“Il mondo ha molti re, ed un solo Michelangelo”; così scrive Pietro Aretino, in una sua lettera inviata a Michelangelo Buonarroti. Già i suoi contemporanei, infatti, riconoscevano la grandezza e il genio di questo artista, il quale rientra a pieno titolo nella “top 3” del Rinascimento, insieme a Raffaello e Leonardo da Vinci.

Michelangelo Buonarroti nacque il 6 marzo 1475 a Caprese, piccolo paese della Toscana, di cui il padre Ludovico, cittadino fiorentino, era podestà.

A Firenze, dove ben presto rientrò la famiglia, Michelangelo compì i suoi primi studi, finché, in contrasto con i progetti paterni, iniziò a frequentare la bottega del già celebre maestro fiorentino Domenico Ghirlandaio, per poi però dedicarsi allo studio della scultura degli Antichi, soprattutto grazie all’ampia collezione medicea nel Giardino di San Marco, sotto la guida di Bertoldo di Giovanni, discepolo di Donatello.

Notato da Lorenzo il Magnifico, Michelangelo venne subito accolto nella corte medicea. Di lì a poco però, in seguito alla caduta dei Medici nel 1494, decise di trasferirsi a Roma, dove scolpì la famosa Pietà Vaticana.

Qui emerge tutta la poetica michelangiolesca, o meglio quella della fase giovanile: l’artista immagina già nel blocco di pietra la forma ideale e perfetta ed ha così il compito di scalfirla, facendola emergere e svincolandola dalla materia che la opprime.

Dopo questa prova di eccezionale maestria nella scultura, ormai famoso, fece ritorno a Firenze nel 1501. Proprio in questa occasione venne incaricato di scolpire l’ormai famosissimo David di marmo. La Repubblica di Pier Soderini voleva così rappresentare la vittoria del “forte” (la Repubblica) contro il “debole” (i Medici), collocando l’opera dinanzi a Palazzo Vecchio, sede del potere cittadino, oggi custodita alla Galleria dell’Accademia di Firenze come suo capolavoro più iconico.

Poco prima di allontanarsi da Firenze, Michelangelo dipinse anche l’unica tavola finita che conosciamo di lui: Sacra Famiglia, nota anche come Tondo Doni. Si nota qui bene come all’artista non interessi caratterizzare minutamente il paesaggio, bensì il corpo umano. Al pari degli altri artisti del Rinascimento, e in particolare dei Fiorentini, Michelangelo riteneva che lo scopo dell’arte fosse l’imitazione della natura, dalla quale bisognava però scegliere i particolari migliori, per giungere così alla bellezza. Il perfetto corpo umano, in quanto specchio della bellezza divina, era per lui “la cosa più bella del creato”.

Una volta a Roma, Michelangelo visse un breve periodo di esaltazione per la commissione ricevuta nel 1505 da papa Giulio II di progettare il suo monumento funebre. Nelle statue dei Prigioni, si fa concreto il tema dell’anima prigioniera del corpo e anelante alla libertà nella contrapposizione tra parti di pietra informe e parti di pietra scolpita: si tratta della tecnica del “non finito”.

Ne seguì, però, un lungo periodo di avvilimento per il continuo rinvio dell’esecuzione che poté avere luogo solo molti anni dopo la scomparsa del pontefice, in una soluzione molto ridimensionata.

Così, nel 1508, quasi per riparazione di queste tribolazioni, Giulio II offrì nuovamente all’artista di affrescare l’immensa volta della Cappella Sistina. Michelangelo accettò, sebbene con riluttanza, considerandosi scultore più che pittore: cinquecento metri quadri, decorati da un solo uomo, in quattro anni di lavoro intenso e che rappresentano la piena espressione degli ideali artistici del Rinascimento. In particolare, la libertà nell’accostare i colori, accesi e cangianti, diede un forte impulso alla successiva generazione di artisti manieristi.

Nel frattempo il suo pensiero si stava evolvendo, soprattutto in seguito al ben noto sacco di Roma del 1527 e sotto la spinta dei gruppi riformisti. Infatti, divenuto più profondamente religioso, Michelangelo cominciò a ritenere del tutto secondaria la bellezza fisica a quella spirituale; anzi, la ricerca della bellezza ideale appariva ora ai suoi occhi come un meccanismo perverso, una ricerca inutile e peccaminosa. Non solo, si convinse che la propria arte poteva averlo condotto alla dannazione della sua anima!

Ecco un cambio radicale nella sua poetica: lo studio dei corpi mette ora in evidenza i limiti del corpo stesso, la sua pesantezza, il suo essere legato a passioni volgari, ma anche la sua volontà di distaccarsene per raggiungere la salvezza.

Un riflesso del tormento dell’anima di Michelangelo, priva della certezza della salvezza, lo troviamo nell’affresco del Giudizio Universale commissionatogli dal nuovo papa Clemente VII de’ Medici. Ritenuto sconveniente e scandaloso per i troppi nudi, l’immenso affresco corse il rischio di essere addirittura distrutto. Tuttavia – e fu la salvezza del capolavoro di Michelangelo – il Concilio di Trento decretò solo la copertura di alcune parti considerate oscene. Curiosamente, questo lavoro valse, a chi lo eseguì, e cioè a Daniele da Volterra, l’epiteto di “braghettone” (= “colui che ha messo le brache ai personaggi”).

Altre testimonianze di Michelangelo a Firenze sono la Sagrestia Nuova della Basilica di San Lorenzo, destinata ad accogliere le tombe dei Medici, e la Biblioteca Laurenziana, per conservarne i libri.

In seguito al suo definitivo trasferimento a Roma, papa Paolo III affidò a Michelangelo l’incarico di realizzare il modello della cupola di San Pietro (finito nel 1561). L’opera verrà poi realizzata, sul finire del secolo, da Giacomo della Porta che seguirà, seppur con qualche modifica, il disegno originario di Michelangelo.

Nel frattempo, attorno al 1548, eseguì uno dei suoi capolavori, la Pietà Bandini e nel 1552 iniziò a lavorare alla Pietà Rondanini, l’ultima opera dello scultore, rimasta incompiuta alla data della sua scomparsa.

Michelangelo morì il 18 febbraio 1564, alla veneranda età di 89 anni!

Uno spirito che universalmente in ciascheduna arte ed ogni professione fusse abile […] Piuttosto celeste che terrena cosa.” queste le parole di Giorgio Vasari, che rendono bene l’idea di un artista “totale”, che non fu soltanto scultore, ma anche pittore, architetto e poeta, anche se Michelangelo si considerò per tutta la vita scultore. Non a caso infatti, Michelangelo riteneva che la migliore pittura fosse quella che maggiormente si avvicinava alla scultura; ecco l’uso di una linea di contorno netta e decisa per dare volume e senso della tridimensionalità.

Tuttavia, Michelangelo fu anche uno degli artisti più tormentati della storia: perennemente insoddisfatto dei propri risultati, lacerato da contraddizioni, conduceva una vita quasi da miserabile, nonostante avesse accumulato favolose ricchezze.

La caratteristica più forte è la tensione, sempre presente nelle sue opere, dovuta alla sua continua ricerca di auto superamento e insoddisfazione. Nei suoi lavori c’è sempre un’ansia del proprio limite. In definitiva, quella di Michelangelo è una visione dell’arte personalissima e molto originale.

Numerosissimi sono stati i tentativi (invani) di uguagliarlo; il suo estro continua a fornire spunti e suggestioni a secoli di distanza, il suo genio resta un motivo di gloria del nostro Paese.

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