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La bontà in una pillola, un progetto per il futuro. Quali i pro e quali i contro?

Da più di un decennio, soprattutto negli Stati Uniti e in Inghilterra, è in corso un dibattito di portata globale riguardo l’uso di una serie di cure che dovrebbero migliorare la morale di chi le segue (cure cioè di biopotenziamento morale).

In particolare la discussione inizia nel 2008, quando il filosofo neozelandese Thomas Douglas si dichiara a favore di biopotenziare gli esseri umani. Perciò Matteo Galletti, scrittore e professore di Bioetica del Dipartimento di Lettere e Filosofia presso l’Università degli Studi a Firenze, ha avuto l’idea di scrivere un libro su questo tema importante e affascinante: “La pillola per diventare buoni. Etica e potenziamento morale”, edito nel marzo di quest’anno e presentato il 19 maggio presso la Biblioteca delle Oblate di Firenze.

L’incontro, promosso dalla Società Filosofica Italiana, è stato arricchito anche dalla partecipazione dei relatori Sergio Filippo Magni e Monica Toraldo di Francia, due autori e professori di filosofia.

Il saggio tratta in particolare di biopotenziamento morale, ossia un campo di ricerca delle nuove biotecnologie che si pone l’obiettivo di facilitare il progresso morale con l’intervento sul corpo umano. Agendo sul patrimonio genetico o sulle nostre componenti biologiche più che sulla mente, si vorrebbero modificare le nostre capacità riflessive in modo da renderci più compassionevoli e umani.

Questo è possibile grazie alle recenti scoperte sul legame tra aspetto biologico e psicologico dell’individuo : agendo su uno, si modifica anche l’altro.

La domanda su cui l’autore indaga è se davvero con la medicina si può curare e migliorare, anche senza che ci sia una vera carenza, la moralità della gente, nello stesso modo in cui si cura la depressione e si potenzia la capacità di concentrazione o la prestanza fisica. 

Gli intellettuali di oggi sostengono tesi riguardo ciò del tutto contrastanti fra loro.

Ci sono parti a favore e contro il biopotenziamento in generale; c’è chi vede tutto in luce – credendo moralmente obbligatorio sottoporsi a queste cure -, chi tutto in nero – aborrendo ogni forma di biopotenziamento.

Tra i filosofi nettamente a favore del biopotenziamento morale e del renderlo obbligatorio a livello istituzionale abbiamo Ingmar Persson e Julian Savulescu, i quali sostengono che non appena tali strumenti saranno a nostra disposizione, essi andranno usati per evitare l’incombente estinzione della specie umana, in quanto, se non si agisce in fretta contro il suo stesso cinismo, la situazione precipiterà.

C’è chi invece prende posizioni più moderate, ad esempio sostenendo che il trattamento dell’etica – dunque non quello cognitivo o di altro tipo – andrebbe evitato o impiegato in modo lecito ma non coercitivo, insieme a metodi di insegnamento morale tradizionali.

Si sottolinea infatti nel libro il ruolo fondamentale giocato dall’esperienza della relazione e del confronto con gli altri, che stimola il nostro senso di giustizia, di altruismo e pensiero critico in modo più genuino e comprovato – a meno che non si tratti di stimoli negativi!

L’argomento trattato nel libro lascia molte perplessità, anche perché ancora il mondo scientifico è lontano da questi risultati, ma soprattutto per l’impossibilità di prevederne tutti gli effetti collaterali a lungo termine; più in generale, riemergono gli interrogativi che l’uomo si pone da quando la scienza è riuscita a oltrepassare limiti prima nemmeno immaginati e ci si è domandati se davvero ottenere certi esiti fosse più un miglioramento per l’umanità (come dovrebbe essere) o uno stravolgimento scellerato dell’equilibrio naturale.

Dove può condurci la scienza infatti se la intendiamo come mezzo per soddisfare dei capricci insensatamente discriminanti e gravidi di pericolose conseguenze, se non aspettiamo né ci preoccupiamo di essere capaci di gestirla?

La storia umana testimonia che essa, se non guidata da una certa etica e apertura al confronto pacifico e razionale, ci porta a devastazione e miseria.

Si pensi ad esempio al ricorso al nucleare come arma di distruzione di massa – ora tornato attuale – e a ciò che fu fatto durante il regime hitleriano : la sterilizzazione e poi lo sterminio sistematico di tutte quelle categorie sociali bollate di serie B, in difesa della più pura e tanto ambita razza ariana.

Ciò non fu altro che la realizzazione di discorsi che si erano diffusi già un secolo prima, durante la febbrile modernizzazione del ricco Occidente, gli strabilianti progressi in ambito medico e cambiamenti sociali. La cieca fiducia nello sviluppo scientifico e l’ottimismo di allora portarono persino alla teorizzazione di un mondo in cui solo gli individui ricchi comandassero e potessero avere figli, sterilizzando e quindi facendo estinguere i poveri.

Dunque dovremmo aver imparato l’importanza di frenare gli entusiasmi e la frenesia che ci assalgono nelle situazioni in cui tutto sembra andare a gonfie vele o in cui si fa sentire il senso di urgenza o il bisogno di conforto. Ma la fragilità umana spesso prevale su una valutazione oggettiva, e ci porta a prendere le scelte che sul momento ci sembrano più comode o opportune, ma poi si rivelano tutt’altro. 

In particolare oggi, pensando alla situazione geopolitica attuale, si potrebbe far sentire un forte desiderio di umanità da parte di chi dimostra crudeltà e indifferenza verso le sofferenze di chi si trova la casa bombardata, che deve lasciare la propria residenza, rischiando pure la morte. Si può citare tra i tanti il conflitto Russia-Ucraina degenerato dal 24 febbraio ormai.

Ma si può avvertire il bisogno di un generale aumento e diffusione di bontà anche pensando a altre questioni, grandi o piccole, come il disastro ecologico che incombe ogni giorno di più e su cui è necessario agire per non soccombere tutti, o come le ingiustizie che si subiscono nel quotidiano, di entità più o meno grave. Servirebbe un maggiore rispetto dagli altri e per gli altri, servirebbe potersi fidare del prossimo, proprio quando tutto questo è  difficile da ottenere.

Gli esseri umani, soprattutto quelli che si sentono più deboli e isolati, spesso hanno un disperato bisogno di essere ascoltati e supportati, e quando li si imbambola con qualche bugia giocando a proprio vantaggio su questa loro “debolezza”, allora sì che ci rendiamo conto di quanto la malignità si insinui tra di noi.

Per questo ci può sembrare la via più spedita e proficua affidarci alla scienza, soprattutto se ci offre una pillola – fuor di metafora una terapia medica – in grado di migliorare sui grandi numeri il senso etico. Al giorno d’oggi infatti spesso ci facciamo incantare dallo slogan “facile e veloce”, ci innervosiamo quando il link su cui clicchiamo non si apre entro cinque secondi.

Qualcuno potrebbe anche aver perso fiducia nell’educazione degli adulti e dei grandi maestri di virtù come Socrate, Platone e tanti altri, o pensare che tale formazione sia troppo lenta e quasi inefficace.

Del resto, può esserci pure chi ritiene accattivante questa possibilità che si prospetta per il futuro, quasi un sogno fiabesco o fantascientifico che diventa realtà, un curioso asso nella manica che il domani serbava per noi.

Ma si corre il pericolo che si ripeta ciò che si è già tristemente verificato nel regime dittatoriale nazista e non solo – si pensi a tutti i totalitarismi, in particolare del secolo scorso, imposti da uomini che hanno conquistato il potere, facendo leva su possibili frustrazioni della società, dicendo più o meno : “il mondo in cui viviamo è brutto, è ingiusto. Ma niente paura, ci sono Io, nuova divinità con la Verità in mano, che ora sistemo tutto; obbeditemi e resetterò questa odiosa realtà, ne creerò una nuova e migliore”. Migliore suona bene, ma se migliore vale solo per il dittatore e pochi altri, suoi seguaci a qualsiasi condizione, suona sicuramente peggio. D’altra parte, dicono gli esperti, è questo il senso del delirio di onnipotenza del despota di un regime totalitario, voler affermare con il potere ottenuto solo la propria visione del mondo, plasmando la mente e l’agire dei sottomessi, manipolando ogni verità morale o fattuale per sé scomoda a proprio vantaggio.

Insomma, nello stesso modo in cui gli oppositori dei totalitarismi si sono chiesti : “cosa si intende per migliore?”, oggi ci poniamo lo stesso interrogativo, pur se in contesti politici e sociali decisamente diversi: i dubbi riguardano in questo caso l’eugenetica – quell’insieme di studi e teorie che agiscono sulla popolazione umana modificandone i tratti genetici in meglio, nell’ultimo cinquantennio circa anche grazie all’ingegneria genetica, non più con la selezione artificiale delle coppie come a fine XIX secolo.

C’è il timore che si possano distinguere due stirpi umane, una potenziata, l’altra no. Una di persone più belle, più intelligenti e buone grazie al biopotenziamento. Ma di nuovo, più buone in che senso? Come siamo sicuri che ovunque e sempre degli standard di bontà sono più giusti di altri? Chi autorizza un essere umano a elevarsi rispetto agli altri e sottometterli a un comportamento uniformato, come se questi altri fossero oggetti modificabili a piacimento? Così chi modifica è in pieno potere psicologico dei potenziati, che nemmeno si rendono conto di essere soggiogati alla programmazione di agenti esterni biochimici da parte di qualcun altro, il medico. Quindi ci sarebbero non solo i potenziati e non, ma anche chi decide come potenziare e chi ne subisce le scelte, ossia un potente che decide come gli altri si comportano con le cure di biopotenziamento morale.

Inoltre, fanno notare gli studiosi, certe volte un atto più brusco e aggressivo può avere un esito positivo che non avrebbe un atteggiamento più pacato.

Forse sarebbe una privazione di libertà troppo assoluta e incauta forzare una decisione importante come quella di sottoporsi a cure che incideranno sulle generazioni successive, senza nemmeno sapere precisamente come.

Sarebbe poi tolta la propria vera identità che ci fa agire secondo il nostro volere, posto che le cure funzionino come sperato.

Paradossalmente quindi, ciò che in origine si propone di migliorarci moralmente, potrebbe essere amorale, perché non ci riconosce come gli esseri unici e razionali che saremmo, ma ci degrada a oggetti plasmabili da altri con una medicina. Invece, afferma la stessa Dichiarazione universale dei diritti, siamo dotati di dignità in quanto umani e quindi di una certa autonomia, insita e inalienabile.

In conclusione, prima di aderire a cure del genere, in un futuro non sappiamo quanto vicino, sarebbe meglio non lasciarsi mettere fretta dall’urgenza di un miglioramento né farsi ingannare da un primo pensiero che vede solo il messaggio di filantropia e speranza.

Sarebbe cioè preferibile informarsi e essere il più possibile certi delle conseguenze che ciò che si fa può avere, come del resto in tutte le situazioni della vita.

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