È la notte del 27 giugno 1969 e le nazionali calcistiche di El Salvador e Honduras si giocano la possibilità di accedere ai Mondiali che si sarebbero svolti in Messico l’estate successiva. Nelle due partite precedenti non era venuto fuori un vincitore e si giocò dunque uno spareggio in campo neutro: l’Estadio Atzeca di Città del Messico, teatro della partita del secolo che si giocherà proprio ai Mondiali del 1970 tra le rappresentative di Italia e Germania. Il clima era teso e cinquemila poliziotti e non sono bastati a sedare la guerriglia che ha portato alla definitiva rottura delle relazioni diplomatiche tra Honduras ed El Salvador. La guerra era ormai alle porte, ma come è possibile che una partita di pallone, seppur di grande importanza, provochi una guerra?
Le relazioni tra Honduras ed El Salvador non erano mai state facili. Già all’indomani dell’indipendenza, El Salvador lamentava l’esiguità della propria superfice nazionale e la mancanza di uno sbocco sull’Oceano Atlantico. Anche gli sbocchi sul Pacifico rappresentavano però un motivo di rivalità. L’Honduras infatti aveva la sovranità del golfo di Fonseca, punto di snodo per le rotte commerciali del Pacifico. Per cercare di calmare le acque intervennero gli Stati Uniti d’America.
Il grande paese americano promosse lo sviluppo di un mercato comune centroamericano, un’area di libero scambio comprendente Nicaragua, Costa Rica, Guatemala, Honduras ed El Salvador. L’obbiettivo era quello di permettere alle multinazionali statunitensi di installarvi grandi piantagioni. Sia gli Stati Uniti che i paesi facenti parte della confederazione riscossero benefici; infatti, mentre gli Stati Uniti poterono sfruttare ampie distese di terre e una manodopera a basso costo, i paesi centroamericani vedevano negli investimenti statunitensi l’occasione per rimediare all’arretratezza in campo agricolo.
Tuttavia le grandi multinazionali scelsero di installare le piantagioni solo dove vi era un elevato livello tecnologico. Dunque gli sforzi statunitensi si concentrarono prevalentemente su El Salvador. Il paese andò incontro a una crescita economica, migliorarono le condizioni di vita e si ridusse la mortalità infantile; conseguenza di ciò fu il grande aumento demografico che portò El Salvador a diventare il secondo paese più popolato dell’America centrale (dopo il Messico). L’aumento demografico, combinato con la limitata superfice nazionale di El Salvador, portò tuttavia a una prorompente disoccupazione. Per evitare una rivolta contadina, El Salvador chiese aiuto al vicino Honduras, paese con una grande arretratezza agricola e chilometri di terre non sfruttate.
Nel 1967 i due paesi firmarono la Convenzione bilaterale sull’immigrazione, secondo la quale i cittadini salvadoregni avevano libertà di transito e diritto di residenza e al lavoro qualora avessero deciso di espatriare in Honduras. L’accordo non fu ben accolto dai contadini honduregni che erano già in difficoltà per la condizione di miseria nella quale vivevano e che vedevano nei salvadoregni possibili rivali nel settore agricolo. Oltre 300.000 salvadoregni varcarono il confine, insediandosi in Honduras, dove fondarono villaggi e avviarono la coltivazione di terre fino ad allora inutilizzate.
Dopo due anni Oswaldo Lopez Arellano, presedente dell’Honduras, ritornò però sulla sua decisone. Per evitare una rivolta sociale, varò insieme all’INA (Instituto Nacional Agrario) un programma di redistribuzione delle terre andando a violare l’accordo stipulato due anni prima. Il provvedimento decretava la confisca delle terre e l’espulsione di tutti coloro che possedevano proprietà terriere, senza tuttavia possedere la natività in Honduras. Gli oltre 300.000 salvadoregni furono costretti a tornare in patria a mani vuote e senza nessuna possibilità di trovare lavoro. Il governo di San Salvador tentò di convincere Arellano a tornare sulla sua decisone ma non ci fu niente da fare. Le relazioni diplomatiche tra i due stati divennero tesissime. In questo clima di tensione le nazionali di calcio dei due paesi si stavano per affrontare nella semifinale della zona CONCACAF per le qualificazioni ai Mondiali di Messico 1970.
Entrambe le rappresentative avevano vinto i propri giorni di qualificazione (gli altri furono vinti da Haiti e USA) e la formula prevedeva che le vincenti si affrontassero nelle semifinali, giocate in un confronto di andata e ritorno. La prima partita si disputò l’8 giugno del 1969 a Tegucigalpa, capitale dell’Honduras. Vinse l’Honduras per 1-0 dopo che i tifosi honduregni avevano disturbato il sonno dei salvadoregni con clacson e lanci di oggetti davanti al loro albergo. Il popolo salvadoregno giurò vendetta per la gara di ritorno.
Una settimana dopo, a San Salvador, furono gli honduregni a subire il maltrattamento notturno. I calciatori furono costretti a rifugiarsi sul tetto dell’albergo in cui alloggiavano dopo che diversi salvadoregni stavano per entrare dentro la struttura senza buone intenzioni. All’alba i calciatori si nascosero nelle case di honduregni che vivevano lì, per poi andare allo stadio. Il clima all’Estadio de la Flor Blanca era infuocato ed El Salvador trionfò per 3-0 contro un avversario che più che alla partita pensava a portare a casa la pelle. Griffin, allenatore dell’Honduras, a fine partita disse: “Meno male che abbiamo perso”.
Il regolamento delle qualificazioni mondiali per la CONCACAF prevedeva l’accesso alla finale per la squadra che avrebbe ottenuto più punti nella mini-classifica determinata dai due incontri. Avendo, le due nazionali, vinto una gara a testa era necessario uno spareggio che si giocò il 27 giugno successivo all’Estadio Azteca di Città del Messico. Cinquemila poliziotti non bastarono ad evitare la guerriglia che si creò dentro e fuori lo stadio, mentre in campo El Salvador vinse 3-2 segnando il gol decisivo nei supplementari con Mauricio Rodriguez. El Salvador avrebbe poi vinto la finale sconfiggendo Haiti a Port-au-Prince 2-1, ma venendo sconfitto in casa 0-3; nella bella però si impose 1-0 sul neutro di Kingston, in Giamaica, volando verso i mondiali, i suoi primi mondiali.
Subito dopo la fine della partita, il governo di Tegucigalpa ruppe le relazioni commerciali con El Salvador iniziando di fatto un conflitto che verrà ricordato come “Guerra del calcio” (guerra del Fútbol, nella lingua locale). Il nome del conflitto venne dato dal giornalista polacco Ryszard Kapuściński, presente in Honduras allo scoppio delle ostilità. Si trattò di un breve conflitto armato dalla durata di quattro giorni. Nonostante la durata ridotta, fu uno dei conflitti più sanguinosi del secondo dopoguerra, lasciando sul campo oltre seimila vittime e più di quindicimila feriti.
Il 14 luglio, senza una dichiarazione di guerra, l’esercito salvadoregno entrò nell’territorio dell’Honduras. Per El Salvador, ove il conflitto sarebbe passato alla storia come guerra de legítima defensa (guerra di legittima difesa), l’attacco era necessario per difendere la propria dignità e la sovranità nazionale. I soldati raggiunsero le città di Nueva Ocotepeque e Santa Rosa de Copàn, facendo intendere che l’obiettivo fosse raggiungere la capitale Tegucigalpa. Aerei salvadoregni si alzarono in volo bombardando varie città, tra cui la capitale.
La risposta dell’Honduras non tardò ad arrivare. Il governo mobilitò l’aviazione militare, decisamente più efficace di quella salvadoregna, attuando diversi attacchi aerei che colpirono duramente El Salvador. Il 18 luglio l’OAS (Organization of American States) tentò di mediare tra le due parti ma il governo salvadoriano, nonostante la situazione di svantaggio, non accettò il compromesso e ciò costò la condanna di El Salvador da parte dell’OAS come stato aggressore.
Il terzo giorno, l’aeronautica honduregna trionfò sopra i cieli di El Amatillo, ed effettuò un attacco aereo distruttivo con il napalm su Llano Largo e Cerro del Ujuste. Il 19 luglio, l’OAS impose il ripristino dello status quo ante 14 luglio, accettato definitivamente solo con un trattato di pace del 1980. El Salvador fu minacciato di pesanti sanzioni economiche qualora avesse continuato gli scontri, mente all’Honduras venne intimato di riaccogliere i contadini salvadoregni precedentemente cacciati, alcuni di questi non ebbero il coraggio di tornare.
Terminava così la “guerra del calcio”, con un bilancio di più di 6.000 vittime, 15.000 feriti e oltre 50.000 sfollati. Nonostante la breve durata fu un conflitto molto sanguinoso, tuttavia entrambi i paesi mantengono un ricordo orgoglioso del conflitto. Ryszard Kapuściński, inviato di Varsavia e “autore” del nome dello scontro, descrisse così il clima post-guerra: “I due governi sono rimasti soddisfatti della guerra, perché per qualche giorno Honduras e Salvador hanno riempito le prime pagine dei giornali di tutto il mondo e suscitato l’interesse dell’opinione pubblica internazionale. I piccoli stati del Terzo, del Quarto e di tutti gli altri mondi possono sperare di suscitare qualche interesse solo quando decidono di spargere sangue. Strano ma vero”.