Dopo molto tempo possiamo dire di essere giunti ad una svolta storica nell’ambito dell’osservazione astronomica. Sono infatti arrivate lo scorso 12 luglio, pubblicate dalla NASA poco dopo la mezzanotte italiana, le prime quattro foto del telescopio spaziale James Webb, a cui ne è seguita una quinta tre giorni dopo.
Il James Webb ha alle spalle una storia di rinvii. L’idea di costruirlo risale infatti agli anni 90’, dopo il lancio del suo cugino più anziano Hubble, con l’intenzione di lanciarlo in orbita nel 2007, data che poi è stata posticipata per motivazioni sia tecniche che economiche al 25 dicembre 2021 (Per maggiori informazioni leggete il nostro articolo a riguardo).
Questo modernissimo telescopio spaziale può captare onde ad infrarossi che hanno una lunghezza d’onda compresa tra i 0,6 ed i 27 micrometri, ritraendo particolari impercettibili al suo predecessore Hubble, la cui strumentazione percepiva soprattutto onde dello spettro visibile, quindi tra gli 0,4 e 0,7 micrometri. A poter garantire tali stupefacenti prestazioni sono quattro strumenti scientifici all’interno dell’ISIM (modulo scientifico integrato): una NIRCam (Near InfraRed Camera), capace di coprire la gamma di lunghezze d’onda tra 0,7 a 4,8 micrometri; un NIRSpec (Near InfraRed Spectograph), uno spettrografo operante tra le lunghezze d’onda tra 0,6 e 5 micrometri; un MIRI (Mid Infrared Instrument), uno strumento capace di rilevare le onde di lunghezza d’onda tra i 5 ed i 28 micrometri ed un FGS/NIRISS (Fine Guidance Sensor/ Near Infrared Imager and Slitless Spectrograph), uno spettrografo con tre camere che opera tra i 0,8 ed i 5 micrometri. Grazie a queste apparecchiature di altissima precisione e dettaglio, tanto che per allineare i ben 18 segmenti esagonali che compongono lo specchio ci sono voluti mesi, il nuovo telescopio apre agli astronomi e agli astrofisici nuove vie e nuove frontiere dello spazio precedentemente precluse all’osservatore.
Il merito per i successi del Webb appartiene anche ad un’equipe italiana, o meglio toscana. Il meccanismo criogenico di rifocheggiamento, vitale per rendere nitide e dettagliate le immagini elaborate dal NIRSpec, ed i sensori stellari per il controllo dell’assetto del telescopio sono infatti stati prodotti dall’azienda Leonardo negli stabilimenti di Campi Bisenzio. L’Italia, con la sua Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), ricopre un importante ruolo nel progetto, collaborando con le altre agenzie spaziali come l’ESA (Agenzia Spaziale Europea) e la CSA (Agenzia Spaziale Canadese).
Al primo dei quattro scatti che il nuovo telescopio ci dona è stato dato il nome di “Primo campo profondo di Webb”, proprio come si fa per un’opera d’arte (cosa che in fondo non è molto differente da queste stupende immagini frutto della tecnica più moderna ed avanzata). Anche Hubble ritrasse questa porzione di cielo, ma il suo scatto non regge minimamente il confronto con quello del suo più giovane collega. Questo scatto ritrae una sezione di spazio nella costellazione dei Pesci, nell’emisfero australe, dove si possono notare in primo piano stelle della via lattea incorniciate in una cornice di centinaia di altre galassie lontanissime da noi. Un particolare interessante è l’ammasso di galassie al centro dell’immagine, un insieme di corpi stellari dalla massa così grande da fungere da lente gravitazionale, distorcendo la luce proveniente dalle più lontane galassie, alcune distanti più di 13 miliardi di anni luce. Con questo scatto infatti il James Webb è riuscito a cristallizzare in un’immagine una luce venutasi a formare pochi secoli dopo il Big Bang, avvenuto 13,8 miliardi di anni fa. Per realizzare questo campo profondo al Webb è servita un’esposizione di 12 ore e mezza, a differenza di Hubble che per uno scatto simile avrebbe impiegato settimane.
Il secondo scatto è chiamato “Nebulosa della Carena” e ritrae l’omonima nebulosa distante migliaia di anni luce. Anche questa nebulosa fu ritratta da Hubble, ma la differenza con lo scatto del Webb è enorme. Il livello di dettaglio raggiunto dal Webb ha stupito i ricercatori e superato ogni loro aspettativa, i colori e la definizione che gli strumenti del telescopio riescono ad immortalare è senza pari. Gli infrarossi possono passare attraverso le nebulose molto più facilmente rispetto alla luce visibile, rendendo limpidi molti dettagli fino ad ora a noi nascosti.
Il terzo scatto ritrae un’altra nebulosa, la nebulosa Anello del Sud, sempre ritratta in passato da Hubble. Anche in quest’occasione gli infrarossi si rivelano fondamentali per lo scatto, grazie ad essi si possono vedere molti più dettagli prima sconosciuti e addirittura delle galassie in lontananza sullo sfondo.
Il quarto scatto immortala lo splendido Quintetto di Stephan, un gruppo di cinque galassie che interagiscono tra di loro, attraendosi gravitazionalmente e scambiandosi materia, distanti circa 290 milioni di anni luce. Le interazioni gravitazionali tra queste cinque galassie portano alla loro deformazione reciproca, dando vita a forme spettacolari, osservate moltissime volte nella storia dell’astrofisica. Come le precedenti anche questo gruppo di galassie venne ritratto da Hubble, che però riuscì ad immortalare con chiarezza solo le galassie del quintetto e poche altre, con il Webb invece possiamo ora osservare anche le centinaia di galassie sullo sfondo.
L’ultimo scatto di questo primo gruppo di immagini che ci sono arrivate ritrae un soggetto molto più vicino a noi: Giove con le sue lune. Si tratta di uno scatto atto a testare il NIRCam che è riuscito a dare un livello di dettaglio altissimo lavorando anche con oggetti relativamente molto vicini.