Da una parte la gente non vede l’ora di uscire, di godersi la natura, dall’altra non vede l’ora di uscire per incontrare altre persone, in luoghi come teatri, cinema ma soprattutto anche nei musei
Lunedì 14 marzo abbiamo avuto la grande opportunità di incontrare ed intervistare il Direttore della Galleria degli Uffizi Eike Schmidt.
Il responsabile del Museo fiorentino nato nell’aprile del 1968 è uno storico dell’arte tedesco: ha avuto modo di studiare arte moderna e medievale all’Università di Heidelberg, dove ha conseguito il dottorato di ricerca non prima di aver approfondito i suoi studi a Bologna e a Firenze, dove ha compiuto ricerche sulla storia e architettura italiana presso il Kunsthistorisches Institut in Florenz; ma anche negli Stati Uniti, dove è stato curatore della ricerca alla National Gallery of Art a Washington fino al 2006, quando è diventato curatore al J. Paul Getty Museum di Los Angeles.
Tornando in Italia nel 2013, firma ‘Diafane passioni’, esposizione di sculture in avorio barocche a Palazzo Pitti.
Inizia a coprire l’attuale incarico di dirigente della Galleria degli Uffizi nel 2015, diventando il primo direttore non italiano dell’eccellenza fiorentina, portando numerose novità e facendo crescere l’interesse verso l’arte. Nel 2019 ha ottenuto il secondo mandato quadriennale per questo ruolo.
Ascoltiamo le sue risposte alle nostre domande.
Direttore Schmidt, lei ricopre questo incarico dal 2015. Può fornirci un bilancio del museo in questi ultimi sette anni di attività?
Dal 2015 fino al 2019 abbiamo più che raddoppiato, raggiungendo per la precisione il +129% per quanto riguarda i nostri introiti economici. Invece per quanto riguarda il pubblico abbiamo avuto il 34% in più. Ovviamente con l’arrivo del Covid nel 2020 si è tutto molto ridotto, ma comunque nel 2021, rispetto al ’20, stiamo migliorando e questo ci dà una buone speranze per gli sviluppi futuri. Vorrei però anche sottolineare che la crescita numerica non può essere il fine principale del museo, un museo ha degli scopi molto più profondi. La crescita numerica può essere anche un problema se il territorio non cresce insieme al museo; proprio per questo abbiamo sviluppato l’iniziativa Uffizi diffusi, in modo da diffondere i visitatori per tutta la Toscana e far partecipe tutta la regione anche della ricchezza che porta un turismo internazionale. Infine, per responsabilizzare tutta la Toscana al fenomeno del turismo, che può essere internazionale o addirittura intercontinentale; inoltre a livello nazionale abbiamo il turismo di vicinanza, che continua, come abbiamo visto in questi ultimi due anni.
In questo periodo del nuovo millennio particolarmente afflitto da una situazione di duplice allerta, sia sanitaria che bellica, quale è la reazione del pubblico? Le persone hanno paura di venire al museo? In particolare come è il nuovo rapporto con i giovani, i così detti nativi digitali che sembrano essere sempre più isolati? La lingua universale dell’arte riesce ancora ad attrare tutte le fasce d’età con forza?
Posso dire che dopo il primo lockdown, nella riapertura del 2020, i visitatori erano spaventati: volevano venire, e venivano, ma si guardavano intorno come se fossero in un territorio minato. Questo però è durato per poche settimane: già da luglio-agosto si era tutto normalizzato, poi dopo la seconda ondata del virus, nel 2021, la gente non era più spaventata; adesso ancora di meno. L’afflusso non è tornato ai livelli del 2019 e ciò si spiega facilmente dal fatto che dalla Cina arriva pochissimo turismo, gli americani vengono in numeri più ridotti, i russi sono venuti fino ad alcune settimane fa. Ultimamente sono presenti molti più europei, italiani, toscani e fiorentini rispetto a visitatori da altri continenti. Questo lo si può dire non solo in base a informazioni aneddotiche, ma lo si vede grazie a diverse statistiche alle quali abbiamo potuto attingere.
I nativi digitali: dal 2020 in poi, da quando noi abbiamo lanciato le prime iniziative per i giovani, sbarcando ad esempio su TikTok ed invitando personaggi che contano presso le nuove generazioni, come Chiara Ferragni e Martina Socrate, insieme a iniziative pensate appositamente per i ragazzi più giovani (soprattutto con scuole e famiglie) e coniugando questo con il fatto che ora abbiamo molte più opere di arte contemporanea rispetto a prima, (ad esempio, la grande donazione di 53 autoritratti di fumettisti contemporanei) il rapporto ha funzionato molto bene. Per quanto riguarda il digitale abbiamo appurato che la presenza su alcuni canali digitali, come Instagram, più confacente alla fascia degli studenti, dove abbiamo più di 700mila followers e TikTok, fa sì che la nuova generazione ci conosca e venga ad approfondire ciò che mostriamo. Ma anche il contrario: alcuni contenuti che abbiamo pensato per la fruizione a distanza, per esempio i video, vengono usati all’interno del museo per approfondire e conoscere meglio le opere. In generale maggiore presenza di digitale c’è, e più aumenta la voglia di vedere l’originale perché il metaverso non funziona e ancora per parecchi anni non funzionerà come surrogato della realtà; forse questo è anche un bene, per evitare che la gente finisca per passare più tempo lì che nel mondo reale.
Quindi il covid, pur avendoci posti in una situazione di reclusione e di contatti solo digitali, almeno ci ha dato la forza e la voglia di rialzarci, permettendoci di trasformare una base negativa in uno sviluppo positivo.
Esattamente, la gente non vede l’ora di uscire, di godersi la natura, per incontrare altre persone, in luoghi come teatri, cinema ma soprattutto musei. Un film si può vedere anche a casa sulla televisione, ma è un’esperienza completamente diversa dall’andare al cinema, perché manca la componente sociale, poi è molto più spettacolare vederlo su un grande schermo. In modo analogo questo accade anche per quanto riguarda le opere d’arte: si possono guardare anche ad altissima definizione, come il Ciclo di Dante di Federico Zuccari, ottantotto disegni che non possono essere continuamente esposti essendo sensibili alla luce; per reperti come questi, vederli in digitale è quasi paragonabile a vederli nel nostro Gabinetto dei disegni e delle stampe per studiarli,; mentre è impossibile simulare in maniera digitale l’effetto di vedere la Primavera di Botticelli o la Medusa di Caravaggio dal vivo, e forse rimarrà per sempre impossibile. Si inizia a comprendere che la tecnologia necessaria è disponibile, ma forse il Metaverso non sarà mai una perfetta imitazione del mondo reale; forse cadrà la nostra illusione di poter ricreare la nostra realtà lì e saremo costretti a tornare in questo mondo con tutti i suoi vantaggi e tutti i suoi rischi, come la guerra e la pandemia. Non possiamo scappare da questo mondo in un paradiso artificiale, e chissà poi se il Metaverso è davvero un paradiso.
Quali sono le iniziative sia prese in autonomia dagli Uffizi sia quelle magari suggerite dalla città metropolitana di Firenze che hanno come fine quello di stimolare l’afflusso di cittadini, delle famiglie e anche dei turisti?
La città metropolitana non ha a che vedere con questo, cioè siamo in contatti stretti con il loro assessore e anche della regione, ma diciamo che da loro non sono state consigliate molte iniziative in questo senso, noi abbiamo sempre avuto come obiettivo nostro quelli che ho già menzionato sui canali rilevanti per i giovani, inoltre insieme a Roma per i cittadini fino all’età di 18 anni l’ingresso è gratuito e dai 19 ai 24 c’è il prezzo simbolico di 2€ che aiuta sicuramente ma che di per sé, senza le altre cose, ha avuto effetto nullo: solo combinato con altre cose ha influito.
Esistono collaborazioni tra i grandi musei e i più giovani, come ad esempio i progetti FAI attraverso i quali è possibile partecipare al museo?
Esistono ma sono poche. Per noi il progetto che coinvolge più i giovani attraverso le scuole è l’alternanza scuola-lavoro, che da noi è declinato con il programma Ambasciatori dell’Arte: questo è stato sviluppato nel 2011 quando prese avvio questo piano dell’alternanza scuola-lavoro. Bisogna dire che il nostro lavoro è molto paragonabile alla scuola, dunque abbiamo quasi un’alternanza scuola-scuola. Qui ci sono ragazzi che studiano parti delle nostre collezioni e poi le spiegano agli adulti, anche in lingua straniera, e questo è qualcosa che è molto utile, specialmente per chi è un po’ timido: abbiamo notato che, soprattutto per ragazzi timidi, poter spiegare ai grandi per la prima volta delle cose fa fare loro un salto in avanti nella personalità.
In queste settimane ci troviamo nella tragica situazione di essere da un lato ancora soffocati dalla pandemia mentre dall’altro siamo entrati in stato d’allerta per la guerra. Questo passaggio da una emergenza sanitaria a una bellica, oltre al calo di turisti provenienti dal paese russo, quali altri effetti potrebbe avere sul museo degli Uffizi?
Sugli Uffizi la temporanea, intermittente uscita di scena dovuta la pandemia ha avuto un effetto estremamente positivo: la gente è tornata qui non vedendo l’ora. Tantissime persone si sono proposte di venire agli Uffizi e lo hanno fatto non appena hanno potuto. Questo effetto positivo si vede anche nelle reazione dei visitatori, che tornano in museo dopo aver passato molto tempo senza viaggiare, stando a casa con lo Smart working, finalmente sono di nuovo in galleria, in un posto dove c’è gente da tutto il mondo, perché comunque agli Uffizi abbiamo visitatori da tutto il pianeta anche se adesso gli stranieri sono meno rispetto a prima. Per quanto riguarda la guerra, mancano quasi totalmente visitatori provenienti dalla Russia, ma adesso abbiamo anche profughi dall’Ucraina; anche se, ovviamente, la prima cosa che queste persone fanno non è certo venire al museo. Tra pochi mesi o forse già tra poche settimane, tanti ucraini saranno in arrivo, e credo che il fatto che abbiamo inaugurato il museo delle icone russe, che sono russe ma spesso di forte ispirazione ucraina, agevolerà questo tipo afflusso. Le persone ucraine possono immergersi nella propria cultura qui al museo: solo per fare un esempio, abbiamo uno dei ritratti più antichi della principessa Roxelana. La possibilità di identificarsi con una parte della nostra collezione di centinaia di anni è qualcosa che qui possono trovare. Inoltre visitare il museo è anche modo ottimale per conoscere la cultura italiana: quelli che vivranno qui dovranno imparare la cultura italiana, la storia e la lingua italiana, e a questo scopo l’arte è davvero molto utile.
Questo scontro ha portato molta attenzione sulla questione della censura russa, ci interessava un parere da parte di prestigioso esperto del settore quale lei è riguardo la richiesta dell’Hermitage di restituire entro fine marzo le opere prestate ai musei di Milano.
Questo è un fenomeno internazionale. L’Italia ha interrotto i prestiti culturali con la Russia esattamente una settimana dopo l’inizio della guerra, cioè il 3 di marzo, se non erro, in seguito la Russia ha fatto lo stesso. I paesi europei hanno attuato delle norme per interrompere le interazioni culturali. Bisogna dire che i Russi non sono stati nemmeno i primi a interromperli, ma è chiaro che quando c’è uno schieramento intorno al conflitto internazionale, specialmente con delle tensioni così forti come c’erano, era prevedibile che sia le Nazioni Europee sia la Russia avrebbero preso delle misure di questo genere.
Anche se non immediatamente, pure la cultura soffre in questo tipo di emergenze, come nella Prima guerra mondiale, nella Seconda guerra mondiale… speriamo che ora non arrivi la Terza guerra mondiale.
Anche se ormai il David è già stato scoperto, Lei cosa pensa della decisione di coprirlo: come simbolo di Firenze è giusto, oppure, in quanto linguaggio universale dell’arte, non ha senso legarlo ai conflitti tra gli uomini?
Non bisognava legarlo al conflitto attuale. Specialmente coprirlo è qualcosa che ha in sé sempre il rischio della censura, in particolare modo se si vuole coprire un’opera d’arte a lungo termine come inizialmente sembrava, come anche il fatto che sia stato chiesto ai musei di coprire delle opere d’arte ogni settimana finché la guerra non sarà finita. L’arte e la cultura si trovano in mezzo a una situazione di conflitto e di tensione, ma costituendo un terreno comune tra i popoli dovrebbero essere impiegati come strumenti per portare qualcosa di pacifico agli uomini. Dunque coprire il David non mi è sembrato assolutamente una maniera di esprimere il proprio dolore in modo adeguato.
Potrebbe infine darci un commento riguardo l’entrata nella collezione della Galleria dei nuovi ritratti che sono stati da poco presentati?
Spesso al pubblico sembra una novità che noi collezioniamo arte contemporanea, ma già ai tempi dei Medici gli Uffizi commissionavano e collezionavano arte contemporanea: dunque ancora oggi continuiamo questo collezionismo con gli artisti dei nostri giorni. Fortunatamente abbiamo anche opere di grandi artisti dell’Ottocento famosi a livello globale, come Thomas Cole, ma anche del Novecento. Gli artisti più importanti dei vari periodi storici sono sempre stati invitati a donare i loro autoritratti, e questa tradizione la continuiamo tuttora. Abbiamo adottato una nuova apertura verso i fumettisti, perché il fumetto è un linguaggio oggi molto importante. Ed oggigiorno i manga sono ancora più importanti del fumetto; così importanti che non possono essere ignorati.