Una persona appare folle agli occhi di una società, composta da individui ugualmente normali, quando si distacca da essa, quando presenta caratteristiche diverse che vengono rilevate dai più come anomalie di un sistema funzionante.
Questo in sintesi è l’illuminante pensiero sulla follia di uno dei giganti della letteratura italiana, Luigi Pirandello, pensiero che è un vero e proprio leit motive presente in molte sue opere.
Se si dice follia, e si dice Pirandello, non può non balzarci in testa il famoso e celebre Enrico IV, uno dei testi teatrali più complessi e avvincenti mai messi in scena, e in cui la follia non viene solamente fatta intendere e lasciata sullo sfondo, ma esibita apertamente e quasi sfacciatamente.
La prima è già andata in scena questo martedì 15 marzo al teatro della Pergola , totalmente gremito di spettatori, e le prossime rappresentazioni sono previste a cadenza giornaliera fino a domenica.
La trama dell’opera non è banale ma comunque abbastanza lineare, ben diversa dagli intrighi di altre opere “impegnative” come possono essere il Re Lear o il Macbeth di shakespeariana memoria; questo perché l’intento non è tanto quello di far perdere il pubblico in una trama caotica, quanto quello di farlo riflettere sulla psicologia dei personaggi, il cui ruolo viene costantemente messo in discussione durante la visione dell’opera (dopo il finale poi ! Ma andiamo con ordine).
La storia, riadattata dal regista greco Yannis Kokkos, ma comunque fedele al testo originale, parla di un giovane nobile del ‘900 che, durante una rappresentazione mascherata a tema storico, in cui vestiva appunto i panni del famoso imperatore germanico Enrico IV, viene fatto cadere di proposito da cavallo da Belcredi, suo rivale in amore per la mano della bella Matilde Spina (che tra l’altro era mascherata da Matilde di Toscana, proprio per rimarcare un sottile elemento di ironia).
Dopo aver brutalmente sbattuto la testa, il protagonista, il cui nome non viene mai esplicitamente espresso, impazzisce e inizia seriamente a credere di essere Enrico IV, con la complicità della servitù e dei suoi cari, che decidono di assecondarlo in questa mascherata perenne.
Dopo dodici anni vissuti da Enrico però, senza un motivo apparente, il senno ritorna al nostro “imperatore acquisito”, che si risveglia come da un brutto sogno.
Una volta ridestatosi però la realtà si rivela peggiore della finzione: la sua amata ha una nuova vita tra le braccia del rivale Belcredi, e nessuno potrà restituirgli gli ultimi 12 anni di vita persi. Enrico decide allora di continuare a fingersi pazzo agli occhi di tutti per prendersi gioco di loro e rifugiarsi nell’unica realtà che gli si prospetta.
E’ proprio da qui che il maestro greco fa iniziare la sua rappresentazione, in medias res, facendoci capire quanto accaduto in precedenza dai dialoghi dei personaggi.
Matilde, Belcredi, e la figlia Frida, il nipote Carlo e lo psichiatra Genoni, a distanza di venti anni dall’episodio della caduta, sono infatti venuti a fare visita ad Enrico con l’intento di ricreare tale episodio facendo interpretare Matilde di Toscana alla giovane Frida, fotocopia della madre da giovane, perché, secondo l’analista, in questo modo ci potrebbero essere delle possibilità di guarigione.
Alla fine però la servitù di palazzo si lascia scappare la notizia, saputa poco prima, sulla ritrovata sanità mentale di Enrico, che quindi viene smascherato.
Durante il calo di tensione, in cui Enrico rivela in tono comico di aver preso in giro tutti, e in tono melanconico di quanto sia stato costretto ad abbracciare questa nuova vita, vede la giovane Matilde/Frida.
La sua visione, come di donna immutata nel tempo, lo colpisce e gli ricorda del tempo perduto che non riavrà mai, e si lascia andare in un abbraccio malato nei confronti della giovane al grido di “sei mia per sempre.”
Belcredi, l’unico vero responsabile della sua disgrazia, si oppone ad Enrico che in un gesto di rabbia gli spara ferendolo a morte (nell’opera originale veniva ucciso da un colpo di spada.)
Da qui in avanti la prigionia della maschera che si è costruito sarà necessaria per la sua liberazione da una realtà che non ha niente da offrirgli al di fuori di sofferenze (e della prigione).
La confusione di pensieri non può non affliggere lo spettatore dopo la visione di questo spettacolo, il quale continuerà a pensare a ciò che ha visto ancora per diverso tempo dopo il calo del sipario. Ci si autoconvince della maschera che la società pone su di noi? Come si fa a definire qualcuno pazzo? Come si può essere liberi e prigionieri al tempo stesso grazie alla propria pazzia? Questi sono solo alcuni degli interrogativi che sono destinati a non trovare risposta e a far ammattire la critica.
La performance degli attori è stata assolutamente convincente, dalla servitù, che rappresentava la sottotrama comica, agli attori principali, tra cui figura e spicca sicuramente Sebastiano Lo Monaco (Enrico IV).
Sebastiano conquista infatti il pubblico con il suo Enrico, dotato di un espressività ben riuscita e di una caratterizzazione assolutamente unica: agli elementi divertenti, inseriti nel testo per mantenere alta l’attenzione del pubblico, fino ai deliranti monologhi sul ruolo della follia e delle maschere. Certamente un personaggio tutt’altro che piatto e monodimensionale.
Il pubblico ha calorosamente apprezzato lo spettacolo, omaggiandolo con un lungo applauso durato per circa 5 minuti ininterrotti dopo il finale.
Un’opera più che consigliata insomma, da andare assolutamente a vedere per gustarsi del buon teatro e per… uscire con più dubbi di prima!