Di sicuro ci sono tanti altri modi per crescere e imparare come stare al mondo, cogliere cose che senza socializzare nemmeno si immaginerebbero. Lo sport, le vacanze, e in questi ultimi tempi i social, sono solo esempi di come conoscere l’altro, lo specchio di me con cui conosco di più anche dell’umanità.
Ma la classe in cui si capita ha qualcosa di particolare perché è un ambiente aperto a tutti i giovani in cui si anticipa il mondo del lavoro, con i capi (i docenti), i colleghi (i compagni), uno spirito di collaborazione come di competizione, e è difficile dimenticarsene.
Anche se gli anni delle scuole superiori spesso non sono né vissuti, né ricordati come momenti così spensierati come solitamente si sente dire, di certo sono una fase importantissima della formazione di ognuno di noi, nonostante sia improbabile uscirne adulti senza più nulla da imparare. Resta il fatto che nelle scuole superiori si sviluppa un’affermazione di sé che a casa non si realizzerebbe, si impara certo nozioni, ma ancora più indelebile rimane l’esperienza umana, la conoscenza di coetanei con cui ci si confronta e di professori che danno un’idea di essere grandi diversa da quella dei genitori, e che possono offrire nuovi modelli.
La propria esperienza scolastica è in generale un’esperienza di vita, ne è sì un frammento, ma per chi lo ha vissuto con vero coinvolgimento, fa tanto di chi si diventa. Ancora di più negli ultimi decenni, si tende a dare molta importanza alla formazione scolastica, alla creazione del gruppo classe come gruppo di lavoro il più possibile armonioso e collaborativo.
Ogni classe ha le sue peculiarità e la sua storia, che fanno sentire ai suoi membri – almeno alcuni se non tutti – una sorta di sentimento di appartenenza, un orgoglio che si radica col tempo.
Alcuni potrebbero ridere ironicamente di ciò, ma può formarsi un affetto per la propria scuola e classe, per l’abitudine che diventa voglia di stare insieme – studenti e insegnanti inclusi, a parte il profitto scolastico.
Di questo affetto ci dà testimonianza Maria Pizzirani, che uscì nel ’62 dalla VF del Liceo scientifico Leonardo Da Vinci di Firenze, lo stesso liceo che con il Leomagazine ora si impegna a commemorare la storia di questa classe, senza dubbio speciale.
Si è scelto di proporre questo ricordo per i cento anni dalla fondazione della scuola (1° ottobre 1923), importante anniversario che si avvicina. E come celebrare meglio questo anniversario che organizzando un incontro con una classe che la scuola ebbe l’onore di ospitare?
Senza l’intenzione di fare una gradazione delle classi più belle, va riconosciuto che la VF di allora vantò l’insegnamento di personalità straordinarie. Siamo anche nel caso in cui l’intesa tra compagni non si crea per l’antipatia, ma al contrario per una generale simpatia e ammirazione verso gli insegnanti.
Nella IF del ‘57, quando ancora il liceo aveva sede in Via Masaccio e come edificio decrepito aveva poco di cui gloriarsi, in classe di Maria Paolo Poli insegnava francese. Il mitico attore, tra i primi in Italia a dichiararsi pubblicamente omosessuale, famoso per rallegrare il pubblico con la sua comicità surreale e inimitabile ironia. Facile immaginare quale divertimento fosse riservato ai suoi alunni, che segnò con la sua unicità prima di passare al mondo dello spettacolo, e diventare il grande artista che si ricorda con nostalgia.
Altro personaggio di rilievo storico che insegnò alla classe fu Don Enzo Mazzi, docente di religione e parroco che aderì alle novità progressiste del Concilio Vaticano II (1962-1965); tali novità erano improntate a una maggiore apertura della Chiesa cattolica verso la realtà che prima tendenzialmente trascurava; ad esempio, almeno a livello istituzionale, prima i fedeli erano meno coinvolti nella liturgia, in particolare con la messa in latino, che fu da allora in poi recitata in lingua volgare. I cambiamenti epocali di questo concilio segnarono una nuova era della Chiesa cattolica, attenta alle esigenze createsi in una società con nuovi problemi e questioni. Proprio per il suo agire ispirato a queste ideologie, Don Enzo fu disconosciuto come parroco nel 1968, il che non fermò però la sua fervida attività nel sociale.
L’insegnante di Lettere era invece Giuseppe Zagarrio, poeta, saggista e sostenitore di vivaci circoli letterari; gli era infatti in sodalizio con altri importanti poeti dell’epoca, come Mario Luzi, che tra l’altro insegnava nello stesso liceo, e Alfonso Gatto; inoltre il 13 gennaio dell’anno scorso è stata data notizia sul giornale La Nazione della copia della prima edizione Einaudi de “Il giorno della civetta” con dedica dell’autore Sciascia all’amico Zagarrio. Quest’ultimo viene ricordato dai suoi allievi per la sua bravura, pur se accompagnata da una bella dose esigenza, indice in fondo di premura e non – come in genere si crede – della perfidia degli insegnanti nei confronti dei loro studenti! Il più delle volte alzare l’asticella è uno stimolo offerto agli studenti perché possano scoprire il massimo delle loro potenzialità.
E se parliamo di prove a cui la classe è stata sottoposta, come non citare la traduzione di Pinocchio in francese su esortazione del professor Naldini? La signora Maria ricorda in particolare la difficoltà che ogni traduttore deve affrontare : la trasposizione in un’altra lingua di modi di dire propri di quella di partenza.
Non si può parlare altrettanto bene della formazione matematica della VF, perché proprio l’ultimo anno arrivò una professoressa che non la preparava abbastanza all’esame; quindi molti della classe si sono impegnati a seguire lezioni private di matematica per imparare gli argomenti della maturità.
Nel ’59 intanto era cambiata la sede della scuola, che divenne quella attuale in via Marignolli.
Uno scenario del tutto diverso! Più spazioso, con tanto di bar, biblioteca, aula di scienze, di fisica, e una per posare i grembiuli delle ragazze. Già, c’erano delle uniformi da indossare a scuola – cosa oggi impensabile ai più, che nell’abbigliamento trovano il loro modo di presentarsi e imporsi.
Le ragazze portavano dei grembiuli neri, i ragazzi di solito giacca e cravatta. Abbigliamento austero, potremmo dire oggi, ma che non impediva socialità e divertimento, come ci racconta l’ex studentessa.
C’erano usanze diverse allora, che adesso potrebbero parerci strane; tra queste non solo il modo di vestirsi, ma anche i riconoscimenti che venivano fatti ai meritevoli: la dedica “per merito di profitto” su un libro regalato a chi era premiato e gite per i vincitori di medaglie nei campionati studenteschi. Il liceo era infatti molto attivo anche in ambito extrascolastico.
Tra le gite scolastiche poi viene ricordata come la più memorabile quella a Scarperia del 15 febbraio 1961, in occasione dell’ultima spettacolare eclissi totale visibile in Italia. Certo, meta non lontana che può solo sembrare poco invidiabile, perché ciò non esclude l’eccezionalità dell’evento!
Infine viene ricordata un’ironica composizione in latino maccheronico, valida testimonianza di una classe unita e scherzosa – forse in parte sulle orme di Paolo Poli. Questo sprizzo letterario fu in occasione della cena di fine percorso, a cui parteciparono anche alcuni docenti.
Questi sono ricordi di usi del passato e di personaggi (alcuni purtroppo ora defunti) di cui forse non tutti sanno, ma che vanno custoditi con cura nella memoria collettiva, per non lasciare all’oblio aspetti e personalità di rilievo sociale e culturale che hanno contribuito a costruire la società di oggi; oltre a essere vanto della nostra scuola per la sua storia, i validi docenti e l’affiatamento della classe, questi ricordi parlano anche a noi studenti di ora, magari risvegliando il desiderio di costruire un gruppo classe sereno e compatto, pure dopo l’esperienza della DAD tutt’altro che d’aiuto in questo senso.