Libera, sincera, categorica, ribelle e persino scandalosa: così e in altri modi è stata definita Elsa Morante,nata a Roma il 18 agosto 1912; donna (scrittrice, traduttrice, poetessa e saggista!) che ha segnato la storia della letteratura italiana, senza interessarsi di letteratura ma del resto, come sentiva suo dovere da scrittrice (o meglio scrittore, come voleva essere chiamata, causa la sua antipatia per la distinzione fra narrativa di donne e di uomini, che allora portava a pregiudizi). Scrisse del (e al) mondo a cui sentiva di appartenere, quello povero ma autentico delle persone comuni: la sua ambizione era insomma raccontare la loro psiche e vita, complessa e sorprendente. Aderiva al neorealismo italiano, ma con la scrittura dava in particolare voce alle sue convinzioni, anche impetuose, che creavano scenari insieme realistici e sognanti. Descriveva i momenti difficili della vita umana, con particolare attenzione ai giovani, i cittadini di domani. Tra i messaggi che propugnava c’è la difesa della coscienza umana, che va distruggendosi con l’acquisto di poteri sulla vita sempre più ampi e potenzialmente disumanizzanti. Spontaneità e meraviglia infantili sono soffocate dalla durezza della realtà, che schiaccia deboli e forti i quali, pur avendo in mano grande potere, ne sono schiavi e tanto assetati da non essere mai soddisfatti.
Fin da piccola scrive con passione, allora per i fratelli minori favole, poesiole e filastrocche accompagnate da disegni che riflettono la sua grande creatività. La giovane autrice viene educata dalla madrina, dalla madre maestra elementare e dal marito sorvegliante di un istituto di correzione. Termina gli studi col diploma liceale per difficoltà economiche e la voglia di “conoscere lavita” che la porta a lasciare la famiglia con cui non ha mai voluto fare i conti: il padre naturale assente e poi suicida, il marito della madre sterile e la brutta atmosfera che ciò comporta sono ormai insostenibili; in questi anni di stenti si mantiene dando ripetizioni e collaborando con periodici come Il Corriere dei piccoli e Il Meridiano di Roma in cui sono pubblicati i suoi primi scritti.
Il gioco segreto (uscito nel 1941) è il suo primo libro e raccoglie racconti giovanili. Nello stesso anno sposa lo scrittore Alberto Moravia, che conosce dal 1936 e ammira per il pungente realismo con cui dipinge una società guidata da secondi fini e spudoratamente spietata. L’amore che li lega è sincero ma complicato: spesso litigate e incomprensioni minano la serenità coniugale.
I due frequentano pensatori e autori del tempo, tra cui Pier Paolo Pasolini, Umberto Saba, Giorgio Bassani e altri ancora. Durante la seconda guerra mondiale scappano perché di origini ebree, rifugiandosi in Ciociara. La donna inizia qui la stesura del primo romanzo Menzogna e Sortilegio (pubblicato nel 1948), che le vale il Premio Viareggio condiviso con Aldo Palazzeschi.
Negli anni successivi cresce in lei l’interesse per il cinema. Collabora, soprattutto anonimamente, con l’amico Pasolini e Franco Zeffirelli, altro regista, per comparse, realizzazione di colonne sonore e altro.
Il secondo romanzo della Morante, L’isola di Arturo (1957), riscuote tanto successo da renderla la prima donna a vincere il Premio Strega. Da questo romanzo di formazione, attento ai tumulti dell’adolescente Arturo e alla sua evoluzione psicologica, viene tratto l’omonimo film di Damiano Damiani (1962).
Nel 1958 esce la raccolta di poesie Alibi, nel 1963 quella di racconti Lo scialle andaluso.
In questi anni la Morante ama viaggiare, visitando Stati Uniti, Messico, Brasile, India, Cina, talvolta con marito e amici.
Nel 1961 si separa dal marito senza divorziare, senza che il loro legame finisca mai del tutto, nonostante le infedeltà di entrambi. Inizia un periodo emotivamente difficile per Elsa. In particolare, rimane stregata dal giovane pittore newyorkese Bill Morrow (1936- 1962) che quando muore forse suicida lascia un vuoto incolmabile nella vita della donna, imboccata da Moravia, ripresasi poi solo con la scrittura.
Nel 1965 esce il saggio Pro o contro la bomba atomica in cui la Morante investe la sua opera del nobile compito di ricordare la realtà, quella che ci rattrista e che vorremmo dimenticare per ripetere impunemente gli stessi errori di violenza nel corso di secoli. Essere artista significa per lei osservare con spirito critico il mondo che è e che è stato, con una speranza nel miglioramento che stimola il lettore a riflettere sugli orrori che odio e discriminazione portano, pensare come attuare un cambiamento in meglio. Saranno proprio questi temi, importanti quanto difficili da gestire, a ispirare il romanzo La Storia (uscito nel 1974), considerato il suo capolavoro e pietra miliare della letteratura italiana; racconta la vita di una povera famiglia romana che lotta per la sopravvivenza, con lo sfondo storico e sociale tra 1941 e 1947, fatto di guerra, continue paure e stenti; nel profondo però si parla di “uno scandalo che dura da diecimila anni”(sottotiolo del romanzo oltre che tema), lo scandalo del potere che opprime gli umili. Il libro, su richiesta dell’autrice, viene pubblicato in edizione economica per parlare a un pubblico vastissimo del suo messaggio di accusa verso la prevaricazione e di preghiera per una società meno crudele, più umana. Riscuote successo internazionale, e nel 1986 ne viene tratto uno sceneggiato TV di Luigi Comencini, ma è anche aspramente criticato, per il pessimismo e sfiducia nell’umanità avvertiti nel libro e la sua lunghezza. È stato però ipotizzato che tale disapprovazione avesse radici nell’invidia, nelle diffidenze per un romanziere donna e soprattutto nell’elemento del patetico, considerato da alcuni inaccettabile nella letteratura contemporanea perché spia di un romanzo banale e traboccante di melassa.
Nel 1968 esce Il mondo salvato dai ragazzini, raccolta di poesie, canzoni e un atto teatrale (La commedia chimica) ispirato alle sue esperienze con LSD e psichedelici il cui consumo è ormai una moda. Qui vediamo una Morante fiduciosa nei giovani e nella loro energia, attenta ai cambiamenti degli anni della contestazione. Il libro è comunque molto eterogeneo e riassume il pensiero della Morante: attenzione per adolescenti e le loro difficoltà, per tutta l’evoluzione umana, individuale e collettiva, le questioni che emergono dopo due conflitti mondiali di distruzione.
Aracoeli è l’ultimo suo romanzo pubblicato nel 1982, con la sua solita acuta, intrigante (talvolta inquietante) introspezione psicologica. In questo periodo scopre di essere gravemente malata al cervello, tenta il suicidio ma la salva la sua governante. Gli ultimi anni sono dolorosi moralmente e fisicamente per le complesse operazioni senza giovamento. Il 25 novembre 1985 muore di infarto questa scrittrice ampiamente riconosciuta, portavoce di ingiustizie e sofferenze della gente comune, di una realtà che sembra un disco rotto. La guerra di cui parla Morante sembra purtroppo una consuetudine contro la quale i più non possono o non vogliono agire. I potentati che la fanno sembrano scordarsi della rovina che porta. Di fronte a questi temi delicati e difficili, spesso ci tappiamo occhi e orecchie e desideriamo estraniarci, ma opere come quelle della Morante mostrano l’inevitabilità della nostra realtà.
Sarà vero che a fare i predicatori (di quelli veri, seri, non seriosi, non di quelli che con belle parole in cui non credono si fanno belli) spesso non si guadagna consenso pubblico, ma chi recepirà il loro messaggio avrà la forza di tentare un cambiamento sapendo quanto è prezioso ogni attimo sereno, che ogni compromesso che prevede violenza, non giustificata se non da follia o interesse (spesso insieme), danneggia e va scansato.