Sembra che le prime bevande alcoliche siano nate oltre 20.000 anni fa dalla fermentazione di uva e cereali e che abbiano attraversato la storia dell’uomo come un piacere associato alla condivisione durante i pasti.
Specialmente il vino rosso, grazie alle sue proprietà antinfiammatorie e antiossidanti, è ritenuto un buon alleato contro malattie cardiovascolari o patologie metaboliche, ma solo se consumato in condizioni ottimali. Si consumano sostanze psicoattive (come appunto le bevande alcoliche) oggi come secoli fa, ma mentre tanti se non tutti sono consapevoli ad esempio dei rischi della droga e del fumo, c’è più ambiguità sull’alcol, perché diffuso ovunque, economico, “normale”. Se da una parte possiamo considerare certe bevande alcoliche (entro certe quantità, a una certa età …) benefiche, dall’altra, negli ultimi anni si sente parlare del pericolo che costituiscono, per giovani ma non solo. Scandaloso è stato il caso di un tredicenne che lo scorso 28 agosto è stato ricoverato in ospedale a Firenze per intossicazione da alcol. Questo è solo uno dei tanti inconvenienti alcol correlati in questi anni quantitativamente aumentati, in Italia e non solo.
Per quantificare il consumo di alcol si usa l’unità alcolica, U.A., che corrisponde a 12 grammi di alcol puro, presenti in una lattina di birra, un bicchiere di vino di media gradazione o un bicchierino di superalcolici. In un giorno, un uomo adulto può consumare al massimo due unità alcoliche, mentre donne e ragazzi tra 16 e 25 anni, che in genere hanno enzimi meno adatti a “reggere”, non dovrebbero superarne una. Fino ai 16/17 anni non si dovrebbe proprio avvicinarsi a sostanze alcoliche, mentre l’età in cui tanti iniziano a bere è scesa ultimamente a 11-12 anni in Italia!
Come sottolineato dagli esperti, la nostra fragilità è stata molto stuzzicata negli ultimi due anni, che hanno confuso tutti. I dati mostrano che il consumo di alcol è aumentato con la pandemia: le radici di questo aumento vanno ricercate nei fatidici mesi di lockdown nel 2020, quando tutti (tranne medici e pochi altri) cercavamo passatempi casalinghi: c’è chi ha iniziato a monitorare ossessivamente il proprio peso, chi passava ore ad abbellirsi, chi si è lanciato nel vastissimo mondo dei social, di attività ricreative e educative. Ma c’è anche chi ha cercato rifugio nell’alcol, la cui reperibilità, già prima non problematica, attraverso la vendita online ancora meno controllata che nei negozi fisici, è diventata un gioco da ragazzi, alla lettera (allora l’acquisto di alcolici online è aumentato del 180-190%)! Inchiodati davanti a uno schermo, alcuni studenti erano in compagnia di qualche bottiglia di alcolici, rassicurati da una telecamera che non inquadrava tutto o che potevano tenere spenta con la credibile scusa di problemi tecnici. Allora i ricoveri in ospedale per casi di abuso di alcol sono aumentati senza distinzione di genere (mentre anni prima i maschi superavano le femmine), a partire dagli 11 anni. Le parità di genere è una preziosa conquista della nostra società, ma viene a volte purtroppo interpretata come incitamento a fare follie pur di dire “l’ho fatto anche io questo!”.
Prima della pandemia si stimavano 8 milioni e mezzo di italiani a rischio per consumo di alcol, tra cui oltre 800 mila minorenni. Poi noia, malessere per il cambiamento, hanno rincarato la dose e la tendenza non si è più affievolita: ad oggi si stimano 8,6 milioni consumatori a rischio. Secondo recenti analisi sono più a rischio 16-17enni e ultra 65enni. La differenza sta in genere nella preferenza dei giovani per alcol pops (bevande gassate addizionate di alcol), birra, superalcolici – i più dannosi tra le bevande alcoliche!- piuttosto che per il vino.
Le stime sono però indicative perché abbiamo i dati di solo una parte di tutti i consumatori sregolati di alcolici che ci sono.
Le cause che spingono a sbevazzare
Possiamo, magari semplicisticamente, distinguere due filoni di pensiero che spingono a bere:
- Soffro di solitudine e il mio unico compagno costante di viaggio sembra essere l’alcol. L’unico che, se non un prezzo (ma in genere ragionevole), non ha pecche. Lo trovo ovunque, mi fa stare bene, mi fa dimenticare la difficoltà di vivere: provo allegria, leggerezza, senza sforzi. Questo amico non ha occhi né bocca per giudicare. È sempre disponibile, non come i miei simili a volte gentilissimamente vicini (specialmente dietro interesse o davanti a visi da compiacere) altre volte rozzi, inafferrabili, insensibili. Mi dicono di essere forte. Ma dove trovo la forza? In me, che non ho forza? In gente stranita e irritabile anche più di me? Certamente no! Ho bisogno di benessere e se nessuno può darmelo subito e gratuitamente, pago per lo sballo, che riscalda, eccita, scaccia pensieri indesiderati, presto.
- L’unico modo per essere notati, sembrare esperti, divertenti è bere, magari fino allo stordimento. Le cerchie popolari mi accolgono solo se mi unisco al drink. Sennò si appare codardi, obbedienti, insomma sfigati.
Apparire è una parola chiave nella società: la legge del più forte si traduce in molti ambiti nella legge del più presentabile, il che crea la tendenza a bere, a fumare, a drogarsi per esempio, da una parte per isolarsi dal giudizio, dall’altra per essere in buona considerazione nei gruppi di amici in cui si ambisce entrare, per non sentirsi da meno.
Per alcuni l’alcol fa da terapia in quanto psicoattivo economico e legale dall’effetto quasi immediato (la rapida gratificazione sembra combattere ansia e stress): l’euforia, la spensieratezza che si avverte da ubriachi può sembrare una gran bella cura a frustrazioni e malessere che a volte ci assalgono.
Per altri (soprattutto i più giovani) i suoi effetti disinibitori aiutano a socializzare, a emergere nel gruppo di amici e fare i ganzi, i divertenti, i ribelli: oltre all’allettante contraccolpo ludico-ricreativo, si aggiunge agli effetti dell’alcol considerati virtuosi quello di apparire più grandi, di soddisfare la voglia di trasgressione cara ai giovani e non solo.
L’alcol a volte inizia coll’essere un rito di passaggio alla maturità (magari per emulazione) e mezzo di affermazione come persona ganza, poi un’abitudine, infine un bisogno da cui si dipende. Si deve così fare i conti anche con chi vede negli ubriaconi una sorta di categoria a parte, che va evitata, essendo percepita come pericolosa, degradante, patetica, sgradevole.
Ognuno del resto è artefice del suo destino e ha bisogno di sfogarsi, dunque non resta che bofonchiare, urlare la nostra frustrazione cercando di coprire la voce dell’altro, oppure rinchiuderci con qualcosa da cui dipende il nostro benessere.
È semplice poi risolvere la situazione sbottando o dicendo “puoi farcela”. Così semplice che lo diventa ancora di più creare una società di gente stralunata tesa incerta, o meglio certa di non potercela fare se non grazie a una sigaretta, a un bicchierino in più, che si sente isolata.
In questo periodo di confusione, di problemi geopolitici climatici sanitari e sociali, siamo generalmente spaesati.
Il lockdown è ricordato come episodio traumatico, e non è un caso che sia aumentato in quel periodo l’uso di alcol: i cambiamenti repentini, il disagio possono portare all’alcol. Aggiungendoci i problemi personali più o meno dipendenti dal quadro generale, per alcune persone, in alcuni momenti, è difficile essere lucidi. Quando a casa non è più d’obbligo rimanere per il bene comune, rimangono tuttavia senso di isolamento e egocentrismo, armi a doppio taglio perché feriscono chi li prova e chi è intorno. L’inquietudine rimasta rende difficile pensare agli altri o anche a sé.
Ci si vuole giustamente riprendere da anni bui. Affrontare problemi con fare costantemente analizzatore e catastrofista invita chi li ha a non volerci nemmeno riflettere. Ma evitare sempre discussioni genera una tendenza alla superficialità: alcuni problemi rimangono sottovalutati, irrisolti, perché non si vede l’utilità di trattarli o perché scomodi. Essendo poi l’uso dell’alcol sempre esistito e veramente diffuso, rimproverarlo è (pensiamo che si pensi) da bacchettoni, peggio ancora lattanti. Si tende semmai a preoccuparsi di dipendenza da alcol, non di episodi di binge drinking o frequente consumo che provocano intossicazione dell’organismo e stanno a monte della dipendenza.
È infatti diffusa l’usanza di bere sregolatamente per ubriacarsi: si parla di binge drinking (dall’inglese, “abbuffata alcolica”) quando in un arco di tempo limitato si assumono quantità eccessive di alcolici, in genere fuori pasto: tale intossicazione è ancora più grave (e in voga) tra giovani perché la sostanza raggiunge direttamente il sangue e i suoi effetti sono più immediati che durante un pasto. Le gare di bevute associate al binge drinking, alle serate in compagnia sono viste come occasione di inclusione e condivisione (chi non si unisce è percepito come asociale), prove di coraggio; si possono tuttavia definire pazzie. Pazzie perché inesperienza e gusto per l’azzardo portano a tremende conseguenze, anche irreversibili.
Si nota inoltre come si investa di più a pubblicizzare bevande alcoliche, promuovendo l’immagine della persona forte e sicura che beve con disinvoltura, con bottiglie colorate e allegramente invitanti, piuttosto che per organizzare eventi per prevenzione e informazione.
Conseguenze di una “sbicchierata” di troppo
Le bevande alcoliche sono definite apri-pista perché spesso inducono a osare sempre di più, all’uso di altre sostanze (come tabacco e droga) che dietro pagamento offrono lo sballo: possono aprire così la strada allo squallido mondo della dipendenza e dei traffici illegali.
L’alcol, potenzialmente dannoso alla salute mentale e fisica, se associato a altre sostanze psicoattive diventa più pericoloso: si accelera così il deterioramento che porta a danni irreversibili, come coma, morte. Anche sul piano nutrizionale, niente buone notizie: l’alcol ha molte calorie, quindi non è consigliato a chi vuole mantenersi in linea, e sazia (togliendo l’appetito) senza avere proprietà nutritive; così causa malnutrizione che incide a sua volta negativamente su psiche e corpo.
Danni al cervello (quindi alla capacità di astrazione, concentrazione, memoria), al sistema nervoso, al fegato, al pancreas e al cuore, rischio di ictus, diabete, tumore, ma anche alterazioni della personalità (aumento di aggressività e avventatezza) e difficoltà nel relazionarsi sono attribuibili all’alcol se il consumo si protrae smodatamente nel tempo, visti i forti legami tra stile di vita e salute psicofisica: viene da chiedersi “perché continuare così se ci sono tanti rischi?”. La risposta? L’ebbrezza da alcol riduce forza di volontà e autocontrollo, quindi caduti nel vortice della dipendenza, è assai difficile rialzarsi senza ricorrere all’aiuto medico-assistenziale, o almeno di una persona vicina.
In particolare è alcolista chi non trova pace se non beve alcolici e ne sente un bisogno irrefrenabile, ne dipende, questi occupano i suoi pensieri in modo quasi totalizzante. L’alcolista ha una malattia, l’alcolismo. Nonostante siamo abituati a definire l’alcolismo come un vizio, questo è descritto nel DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) come malattia cronica potenzialmente letale dovuta all’uso problematico di alcol. Soprattutto in stati avanzati, medici e psichiatri devono intervenire prima che sia troppo tardi: esistono infatti centri di riabilitazione per alcolisti.
Anche il binge drinking è pericoloso (ancora di più se si è magri o digiuni, perché l’alcol raggiunge prima il sangue e gli effetti sono amplificati) poiché può implicare coma etilico (dovuto a quantità di alcol nel sangue che il fegato non può smaltire, cioè all’alcolemia troppo elevata), morte.
Il vomito è la prima difesa dell’organismo per liberarsi dell’alcol eccessivo, poi degli enzimi del fegato scindono alcol in anidride carbonica e acqua; tuttavia non se ne può abusare, soprattutto se si è giovani o donne, perché a livello fisiologico tali enzimi sono meno presenti che in un uomo adulto, nonostante pure la predisposizione genetica influenzi ciò.
Ci sono quindi conseguenze non piacevoli quanto l’ebbrezza che si verificano ugualmente poco dopo il consumo di alcolici (sempre se in quantità non idonee alle condizioni in cui ci si trova): tra queste ci sono anche alterazione della capacità di giudizio, perdita dell’autocontrollo.
Esse si manifestano in incidenti stradali di guidatori brilli (che non dovrebbero guidare in tale stato), episodi di violenza.
Si potrebbe ribattere avvalendosi di presunti benefici che si ricavano dall’ubriacatura: ad esempio sonno profondo, stato euforico, si disse anche protezione da virus. Peccato che nessuno è veritiero (almeno non completamente); l’alcol aiuta a perdere coscienza, non tanto a addormentarsi: il sonno dell’ubriaco non ristora adeguatamente.
Nonostante l’effetto di ebbrezza che dà all’inizio, l’alcol sembra inibire un neurotrasmettitore eccitatore, il glutammato, provocando depressione, rallentamento dell’attività cerebrale, peggioramento delle prestazioni fisiche.
Infine, nonostante l’alcol disinfetti la pelle, ingerito all’interno dell’organismo diventa corrosivo per i tessuti interni (infatti in gravidanza non si può assolutamente consumare alcol perché danneggia i tessuti fetali) e un problema per il fegato che fatica a metabolizzarlo.
Anche l’inadempimento dei propri doveri, un’improvvisa svogliatezza potrebbero essere causati da abuso di alcol: non c’è voglia né forza di pensare a altro, se non alcol. Diventa più difficile di quanto lo sia già prendersi cura di sé, dei propri cari, prendersi responsabilità in generale.
La dipendenza causa dunque un crollo psicologico e fisico, più è protratta nel tempo più l’astinenza risulterà dolorosa, diventando un problema che richiede intervento medico immediato, prima che si torni all’alcol o che gli effetti dell’astinenza diventino gravi (agli stadi più avanzati si arriva a allucinazioni da delirium tremens, psicosi, febbre, tremore …).
In sintesi, la qualità e la speranza di vita si abbassano per gli alcolisti, ma in generale anche per chi consuma alcol, pur non dipendendone, in maniera sregolata.
Come intervenire sul problema
Alla luce di tendenze all’esposizione al pericolo sempre più precoci, è necessario sensibilizzare la popolazione sui danni provocati dall’abuso di alcol, con interventi che si avvalgano di storie vere e spiegazioni scientifiche per trasmettere che l’alcol sia un potenziale nemico.
Prevenire è meglio che curare, e tale prevenzione dovrebbe partire dalla casa, dalla scuola che i giovani frequentano, parlandone ragionevolmente il prima possibile. Ci sono però casi in cui l’alcol diventa tabù e i giovani non hanno chiari i rischi che può implicare, ancora peggio casi in cui si offrono modelli di dipendenza che vengono naturalmente imitati. Non è un caso infatti che soprattutto ragazzi trascurati o con esperienze di alcolismo in famiglia abusino di alcolici.
Informare sui rischi della vita in generale dovrebbe essere pertanto il primo passo per formare i cittadini responsabili di cui c’è bisogno.
Chi, per ignoranza o gusto per la trasgressione, si è già avviato sulla cattiva strada , ha bisogno di persone vicine che aiutino a capire i danni a cui va incontro e prima ancora cosa origina tale atteggiamento, perché solo trovando le radici dei problemi se ne possono combattere le conseguenze; ha bisogno di capire che in amicizia si vuole il bene dell’altro e quando per essere amici è condizione necessaria agire in modi anche nocivi, non è amicizia vera; giudicare o far sentire in colpa i consumatori a rischio è inutile o magari dannoso: è comprensibile che ciò crea malessere che forse spinge a consolarsi con l’alcol.
L’alcolista ha bisogno di capire di avere una malattia che per essere curata ha bisogno di supporto; si stima però che solo un alcolista su tre intraprenda un percorso ospedaliero, mentre è urgente guarire e prevenire eventuali ricadute tramite aiuti medici e psicologici.
Ci si avvia verso la guarigione armati di buona volontà, ma anche autodisciplina. Può capitare di provare nostalgia per quella ebbrezza, invidia per chi ha il lusso di provarla ancora. Scriversi le ragioni per cui si vuole smettere di bere e tenerle sempre a mente è una buona idea per evitare ricadute. Una migliore salute fisica e mentale (e ciò che ne consegue), la libertà di non dipendere da nessuna sostanza, la soddisfazione di avercela fatta e svariate altre ragioni potrebbero essere i premi al traguardo del faticoso percorso di disintossicazione.
Non rimane che riflettere su quanto potenziale si sprechi (in una società in cui lo spreco va limitato al massimo!) quando una vita si costituisce alla dipendenza. Quanto qualsiasi sostanza potenzialmente dannosa se usata con sregolatezza crei ulteriori problemi in un mondo di per sé complesso e quanto comprometta una vita sana e serena, comunque già difficile da avere. Infine quanto sia necessario combattere tutto questo, ognuno nel proprio piccolo.