12 febbraio 2012, si sta disputando la finale della Coppa delle nazioni africane tra Zambia e Costa d’Avorio. La partita si gioca allo Stade d’Angondjé di Libreville, capitale del Gabon, a soli pochi chilometri di distanza dal luogo del disastro aereo che, il 27 aprile 1993, portò via molti giocatori della nazionale zambiana. L’aereo era diretto a Dakar, capitale del Senegal, dove lo Zambia avrebbe dovuto giocare un incontro fondamentale per la qualificazione ai Mondiali di calcio del 1994. Nell’incidente perirono 18 calciatori, 7 funzionari della federazione e 5 membri dello staff. Lo Zambia, con una nuova squadra assemblata in pochissimo tempo, riuscì miracolosamente ad arrivare alla finale della Coppa d’Africa del 1994 (poi persa con la Nigeria) ma non ottenne la qualificazione ai Campionati mondiali, obbiettivo mai centrato nella storia della nazionale zambiana.
Dopo 120 minuti di gioco il risultato è ancora sullo 0-0, la finale si deciderà ai rigori. Gli Elefanti ivoriani contro i Chipolopolo zambiani ovvero “proiettili di rame”, uno dei maggiori prodotti d’esportazione del paese, per entrambe le rappresentative sarebbe il primo titolo nella loro storia. Sulla panchina dello Zambia, in mezzo a militari in divisa, siede un uomo bianco, con una camicia bianca sbottonata e una folta chioma bionda, si tratta di Hervé Renard, allenatore ed ex giocatore francese con l’Africa nel destino.
Hervé Renard nasce il 30 settembre 1968 ad Aix-les-Bains, comune francese del dipartimento della Savoia. Ha avuto una carriera da calciatore mediocre: difensore centrale, ha vestito le maglie di Cannes (dove è stato compagno di squadra di Zinédine Zidane), dello Stade de Vallauris e del Draguignan, per lui una sola presenza nella massima serie francese, a 20 anni contro il Racing Club. Al momento del ritiro, dovuto ad un infortunio al ginocchio, un suo caro amico, Pierre Romero, gli consiglia di non dedicarsi solo al calcio, inizia dunque a lavorare come addetto alle pulizie, per poi fondare la propria impresa di pulizie.
La sua carriera di allenatore inizia nel 1998 al Drauguignan dove i 1500 euro al mese che guadagnava lo facevano riflettere su quale fosse l’occupazione principale, se l’allenatore o l’impresa di pulizie. Renard però non ne ha mai fatto una questione di soldi, il suo obbiettivo era allenare, ma ancora non sapeva cosa il destino aveva in serbo per lui. Nel 2002 Claude Le Roy, allenatore francese vincitore di una Coppa d’Africa con il Camerun e con un passato da osservatore al Milan di Sacchi, gli offre la possibilità di assisterlo al Shangai Cosco, club militante nel campionato cinese. I successi di Le Roy nel continente africano sono stati celebrati nel 2018 quando George Weah, presidente della Liberia ed ex attaccante di livello mondiale, ha onorato lui e Arsene Wenger per il loro ruolo positivo nella carriera di molti calciatori africani. Se Renard sarebbe dovuto diventare il principe d’Africa, Le Roy ne era sicuramente il re.
Difronte all’offerta Renard non ci pensa un secondo, vende l’impresa di pulizie e parte. In Cina cerca di imparare il più possibile, ma l’avventura asiatica dura solo una stagione. Nel 2004 segue nuovamente Le Roy al Cambridge United, esperienza non positiva sia per la barriera linguistica sia per l’atteggiamento del mentore, il quale aveva poca voglia di sedersi in panchina. Passa in seguito pochi mesi al Nam Dinh, squadra vietnamita; dal 2005 al 2007 opera invece in patria dove allena il Cherbourg.
Renard ha poi seguito le orme del maestro andando ad allenare una nazionale africana: lo Zambia. Le Roy aveva parlato spesso a Renard dell’Africa, dei suoi trionfi nel continente e degli ambienti che trovava. Egli non è stato il primo allenatore europeo a costruirsi una carriera in Africa, ma è stato il primo ad integrarsi nella cultura dei paese da lui allenati, un comportamento che lo stesso Renard sceglie di adottare. Alla Coppa d’Africa del 2008 l’avventura si ferma ai quarti di finale, risultato che mancava allo Zambia da ben 14 anni. Lasciata la panchina zambiana, nell’aprile 2010, diventa commissario tecnico dell’Angola, incarico da cui si dimette nell’ottobre seguente.
Si sposta in seguito in Algeria per allenare l‘USM Alger per poi, il 22 ottobre 2011, tornare in Zambia firmando un contratto annuale. Alla Coppa d’Africa del 2013 lo Zambia termina il girone al primo posto, per poi battere Sudan e Ghana ed accedere alla finale contro la Costa d’Avorio. 0-0 dopo 120 minuti, si va ai rigori. Sul 7-7 il rigore del difensore ivoriano Kolo Tourè viene parato facilmente, match point per lo Zambia che però non viene sfruttato da Kalamba, il suo tiro termina infatti sopra la traversa. La tensione cresce e Gervinho, attaccante ivoriano, la sente, il suo rigore finisce alto sopra i legni della porta concedendo allo Zambia un’altra occasione per vincere la finale. Sul dischetto si presenta Stophira Sunzu che, glaciale, infila la palla in rete consegnando allo Zambia il titolo di Campione d’Africa per la prima volta nella sua storia. Dopo il rigore vincente l’aggressività di Renard si tramuta nella sensibilità di un genitore affettuoso, orgoglioso del proprio figlio. Il segreto del successo di Renard non si ritrova in innovazioni tecnico-tattiche, bensì nella componente psicologica, con la sua capacità di entrare dentro le menti dei suoi giocatori, proprio come gli aveva insegnato Le Roy.
Dopo pochi istanti dal fischio finale i giocatori dei Chipolopolo si inginocchiano in cerchio vicino alla bandierina del calcio d’angolo per ringraziare Dio e per ricordare il disastro aereo del 1993, la più grande tragedia sportiva della loro nazione. Tre giorni prima della finale, Renard aveva portato la squadra sulla spiaggia più vicina al luogo del disastro dichiarando: “Ora sono tutti alla ricerca di stimoli, ma penso che questo qui sia molto più potente“. La gioia per la vittoria del suo primo trofeo internazionale lascia dunque spazio al sentimento, al rispetto verso quei rapporti sociali che aveva creato nei grandiosi anni in Zambia. Superato il momento di raccoglimento ritorna la gioia, e anche Renard si lancia in danze tribali a torso nudo insieme ai suoi calciatori. Da quella partita in poi la camicia bianca sbottonata, i capelli biondi e l’incarnato bronzeo diventano i tratti distintivi di Renard, un allenatore vincente, e proprio per vincere, nel 2015, lo chiama la Costa d’Avorio, la squadra che aveva battuto in finale.
Renard diventa CT (commissario tecnico) della Costa d’Avorio dopo una breve esperienza in patria, al Sochaux: chiamato per salvare la squadra ultima con 7 punti dopo 12 giornate, non riesce nel miracolo. In Costa d’Avorio l’allenatore francese affronta la rabbia e la frustrazione di una squadra piena di giocatori talentuosi (Yaya Touré, Gervinho, Bony e molti altri) ma che non aveva ancora vinto niente. Il tecnico francese porta gli Elefanti ivoriani fino alla finale della Coppa d’Africa del 2015, dopo aver passato il girone al primo posto ed aver battuto l’Algeria e la Repubblica Democratica del Congo. La finale, contro il Ghana, si decide ai rigori (di nuovo). Il Ghana segna i primi due, mentre la Costa d’Avorio li sbaglia entrambi mettendosi in una situazione difficile. Poi però il Ghana sbaglia i due successivi con Acquah e Acheampo, gli ivoriani tornano dunque in partita. Dopo 22 rigori, il portiere del Ghana, Brimah Razak, si fa parare il suo tiro dal collega zambiano Boubacar Barry, il quale invece segna diventando l’eroe della serata. L’esultanza ivoriana, piena di balli e risate, coinvolge anche il loro allenatore che guida i festeggiamenti a torso nudo (di nuovo) davanti ai propri tifosi, con i suoi giocatori che da dietro seguono ogni sua mossa. Renard è diventato il primo allenatore a vincere la Coppa d’Africa con più di una nazione, impresa che nemmeno il suo grande mentore Claude Le Roy era riuscito a realizzare (ci era andato vicino nel 2008 quando il suo Ghana venne sconfitto in semifinale dal Camerun).
Dopo l’avventura in Costa d’Avorio, e una stagione deludente al Lille, Renard diventa nel 2016 CT del Marocco, riuscendo a portarlo al Mondiale del 2018 dopo 20 anni di assenza. Il Marocco non è fortunato nel sorteggio: finisce nel gruppo B con Spagna, Portogallo ed Iran. Un pareggio e due sconfitte, ultimo posto del girone, ma il Mondiale del Marocco non si riduce a questo, la squadra di Renard è stata una delle poche, tra quelle non di prima fascia, ad aver proposto un gioco aggressivo e ambizioso, con i due terzini in costante proiezione offensiva, e gli interni di centrocampo a piede invertito che avevano il compito di entrare dentro il campo a creare superiorità numerica, ma tutto questo non è bastato.
L’avventura di Renard in Marocco si interrompe nel 2019, dopo una deludente sconfitta agli ottavi di finale della Coppa d’Africa contro il Benin ai calci di rigore.
Nel luglio 2019 viene nominato CT dell’Arabia Saudita, che conduce alla qualificazione al Campionato del Mondo del 2022 vincendo il girone finale di qualificazione con 7 successi in 10 partite. Alla partita d’esordio contro l’Argentina di Lionel Messi imbattuta da 36 partite, avviene il miracolo, ciò che resterà impresso nella storia dei Mondiali per l’eternità: allo Stadio Lusail l’Arabia Saudita vince per 2-1, mettendo in ginocchio la grande Albiceleste. L’Arabia Saudita era andata a riposo negli spogliatoi sotto 1-0 e Renard con le sue parole ha saputo toccare le corde giuste: “Ragazzi, cosa stiamo facendo? Siamo messi male in campo, c’è Messi sempre libero di fare quello che vuole. Tu che stai davanti alla difesa, che combini? Vedi che prende palla e lo insegui? Vuoi il telefono per fare una foto con lui? Ci rendiamo conto di cosa stiamo facendo e di dove siamo? Questa è la coppa del mondo, dobbiamo avere la convinzione di poter ribaltare la partita”. Queste le parole del tecnico francese. La squadra rientra in campo con un atteggiamento diverso, testimonianza di come Renard riesca a motivare i suoi giocatori anche nelle situazioni più difficili, quando tutto sembra già scritto. L’Arabia Saudita ribalta il risultato e resiste agli attacchi di Messi e compagni fino al triplice fischio, regalando ai tifosi arabi una gioia incredibile. E nonostante le successive sconfitte (con Polonia e Messico) e l’eliminazione dal Campionato del Mondo, quella partita resterà per sempre nei ricordi di tutti gli appassionati (considerando anche che l’Argentina ha poi vinto il Mondiale), e sicuramente non sarà scordata nemmeno da Renard, e chissà se quando si alzava tutti i giorni alle 3 del mattino per portare fuori dai palazzi i bidoni della spazzatura, si immaginava che un giorno avrebbe raggiunto questi risultati.