Il Premio Nobel per la chimica 2022 è stato assegnato a Carolyn Bertozzi, Morten Meldal e Barry Sharpless per lo sviluppo di tecniche per ingegnerizzare le molecole biologiche. Si è presentata l’occasione di intervistare la prof.essa Anna Papini, collaboratrice di questa ricerca, la quale attualmente insegna all’Università di Firenze e ha recentemente partecipato a una conferenza al Liceo Leonardo da Vinci proprio sui peptidi.
Come si è trovata all’Università di Firenze?
<<L’Università di Firenze è una delle università più note in Italia ed è un’università che ha dato delle ottime basi, nel campo della chimica e non solo è considerata un’eccellenza per il tipo di ricercatori ma anche di attrezzature di cui dispone. Grazie al programma Erasmus, di cui mi occupo in quanto delegata delle relazioni internazionali della scuola di scienze, è possibile internazionalizzare i nostri percorsi. Scegliere di laurearsi in un’università più vicina ai luoghi in cui si abita non deve far pensare che tutto il percorso di studi si debba fare in quella università. Il sistema 3+2 lascia molta libertà sul percorso che si vuole iniziare a seguire per poi andare a specializzarsi in un’altra università italiana, o anche straniera.
Non si deve pensare che se si inizia a fare una laurea triennale dobbiamo già avere in chiaro il percorso che vogliamo fare, può essere un momento che permette di pianificare meglio le attività da fare in futuro. Consiglio sempre di ricorrere ai percorsi anche internazionali per chiarirsi le idee.>>
Come si è appassionata allo studio della biologia dei peptidi?
<<Quando ho studiato biologia, si studiavano principalmente le cellule e lentamente ci siamo resi conto che all’interno delle cellule tutto è gestito da molecole. Quando dico molecole intendo principalmente le biomolecole, se possiamo chiamarle così, che sono macro molecole come: le proteine, i carboidrati, i lipidi, i nucleotidi. Mi sono appassionata a questo campo perché proprio l’interazione tra queste molecole genera le risposte biologiche, e quindi cercare una risposta biologica senza sapere chi sono gli attori principali è simile a interessarsi a qualcosa giocando alla mosca ceca. Cercare di comprendere i meccanismi molecolari dei processi biologici può aiutare ad effettuare una ricerca applicata, dal momento che un farmaco o un diagnostico è pur sempre costituito da molecole. Comprendere i meccanismi, e quindi comprendere quali sono le molecole che stanno dietro ai meccanismi biologici, permette di intervenire in una maniera molto più specifica.>>
Lei fa parte della società americana Peptide Society ed è stata la prima italiana a fare parte del progetto, di cosa tratta questa società?
<<Le associazioni scientifiche o società scientifiche sono delle associazioni, non a scopo di lucro, che hanno la missione di diffondere la scienza relativa alla società e alla vita pubblica. L’American Peptide Society e l’European Peptide Society si riuniscono regolarmente organizzando congressi biennali e congressi nazionali.
La nostra associazione sarà coivolta nell’organizzazione del quattordicesimo International Peptide Symposium, che si organizzerà l’ultima settimana di agosto nel 2024. Nell’American Peptide Society, oltre all’organizzazione di questi congressi si assegnano diversi premi come il Premio Du Vigneaud, dal vincitore del premio Nobel del 1955 sull’ossitocina, o il Premio Bruce Merrifield, premio Nobel del 1984 sulla sintesi su fase solida di peptidi. I premi dell’European Peptide Society sono invece: il Premio Zervas assegnato a metà carriera, che ho ricevuto insieme ai miei collaboratori per una serie di risultati che abbiamo pubblicato, il Premio Bosanzky che è stato istituito più recentemente, premio che si riceve a inizio carriera o a chi ha sviluppato peptidi di interesse farmaceutico, e infine c’è il Premio Ruding che viene dato a fine carriera.>>
Ha parlato durante la presentazione avvenuta al nostro Liceo della sua collaborazione nell’ingegnerizzazione molecolare, e volevo chiederle qualche approfondimento su questo argomento
<<Conosco Morten Meldal da quando ho iniziato a frequentare i congressi della European e American Peptide Society, è stato una persona che mi ha ispirato e con cui successivamente ho iniziato a collaborare nell’ambito della chimica combinatoriale, una branca della chimica che permette di individuare più rapidamente quelle molecole che si chiamano lead compound (composti leader) e permettono di formare degli eventuali farmaci diagnostici. Organizzammo insieme nel 2007 il Congresso Internazionale della Società di chimica combinatoriale. I suoi studi si sono concentrati sull’ingegnerizzazione delle molecole al fine di sviluppare prodotti più facili da utilizzare come farmaci, ma anche per seguire il percorso delle molecole in un organismo vivente. La reazione di click è molto semplice in termini di reattività dei gruppi che la formano: non comportano prodotti secondari, quindi si può riuscire ad introdurre nelle molecole questo alchino e questo azide che sono i reagenti del triazolo, cioè il prodotto ciclico che di per sé mima il legame ammidico. Questa scoperta ha portato Morten Meldal, Berry Sharpless e Carolyn Bertozzi a mettere appunto la sintesi con una strategia pulita, che non richiede purificazioni complesse e contemporaneamente può andare a sostituire in modo specifico all’interno delle proteine ingegnerizzate queste funzioni che permettono a quel punto di agganciare, grazie a questa reazione di click, per esempio delle molecole fluorescenti, per tracciare il percorso della molecola in vivo. Il mio gruppo di ricerca ha immaginato che quel modo di formare il triazolo potesse essere utile per formare non solo un legame ma un ponte. Quando si forma un ponte si induce una costrizione che può generare una struttura conformazionale molto più stabile: essendo le molecole peptidiche molto flessibili, intorno a quei legami è possibile avere una dinamica della molecola che non sempre permette di avere la conformazione bioattiva, infatti una molecola tridimensionale si trova in più forme contemporaneamente. Introdurre un ponte, come quello triazolico, permette di bloccare quella struttura che presumibilmente ha la conformazione bioattiva nel momento in cui interagisce con un recettore, cioè un’altra proteina. È necessario saper preparare le molecole al sistema biologico che si sta cercando, ad esempio in vivo l’ossitocina, un peptide di nove aminoacidi e un ponte di solfuro, è essenzialmente caratterizzata da un beta turn, una delle forme che può indurre la conformazione. Bisogna costruire un ponte triazolico in modo da bloccare la conformazione a beta turn. Ad ogni modo il numero delle strutture è finito, e quindi facilmente identificabili, grazie a tecniche come la risonanza magnetica nucleare e i raggi X, che riescono a bloccare una sola conformazione creando un cristallo, mentre le tecniche in soluzione permettono di studiare, magari abbassando la temperatura, le forme che hanno maggior propensione ad organizzarsi in quella determinata conformazione tridimensionale.>>
Quale potrà essere l’applicazione futura di queste scoperte?
<<L’applicazione principale sarà nella produzione di farmaci: dal momento i legami amminici sono legami naturali, all’interno del nostro organismo abbiamo enzimi che sono in grado di degradarli e di mandarli nel proteasoma, parte della cellula si distruggono tutti gli scarti che non più utili. Quando abbiamo un prodotto in vivo che deriva da una condizione patologica, sostanzialmente lo dobbiamo degradare. Un farmaco, per poter agire all’interno dell’organismo, deve rispondere alle regole dell’A.D.M.E., Absorption, Distribution, Metabolism, Exretion (assorbimento, distribuzione, metabolismo ed escrezione): la molecola del farmaco deve entrare attraversi una via di somministrazione (orale, endovenosa, supposta o altro), in funzione delle barriere che oltrepassa all’interno dell’organismo incontrerà degli enzimi o delle condizioni, anche semplicemente di pH (acidità/basicità), che permettono di degradarla. Più la molecola è simile a quelle naturali più sarà facilmente degradabile, ma d’altra parte le sostanze più naturali permettono una minore tossicità. I peptidi, le molecole che noi stessi produciamo, sono le più naturali ma occorre stabilizzarle, altrimenti il nostro organismo comincerà a tagliarle come fossero molecole endogene. L’ingegnerizzazione della click chemistry, premiata dal premio Nobel di quest’anno, permette di introdurre il legame triazolico, dal momento che è mimetico, al posto del legame ammidico. Introdotta la molecola nell’organismo, questo legame, permette di farla permanere più a lungo nell’organismo, d’altra parte è importante che quando viene introdotta non vi rimanga per troppo tempo altrimenti diventa tossica. Deve esserci un buon bilanciamento tra escrezione e stabilità.
La chemistry click non è l’unico elemento strutturale ma anche mettere un amminoacido aiuta a stabilizzare la molecola. Il gruppo r (catena laterale di un amminoacido) può essere orientato in una maniera o nell’altra e genera due molecole non diverse anche se hanno gli stessi gruppi funzionali come due mani: sono uguali ma non si sovrappongono perché queste due sono enantiomeri, ovvero una è l’immagine speculare dell’altra. Se due molecole non sono sovrapponibili ma speculari, vuol dire che interagiranno con il recettore in maniera diversa, hanno alcune proprietà che sono simili ma altre che invece sono diverse. Se negli amminoacidi il gruppo r viene esposto in modo diverso l’interazione può ostacolata. Ad esempio, quando i batteri interagiscono con gli amminoacidi d, si introducono nell’organismo e si invadono perché noi non abbiamo difese che possono degradare quell’amminoacido. È sempre una guerra tra il nostro organismo e gli organismi parassiti. Questa ricerca sarà utile alla produzione di una medicina personalizzata, ovvero adattata alle piccole differenze che intercorrono fra di noi. La medicina personalizzata si occupa di riuscire ad identificare quelle molecole che in un organismo hanno generato la patologia, e quindi di sviluppare un farmaco adatto alla situazione di uno o a quella di un altro. Si individuano sostanzialmente le proteine o gli acidi nucleici di un individuo o di un altro per poter poi agire sulle biomolecole di una molto più diversa classi di individui. Oggi la produzione di queste molecole è facilitata: la sintesi su fase solida sviluppata da Merrifield ha portato anche alla sintesi degli acidi nucleici di DNA e RNA, anche se nel caso degli acidi nucleici è molto più semplice perché le basi da accoppiare sono solo quattro e sono pochissime funzioni, mentre negli aminoacidi ci sono diverse catene laterali, quindi occorre bloccare le catene laterali su cui non si vuole che avvengano delle reazioni.
Lavorare in ambito scientifico insegna anche a vivere in maniera molto più umana. Viviamo in un mondo in cui si deve essere sempre super performante, nonostante si parli di inclusione siamo ancora molto attaccati alla nostra versione di individui forti. Vivere la vita in una maniera scientifica vuol dire saper aspettare perché un esperimento scientifico ha sempre necessità di tempo, saper verificare di poter osservare altre volte ciò hai magari visto una volta.
Lo scienziato cerca di confrontarsi, accettare o dimostrare qualcosa, condividono con i giovani quella voglia di fare cose, di tirare fuori quell’energia che hanno dentro e di imparare. La società moderna non crede più all’istruzione, tutti nascono imparati e si permettono di dire tutto senza saper distinguere il vero dal falso.
Gli scienziati sono molto più umani di quello che non si voglia far credere, è che la scienza talvolta fa paura.>>