I tempi cambiano e con essi la scuola e gli studenti , com’è logico che sia. Le profonde trasformazioni culturali e tecnologiche, unite agli avvenimenti storici e sociali, hanno dato vita col tempo nuova forma alla scuola, diversa da quella che l’ha preceduta pochi decenni prima. Ma allora com’era la scuola durate lo scorso secolo? Quali differenze si possono riscontrare tra la scuola del passato e quella del presente? Lo abbiamo chiesto a Maria Pizzirani, ex studente del Liceo scientifico Leonardo da Vinci di Firenze dal 1957 al 1962 e successivamente docente presso l’Istituto Tecnico Agrario di Firenze.
Il vestirsi eleganti era una sorta di “divisa” a voi imposta o derivata da una mentalità giovanile differente dai giorni nostri?
Per quello che riguarda il nostro grembiule nero, quello delle donne, sì. Bisognava indossarlo, perché era correttezza, come del resto alle elementari si portava il grembiulino bianco, quello che oggi è diventato azzurro ai miei tempi era bianco, e la stessa cosa era alle medie ed alle superiori. Quando passammo alla nuova sede, quella dove tutt’oggi c’è il Liceo, la stanza al primo piano che salendo si trova subito e che si affacciava sul giardino venne adibita a locale dove erano stati messi i nostri armadi, dai quali la mattina prendevamo il grembiule da indossare per le lezioni e dove lasciavamo il cappotto prima di andare nelle classi. Gli uomini invece non avevano la divisa però erano quasi tutti in giacca e cravatta, una forma forse antiquata per oggi, e chi comunque non aveva la giacca e la cravatta era vestito in maniera molto sobria, elegante con magari una camicia ed un golf, niente di eccentrico o vistoso. Pensa che io, proprio nella foto di quinta, non ho il grembiule perché per l’appunto la mattina della fotografia, nel levarlo dall’armadio, mi si strappò e rimasi vestita come ero venuta vestita da casa, come puoi immaginare non ero vestita in modo appariscente o volgare ma per il rigore dei tempi era comunque qualcosa che non andava bene. Il professor Zagarrio, quando entrò nell’aula, non fece neanche in tempo a fare un passo che si girò verso di me dicendo “sfilata di moda oggi Pizzirani?”, e poi per combinazione entrò poco dopo il fotografo per fare la foto. Questa è già una cosa differente da oggi, anche ora se vuoi si fa ma adesso è più colloquiale il rapporto con gli insegnanti.
Proprio riguardo al rapporto con i professori, com’era allora? Li sentivate più “distanti”?
Il rapporto con i professori era un rapporto gerarchico, indubbiamente. Noi avevamo dei professori che indubbiamente pensavano alla nostra istruzione con le loro capacità, perché abbiamo avuto docenti splendidi, come ad esempio il professor Zagarrio che è stata una persona persona illuminante, disponibile e che aveva un rapporto molto inteso con noi per cercare di farci arrivare all’essenza delle cose come un brano o una poesia; ed altri meno splendidi, come l’insegnante di matematica che non sapeva le cose e che veniva dalla Sicilia per cui anche il dialetto non aiutava a capirsi, con lei facemmo solo trigonometria anche se l’avevamo fatta negli anni precedenti, e per questo dovemmo andare tutti noi studenti a ripetizione di matematica due a due per prepararci all’esame. I rapporti però erano di rispetto e anche gli insegnanti ci consideravano delle persone che dovevano aiutare a crescere, cosa che purtroppo, facendo ovviamente le dovute eccezioni, ho notato che, specialmente nella mia esperienza di insegnante dettata forse anche dal tipo di scuola, è venuta un po’ a mancare. Ho conosciuto ex colleghi che avevano iniziato ad insegnare perché non trovavano un altro lavoro da fare che gli sarebbe forse piaciuto di più. Prima ancora di iniziare ad insegnare, appena uscita dall’università, ho iniziato a fare dei corsi e a dare degli esami di abilitazione all’insegnamento, sono andata a Roma, Bologna, Firenze… ho dato anche un esame per le medie che poi non mi è servito a nulla… ma non bastava questo, dopo che avevi le abilitazioni dovevi fare domanda in provveditorato e poi ti davano un incarico e poi lo stato faceva i concorsi a cattedra, quindi dovevi fare degli esami per poi avere la cattedra per la materia che volevi insegnare. All’epoca c’era una selezione molto ma molto rigida, quindi chi non era portato o non lo faceva per vocazione era più spinto a fare altro, oggi la scuola per un verso l’hanno un po’ troppo semplificata secondo me, perché poi con queste assegnazioni provvisorie che poi sono diventate di ruolo e tutti gli altri provvedimenti… insomma, l’insegnamento prima era più una scelta di vita con tutt’altra forma mentis, ti piaceva insegnare, ti piaceva aiutare i ragazzi ad avere una formazione e questa è forse un po’ la differenza che c’è tra i professori di prima e quelli di ora.
Quindi possiamo dire che anche se all’epoca i professori erano più distanti erano in un certo senso più attenti verso l’alunno ed il rapporto con lui?
Sì, era un rapporto, quello tra insegnante e alunno, più autentico. Nel senso che ogni insegnante, considerando ovviamente le eccezioni che confermano la regola, sapeva che il suo ruolo era fare crescere gli studenti che aveva davanti e lo faceva in maniera differente da oggi, forse questo aspetto è meno presente oggi.
Durante questi anni di Covid si sono andate a bloccare molte attività che comprendevano l’uscire dalla classe o dalla didattica a scuola. Quanto sono importanti per lei attività come le gite per la formazione di una classe?
Trovo che siano molto importanti, in quanto tutto ciò che esce diciamo dall’ambito della regola è importantissimo per la crescita delle persona e per gli insegnanti per conoscere meglio gli studenti, perché da dietro un banco di scuola molte cose non si possono fare, in gita invece ci sono delle cose che si possono notare che ti fanno conoscere meglio lo studente. Possibilmente aggiungo gite anche impegnative, io come insegnate ho portato i ragazzi in Sicilia, a Parigi, lungo il Lago di Garda e lì vedi un pochino davvero come sono i ragazzi che hai davanti.
Com’era Paolo Poli come insegnante?
Paolo Poli noi l’abbiamo avuto quando ancora non era Paolo Poli il comico famoso, cominciava ad esserlo e intanto aveva avuto l’incarico come insegnante di francese. Era comunque Paolo Poli e quindi arrivava e iniziava a dire “ora vi insegno come dovete comportarvi perché poi andate con le ragazze e con i ragazzi…” e allora attaccava con tutto l’elenco degli indumenti, possibilmente intimi, e ci diceva come si chiamavano facendoci le traduzioni, poi magari veniva fuori la battutaccia “attenti a questo, a quello… mi raccomando…” ecco queste cose erano esilaranti. Allora c’erano i maschi che erano quasi un po’ ingelositi che il professore gli rubasse l’attenzione di noi cinque ragazze, che non potevamo non ridere di fronte alla scena: Paolo Poli era lui ecco, stava facendo cabaret in classe mentre spiegava, elegantissimo poi, sempre inappuntabile con giacca cravatta. Poi il francese lo parlava benissimo, quindi se ci faceva leggere e poi tradurre era sempre pronto per darci una mano ma comunque rimaneva lui, la natura non si cambia, la sua indole era quella e ha fatto bene a scegliere quel ramo dello spettacolo.