Dall’ 8 al 13 marzo va in scena al teatro fiorentino della Pergola uno spettacolo atipico, originale e unico nel suo genere: “Il Delitto di via dell’Orsina.”
Tratto da “L’affaire de la rue de Lourcine” del gigante della drammaturgia Eugene Lubiche, e tradotto e messo in scena dalla regista Andrèe Ruth Shammah, “il delitto di via dell’Orsina” presenta una situazione paradossale in cui a farla da padrone è il connubio tra comicità e suspense.
A chi non è mai capitato di svegliarsi di prima mattina con una forte emicrania per la festa fatta la sera prima con i propri amici? Questo è quello che è capitato ai protagonisti della storia, Zancopé e Mastenghi, due ex “labadoni” che durante la cena di ritrovo dei passati compagni di liceo, ci hanno dato così tanto dentro da non ricordarsi più nemmeno chi fossero.
Norina, moglie di Zancopè, è all’oscuro della “nottata brava” del marito, il cui compito diventa quindi quello di trovare tutta una serie di scuse per giustificare la presenza in casa dell’amico e del loro strano comportamento. Tutte queste scene sono accompagnate dalla goffaggine dei due irreprensibili “labadoni”, che con un umorismo sano e mai pesante, riescono a far ridere di buon gusto il pubblico in tutte le occasioni. Merito soprattutto delle interpretazioni di Massimo Dapporto e Antonello Fassari, che tramite la loro forte espressività risultano divertenti anche stando zitti, con un semplice sguardo o con un gesto.
Mentre tutto sembra andare per il meglio, durante il pranzo del giorno stesso, Norina legge ad alta voce la notizia di una povera carbonaia fatta brutalmente a pezzi la notte precedente da due assassini. Per tutta una serie di indizi e coincidenze i due feroci assassini sembrano proprio essere i due goffi protagonisti.
Da qui parte un clima di suspense, senza però abbandonare mai la componente comica, in cui i due “quasi amici” cercano al contempo di chiarire la situazione e di coprire le prove che possano provare la loro colpevolezza.
Alla fine la notizia si rivela essere vecchia di 20 anni e tutto si risolve quindi con una clima di gioia generale: tranne che per Zancopé che la sera stessa dovrà spiegare all’infuriata moglie della nottata.
Far divertire il pubblico e al tempo stesso tenerlo sulle spine è una cosa estremamente difficile da realizzare; due emozioni così predominanti normalmente non vanno mai insieme in scena, ma sono dedicate nello specifico a due tipi di spettacoli diversi.
In questo caso la chiave di volta del successo è proprio il loro contrasto: il pubblico è infatti spinto a seguire con attenzione la storia per vedere come si risolverà il finale, ma nel mentre si diverte costantemente per la presenza degli sketches.
La storia non è ambientata nella Francia dell’ottocento, come pensata originariamente da Lubiche, ma nell’Italia del 1940, in cui però lo spirito originario dell’opera non viene degradato, ma rimane fedele alle visioni del drammaturgo; una visione in cui perfino lo scenario di un presunto omicidio può essere buffo e paradossale.
L’opera è fresca, leggera, e non appesantisce minimamente le menti del pubblico, che troverà nel “Delitto di via dell’Orsina” un modo eccellente per passare novanta minuti in allegria.
Opera leggera non vuol dire comunque opera “stupida” attenzione. A farla da padrone è si il tono umoristico, ma non per questo si ha nello spettacolo l’assenza di elementi più profondi che potrebbero essere perfetti spunti per una riflessione più accurata e anche filosofica. Ci si potrebbe chiedere ad esempio come agisce un uomo che si auto convince di essere un assassino; inizia a comportarsi da tale o mette in discussione di esserlo davvero?
Siamo di fronte quindi ad uno spettacolo molto interessante anche perché può essere approcciato in diversi modi e può avere diverse chiavi di lettura.
Oltre alla già citata stupenda performance degli attori principali, un applauso deve andare anche a Susanna Marcomeni, attrice di Norina che ha reso alla perfezione lo spirito altezzoso ma anche spiritoso del suo personaggio; a Andrea Soffiantini e a Christian Pradella, i due domestici e “sottotrama comica”; e a Marco Balbi, il cugino di Zancopè.
Un ringraziamento speciale va infine alla regista, che ha reso magistralmente sulla scena questo tipo di spettacolo, con l’inserimento di aggiunte all’opera originale, che però hanno contribuito alla sua godibilità e non al suo stravolgimento.
In conclusione uno spettacolo consigliatissimo, da vedere per divertirsi e per provare un genere teatrale, quello del vaudeville, un po’ diverso sia per clima che per impostazione (parti cantate e parti recitate) dai generi più famosi.