Esattamente 49 anni fa andava in scena uno degli spettacoli più vergognosi della storia del calcio: il ritorno dello spareggio CILE-URSS valevole per la qualificazione alla coppa del mondo del 1974 in Germania.
Questa è la storia di una partita che ha provocato un incidente internazionale, che ha avuto conseguenze per molti anni. Per comprendere meglio la vicenda è bene analizzare il contesto storico nella quale essa è avvenuta.
Le qualificazioni ai Mondiali spesso contengono una partita di spareggio tra due nazioni per assegnare il posto rimanente alle fasi finali della competizione.
Per la Coppa del Mondo del 1974 nella Germania Ovest, si videro contrapposte il Cile e l’ URSS, ciò provocò successivamente una situazione di stallo politico.
Due settimane prima dell’andata ci fu un colpo di stato in Cile. Il presidente Salvadore Allende fu ucciso, i militari presero il potere e il generale Pinochet si insediò come leader. Allende era salito al potere nel 1970 dopo essere stato democraticamente eletto. Si diceva che l’amministrazione Nixon a Washington avesse lavorato per creare le condizioni per il colpo di stato.
Il Sud America soffrì per molti anni di giunte militari. I governi di Argentina (1966), Bolivia (1969), Brasile (1964) e Perù (1968) furono tutti rovesciati con colpi di stato e sostituiti da amministrazioni militari. Nel giugno 1973 l’Uruguay seguì l’esempio. Il Cile era stato a lungo considerato un faro della democrazia, sfortunatamente questa idea crollò nel corso di uno dei colpi di stato più efferati di cui si ha memoria.
Naturalmente, l’Unione Sovietica era contraria alle tendenze politiche della nuova giunta militare. Creando così ulteriore tensione durante l’ epoca della “guerra fredda“.
Ma ciò che alla fine fece traboccare il vaso furono le 40.000 persone imprigionate nello Stadio Nazionale (Estadio Nacional) di Santiago dove furono torturate e assassinate. Sullo stesso terreno su cui si sarebbe dovuto disputare l’importante play-off pochi mesi dopo (nonché quello che ospitò 11 anni prima la finale mondiale). C’erano inoltre preoccupazioni circa la sicurezza dei giocatori sovietici in cile.
Da subito Il nuovo regime di Santiago aveva vietato a tutti i cileni di lasciare il paese e , di certo non erano entusiasti che le persone mettessero piede in Unione Sovietica, un regime comunista a cui erano totalmente contrari.
Alla fine Pinochet lasciò partire la squadra a condizione che nessuno rilasciasse dichiarazioni politiche. Quando giunsero a Mosca, ricordano alcuni giocatori, non furono accolti da nessuna autorità politica, né cilena né sovietica.
“L’accoglienza è stata molto fredda. Non c’era alcun protocollo o diplomazia…” ha ricordato Veliz.
In più Elias Figueroa e Caszely furono arrestati dall’immigrazione per presunte irregolarità con i loro passaporti.
“Quando siamo arrivati a Mosca, Elias Figueroa e io non siamo potuti entrare, perché presumibilmente non eravamo noi quelli sui nostri passaporti. Elias sul passaporto aveva i capelli corti, ma in quel momento li aveva lunghi. Nella mia foto avevo i baffi, mentre lì non li avevo” ha ricordato Caszely.
Alla fine furono ammessi e il 26 settembre si è svolta la prima gara a Mosca, due settimane dopo il colpo di stato. Quel mercoledì nello stadio Lenin ci furono circa 100mila spettatori, nessun cronista. La partita fu a senso unico, un assedio dei vice-campioni d’Europa nella metà campo dei cileni, ma questi ultimi resistettero grazie anche alla conduzione della gara totalmente a favore dei sudamericani dell’arbitro brasiliano Armando Marques, convinto anticomunista. La partita terminò 0-0. Al rientro a Santiago i giocatori furono accolti con il massimo degli onori e ricevuti dal dittatore.
“Abbiamo giocato una grande partita difensiva”, ha detto Caszely, “loro erano gli attuali campioni d’Europa e abbiamo salvato un pareggio che era abbastanza conveniente per il ritorno”.
Questa fu un’umiliazione per i sovietici poiché si aspettavano una vittoria facile, dato dal vantaggio di giocare in casa e la pressione che dovevano subire gli avversari.
In seguito iniziarono a spingere per spostare la sede della gara di ritorno, idealmente in un paese neutrale. Non potevano assolutamente mandare i loro giocatori a disputare una partita in uno stadio che era stato il luogo di torture e omicidi, in particolare contro quelli che simpatizzavano i loro stessi ideali politici.
Anche la FA cilena avanzò proposte alternative, ma la giunta militare rimase impassibile. Per loro era un segno di debolezza cedere al regime comunista e volevano migliorare l’opinione pubblica. I sovietici volevano a tutti i costi un paese neutrale a cui sia il Cile che la FIFA rifiutarono.
La FIFA fu costretta a inviare una delegazione per ispezionare lo stadio. Si diceva che ci fossero ancora circa 7.000 detenuti nascosti nell’ impianto. Tutte le voci vennero però smentite dagli ispettori che diedero l’ assenso al disputarsi del match.
Uno dei prigionieri dello stadio, Jorge Montealegre, che all’epoca aveva 19 anni, era presente quando sono arrivati gli ispettori della FIFA.
“Siamo stati tenuti in silenzio sotto la minaccia delle armi. Ci tenevano giù di sotto, nascosti negli spogliatoi e nei tunnel. Siamo stati tenuti dentro, perché c’erano dei giornalisti che seguivano i funzionari della FIFA. Era come se fossimo in due mondi diversi.”
Un altro sopravvissuto, Felipe Aguero, disse in seguito al New York Times;
“Sono rimasto sugli spalti quando sono arrivati gli ispettori. Volevamo gridare ‘Ehi, siamo qui, guardaci!’ Ma sembravano interessati solo alle condizioni del campo.”
I sovietici non erano convinti ed inviarono una lettera alla FIFA annunciando la loro assenza al ritorno dello spareggio;
“Per considerazioni morali i sovietici non possono in questo momento giocare nello stadio di Santiago, schizzato del sangue dei patrioti cileni.”
Alcuni membri della squadra sovietica hanno successivamente affermato di ritenere che il proprio governo avesse paura di perdere contro un paese con un’ideologia così opposta. Allo stesso tempo, credevano di aver ottenuto una vittoria morale agli occhi del mondo.
“La notizia ci è stata data dal presidente della Federcalcio cilena, Francisco Fluxa. È venuto dove alloggiavamo e ci ha detto che i russi non sarebbero venuti e che ci eravamo qualificati per la Germania. Ma ci ha detto che la FIFA ci ha ordinato di scendere in campo e che dovevamo segnare un gol per vincere la partita”, ha detto Caszely.
“Era una farsa, una farsa assoluta. Va contro ogni filosofia sportiva, l’essenza dello sport. Va contro tutto ciò. Non ho mai capito perché la FIFA abbia preso quella decisione. Abbiamo provato delle brutte emozioni a trovarci in quel luogo di tortura e di morte. Ci è dispiaciuto che ci fosse dolore e angoscia. Ma non potevamo fare altro che difendere il nostro Paese ” ha detto Veliz.
Nello stadio ancora pieno di militari furono ammesse circa 15.000 persone per vedere la squadra cilena schierarsi contro nessuno. Si sono messi in fila per l’inno nazionale, hanno dato il calcio d’inizio e quattro giocatori si sono passati il pallone mentre avanzavano verso la porta russa. Raggiunsero l’area e come concordato con il capitano Francisco Valdes segnarono a porta vuota e dopo soli 30 secondi la partita finì.
Ma non ci furono celebrazioni.
Piuttosto che vedere gli spettatori fare una trasferta inutile, la FA cilena organizzò una partita da giocare in seguito tra il Cile e il Santos, club brasiliano.
Ci sono diverse domande senza risposta come perché la FIFA non ha richiesto che la partita fosse giocata in un luogo diverso? Come hanno fatto a non notare i segnali di abuso nello stadio quando hanno inviato i loro ispettori? Perché il Cile doveva ancora giocare la partita, se la FIFA aveva già dichiarato la loro qualificazione.
Tutta questa storia ha una risonanza particolare per Caszely, la cui madre è stata detenuta e torturata dal regime. Poco prima che la squadra partisse per il viaggio nella Germania Ovest, Pinochet li convocò a un incontro. Fu qui che un solo giocatore si rifiutò di stringergli la mano: Caszely.
Fu il primo atto di sfida contro il dittatore e ci sarebbe voluto molto coraggio per portarlo a termine. Forse Pinochet era così assorbito dal voler mettere in scena uno spettacolo per il mondo da suggerire che tutto andava bene all’interno del paese tanto che non ci furono ripercussioni per il giocatore.
Caszely giocò in Spagna dopo la Coppa del Mondo e poi quattro anni dopo tornò in Cile e al suo primo club, il Colo Colo. Ciò significava che avrebbe dovuto giocare ancora una volta all’Estadio Nacional. “Una volta mi è stato chiesto come avrei potuto giocare in quello stadio dove le persone venivano torturate e uccise. Ho risposto che è proprio per questo motivo. Così le anime di coloro che sono stati torturati e uccisi possono essere felici quando mi vedono giocare”
Lo stadio nazionale continua ad ospitare ancora oggi le partite di calcio della nazionale e non solo. Nel 2011 il Cile ha finalmente dedicato un memoriale per ricordare i prigionieri che vi erano detenuti. Nell’Estadio Nacional c’è una sezione di sedili in legno che ora ha lo status di “protezione speciale” e l’area è conosciuta come “Escotilla 8“.
Sopra di esso sono incise le parole “Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro”:
L’area rimane invariata rispetto ad anni fa, quando il resto dello stadio è stato ristrutturato. Il simbolismo è nell’area e rimane silenzioso anche quando il resto dello stadio è rumoroso.
La partita che non avrebbe mai dovuto svolgersi è stato un momento ridicolo nel calcio internazionale ed è passato alla storia come uno dei pomeriggi più tristi mai conosciuti nel calcio.