Il 30 aprile ricorre l’anniversario della fine della Guerra del Vietnam. Questa guerra mai dichiarata apertamente può essere considerata l’ultima delle guerre coloniali e il primo dei conflitti “a bassa intensità” che hanno contraddistinto il secolo passato e quello attuale.
L’Indocina per lungo tempo era stata un possedimento coloniale francese. Durante la seconda Guerra Mondiale era stato occupato dai giapponesi e alla fine del conflitto si era venuto a creare nei vari territori un forte movimento nazionalista prevalentemente di impronta marxista. I francesi con l’appoggio degli americani tentarono di riportare questo vasto territorio sotto la loro sfera di influenza ma nella battaglia Dien Bien Phu, combattuta fra il 13 marzo e il 7 maggio 1954, i francesi furono sconfitti e il generale Vo Nguyen Giap acquistò grande prestigio così come anche il movimento nazionalista-indipendentista. Era la prima volta che truppe europee di èlite come la Legione straniera francese venivano battute sul terreno. La successiva conferenza di Ginevra del 1955 sancì la divisione della penisola Indocinese nei quattro stati indipendenti di Laos, Cambogia, Vietnam del Nord e Vietnam del Sud, separati questi ultimi lungo il 17º parallelo. Nel Vietnam del Nord venne a crearsi una Repubblica popolare con solidi agganci all’Unione Sovietica e alla Cina mentre in quella del Sud furono gli americani ad assumere il controllo dello stato anche se naturalmente in forma indiretta. La “Guerra fredda” era arrivata dall’Europa al Pacifico. Nel 1962 le truppe americane presenti in Vietnam del Sud erano salite a 12.000 uomini. Ma in realtà la presidenza di John Fitzgerald Kennedy nel 1960 aveva già determinato quella che poi sarebbe stata chiamata “escalation” cioè un progressivo aggravarsi della situazione, termine che da allora in poi sarebbe entrato nel lessico classico di tutte le guerre. La crisi dei Missili di Cuba aveva creato le condizioni di uno scontro globale tra le due super–potenze. La “teoria del domino” teorizzata sotto la presidenza Johnson si era definitivamente imposta. La teoria postulava il pericolo che nel caso in cui una nazione chiave in una determinata area fosse stata presa da forze politiche comuniste, le nazioni vicine sarebbero cadute anch’esse come pezzi di un domino entrando nell’orbita di Mosca l’una dopo l’altra. Nel 1963 a causa della corruzione dilagante nel paese il Presidente fantoccio del Vietnam del Sud, Diem, venne deposto da un golpe militare. La situazione al Nord sotto il profilo economico e sociale era disastrosa nonostante gli aiuti di Cina e Unione Sovietica. I dirigenti del partito Comunista del Vietnam del nord avevano tentato di introdurre nel paese il modello di produzione collettivo dell’U.R.S.S. con esiti disastrosi che portarono la popolazione alla fame. Con questi presupposti la guerra era una prospettiva conveniente per tutti. L’8 marzo 1965 alle ore 8:15, 3.500 Marines della 9ª Marine Expeditionary, accompagnati da elicotteri e mezzi da sbarco, presero terra sulle spiagge denominate in codice “Red Beach Two” e “China Beach” lungo il litorale limitrofo alla città portuale di Da Nang dove la popolazione accolse festosamente le truppe statunitensi. I marines andarono ad aggiungersi ai 25.000 consiglieri militari statunitensi che erano già sul posto. Questa operazione può considerarsi a tutti gli effetti come l’inizio temporale della guerra del Vietnam. Il terreno di scontro conosciuto perfettamente dalle truppe del Nord rappresentava una variante ostile per gli americani che già nel 1966 contavano più di 7.000 caduti. Con due operazioni in larga scala nel 1966 e 1967 le truppe americane cercarono di costringere il nemico alla resa senza ottenere i risultati sperati. I caduti nel 1967 nel frattempo salirono a 11.000. I primi dubbi sulla conduzione della guerra cominciarono a insinuarsi sia nei politici che nella pubblica opinione. Il Presidente Johnson fu costretto ad esporsi in prima persona per rassicurare la nazione. Ciò non impedì la nascita di un movimento civile interno agli Stati Uniti contrario alla guerra che durante gli anni diventerà un fattore importante al fine di determinare l’esito del conflitto. Nella notte tra il 30 e 31gennaio 1968 le truppe nord vietnamite diedero inizio a quella che sarà chiamata nei libri di storia “Offensiva del Tet”. Circa 70.000 uomini dell’Esercito regolare nord vietnamita appoggiati da varie migliaia di guerriglieri irregolari attaccarono le posizioni americane e l’esercito sud vietnamita arrivando a minacciare la capitale Saigon e la stessa ambasciata americana. Dopo un primo momento di difficoltà le forze americane e sud vietnamite si riorganizzano e ricacciarono il nemico al nord infliggendogli pesantissime perdite. Per gli americani e i suoi alleati non si trattò di una sconfitta, ma di un successo anche se gli avvenimenti furono raccontati diversamente dall’informazione. La maggior parte degli inviati di guerra, tra cui ricordiamo Oriana Fallaci, non diedero la notizia dello scampato pericolo e tutto sommato della vittoria ma prevalse in tutti un sentimento di meraviglia e sconcerto allo stesso tempo. Tutti si chiedevano come fossero riusciti i nord vietnamiti ad infiltrarsi sino ad Hanoi, come abbiano fatto ad accerchiare una base importante come quella dell’Aviazione statunitense e a conquistare, anche se solo per pochi giorni, tutte le città sul fiume Mekong che è la principale arteria navigabile del paese. Lo stesso Presidente Johnson era incredulo e frastornato. Alla richiesta di nuove truppe da parte del Generale Westmoreland, comandante in capo delle truppe in Vietnam, rispose con un netto rifiuto e annunciò che non si sarebbe ripresentato alle successive elezioni presidenziali.
Nel frattempo la protesta interna contro la guerra coinvolse anche le Università, le confessioni religiose e le istituzioni politiche. Le elezioni presidenziali del 1968 videro vincitore il repubblicano Richard Nixon il quale decise di cambiare il modo di operare ed elaborò la “Dottrina Nixon”, un complesso ed articolato dettato strategico e politico con cui indurre la parte avversa ad accettare una serie di accordi e che prevedeva che il Vietnam del Sud avesse comunque la sua autonomia. Nacque così la cosiddetta “teoria del pazzo” ossia una condotta di politica estera che punta a spaventare i propri nemici convincendoli che potrebbero essere attaccati con reazioni enormemente sproporzionate, cioè da pazzi.
La nuova dottrina strategica comportava anche il bombardamento segreto, quindi non divulgato all’opinione pubblica per evitare proteste, su Laos e Cambogia. Il conflitto si estese così anche ai paesi confinanti. Ad inizio del 1969 le truppe americane operanti sullo scacchiere indocinese ammontavano a 550.000 uomini. Il crescente numero di caduti che superavano i 50.000 alla fine del 1969 e l’opinione pubblica americana contraria al proseguimento della guerra indussero l’amministrazione Nixon a cercare di negoziare la pace con il nord Vietnam con l’aiuto dei due potenti protettori di quest’ultimo, l’Unione Sovietica e la Cina. Dal 1970 in poi cominciò un graduale ritiro delle truppe e la responsabilità delle operazioni passò gradualmente all’Esercito sud Vietnamita. Nel 1971 gli Stati Uniti decisero di monitorare l’ effettiva efficienza dell’ Esercito del Vietnam del Sud il quale, senza l’appoggio delle truppe statunitensi, invase il Laos. I risultati furono disastrosi e l’esercito sud vietnamita fu costretto a ritirarsi. Tra il 1972 e il 1975 tra alterne vicende e la rielezione di Nixon con la promessa della pace, la guerra era ormai avviata verso la conclusione. Gli accordi di Parigi del 1973 e la successiva caduta del Presidente Nixon a causa dello scandalo Watergate determinarono due anni dopo l’entrata trionfale delle truppe Nord Vietnamita nella capitale del sud Hanoi e la fuga precipitosa dell’ultimo ambasciatore statunitense.
La guerra era costata 1.500.000 morti tra militari e civili vietnamiti, quasi 70.000 morti tra esercito e marina statunitense e circa 300.000 feriti. Il costo economico fu stimato in circa 157 miliardi di dollari degli anni settanta del secolo scorso.
Furono violati moltissime volte i diritti umani da ambedue le parti. Gli americani ad esempio, bombardarono a tappeto molte volte il nord Vietnam con i grandi aerei B52. I nord vietnamiti applicarono sistematicamente ai prigionieri torture e sevizie vietate dalla convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra e in maniera sistematica furono arruolati soldati bambino dal nord Vietnam. Per la prima volta, dopo la prima guerra mondiale, furono usate su vasta scala le armi chimiche come ad esempio il Napalm o agente arancio che hanno provocato un altissimo numero di morti e intossicati con gravi conseguenze anche negli anni a seguire.
Nonostante tutti questi sforzi, atrocità e lutti la “teoria del domino” puntualmente si concretizzò.
Infatti l’uno dopo l’altro i paesi nati dalla dissoluzione dell’Indocina francese, come la Cambogia e il Laos, caddero sotto il dominio comunista. In Cambogia un governo tirannico e folle sotto il controllo dei Khmer rossi e del tristemente noto Pol Pot, in preda ad un delirio ideologico, provocò tra la popolazione più di 2.000.000 di morti tra i quali ci furono molti anziani, disabili e bambini. In soli 5 anni circa il 25% della popolazione cambogiana fu decimata. Il terzo genocidio del XX secolo dopo quello degli Armeni e degli Ebrei.
“Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare, preparare la tavola, a mezzogiorno.
Ci sono cose da far di notte:
chiudere gli occhi, dormire, avere sogni da sognare, orecchie per sentire.
Ci sono cose da non fare mai, né di giorno né di notte, né per mare né per terra:
per esempio, la guerra.”
Gianni Rodari