede tutte queste cose anche se è tutt’altro che un ingenuo, ad un certo punto è quasi arrivato anche a candidare la Russia per la NATO, perché l’inizio del nostro secolo era caratterizzato dalla tensione tra il mondo occidentale e quella parte del mondo islamico che si era soliti chiamare il fondamentalismo, interpretato come una forma di islamismo estremista. C’era un forte tentativo di riorganizzare tutto il mondo secondo una visione secondo per cui gli Stati Uniti d’America diventassero l’unico leader mondiale e infatti c’è stato un momento che ha visto la super potenza militare e economica americana soverchiare. Tempo in cui Francis Fukuyama ha scritto il saggio sulla fine della storia perché ormai non c’era più nulla da fare o inventare, c’era solo da conservare il conservabile cioè l’egemonia americana e il progresso verso il benessere. Iversen ha un po’ creduto a questo tipo di ideologia, e siccome era un uomo che aveva vissuto e lavorato nell’Unione Sovietica, un certo tipo di brutalità statalista l’aveva mantenuta. Da questo si capisce perché fu incaricato di sedare i musulmani in Cecenia, compito che eseguì con una violenza inaudita, il mio personale rancore nei confronti di Putin che perdura ancora riguarda il modo in cui ha trattato la Cecenia, soprattutto la città di Groznyj, la capitale. Una violenza assolutamente inaudita, se la sognano gli ucraini di oggi ecco. Però a quel tempo questo personaggio fu applaudito in tutto l’Occidente, si pensò che veramente fosse l’uomo che stava pilotando la Russia in un’alleanza con l’Occidente, ma si è accorto gradualmente che nei progetti della superpotenza americana e dei suoi satelliti europei la Russia sarebbe dovuta diventare a sua volta un satellite. Ciò avrebbe voluto dire che si sarebbe dovuto far entrare le multinazionali nel suo tessuto socio-economico e sarebbe dovuta diventare una potenza periferica. Putin non ha accettato tutto questo, si è allontanato da questa sorta di alleanza con gli Stati Uniti d’America, che non sarebbe stata alla pari e ha cominciato a guardarli con sempre maggiore disincanto. Nel frattempo gli Stati Uniti d’America con la NATO si mangiavano tutta l’Europa e una parte dell’Asia: arrivati al capitolo ucraino è abbastanza comprensibile che il signor Putin abbia perduto la pazienza e abbia commesso anche qualche sbaglio. Il resto è cronaca e direi che ci si può fermare qui.

Tra le varie cause che i media di informazione hanno diffuso negli ultimi mesi, quali sono secondo lei le vere cause del conflitto?

Le varie cause del conflitto sono: la volontà molto precisa e ben motivata e credo anche strategicamente organizzata, da parte degli Stati Uniti ovviamente e dei loro principali alleati come i paesi arabi o il Giappone, di “arancionizzare” tutta l’Eurasia cioè di far diventare tutto il mondo, fra l’Europa orientale e la Cina, una serie di piccoli stati filo-occidentali che accettino il modo di produzione e l’organizzazione socio-economica che è guidata dagli Stati Uniti e che si preparino con questo a quello che i teorici del nuovo corso degli affari statunitensi chiamano PNAC (project for new american century), in modo da perpetuare la loro egemonia sul mondo. Quindi è un progetto ben organizzato, anche se non ha funzionato del tutto; per esempio si è messa di mezzo la presidenza di Obama sulla quali c’erano grandi speranze che il mondo cambiasse un po’ e invece non è successo. 

Come crede che i media abbiano influenzato il conflitto?

I media più che influenzare il conflitto eseguono degli ordini, non abbiamo una sovranità politica effettiva, noi siamo per la politica estera come quella militare, alleati con una grande potenza ma non a livello paritario e che ha una precisa strategia; evidentemente tutto questo influenza i mass media, perché essi devono avere delle fonti di finanziamento, degli appoggi politici, e tutto ciò si ottiene attraverso una precisa catena di comando, che parte dagli Stati Uniti d’America, attraversa i paesi occidentali, e funziona su un piano che ordinariamente si definisce di pensiero unico. Se lei mi domandasse se preferirei continuare a vivere in Italia o trasferirmi in Corea del Nord, ovviamente le risponderei in Italia, però bisogna tener conto che ci sono condizionamenti anche in quella che a noi sembra una libertà totale e assoluta.

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