Contro di lui sono state gettate innumerevoli accuse, a volte anche infondate, maligne nel loro scopo di fondo – quello di soffocare il diverso, dove per “diverso” si intende divergente dai valori di prepotenti che credevano rispettabili valori e buone maniere appartenenti a un vecchio schema.  Oggetto di aggressioni e verbali e fisiche, Pasolini fece addirittura il record della più ampia “collezione di denunce” contro le sue opere; già questo basterebbe a farlo annoverare tra i maggiori “VIP”. Ma non a ciò si può limitare il suo ricordo: l’ideale di oggi avverso a bigottismo, omologazione e frenesia del consumo è lo stesso che lui contro corrente proclamava con coraggio e franchezza.

Il suo contributo artistico è svariato : è stato poeta, drammaturgo, attore, regista, scrittore, autore di canzoni e pittore! Ma per  una breve analisi della sua opera, sarà bene soffermarsi anche sulla complessa e tormentata biografia del nostro artista.

Dall’infanzia alla maturità : crescita di un letterato e del suo turbamento.

Pier Paolo Pasolini nacque a Bologna il 5 marzo del 1922 dall’ufficiale di fanteria Carlo Alberto Pasolini e dalla maestra friulana di Casarsa Susanna Colussi, alla quale rimase estremamente legato. Molta influenza ebbe anche il padre sulla vita familiare: il lavoro lo costringeva a trasferirsi spesso, e la sua dedizione al gioco d’azzardo portò la famiglia alla rovina economica. Lo stesso autore definisce l’infanzia come costellata di choc continui: cambiare sempre scuola e compagni era una tortura che esasperò la timidezza dell’uomo. Tale timidezza e indole solitaria, avversa alla mondanità segnò anche il Pasolini adulto.

Durante l’infanzia, di grande importanza furono i soggiorni estivi a Casarsa, terra che lo ispirò nella composizione di versi sulla natura che tanto lo aveva affascinato. La precoce passione per la poesia dunque si aggiunse a quella per il disegno. Nell’adolescenza il legame con la madre si radica sempre più nel giovane, per l’assenza del padre, tanto più quando questo andò temporaneamente in carcere per debiti. Al liceo classico conduce una brillante carriera scolastica. In questo periodo di maggior stabilità, risiede a Bologna, lega con un gruppo di amici con cui compie le prime prove letterarie. L’estate del 1941 fu fondamentale per la formazione del poeta, che si cimentò con gli amici a  creare una rivista, nonostante il loro fallimento nel progetto.

Nel 1942 esce la sua prima raccolta in versi nel dialetto casarsese che sentiva suo, Poesie a Casarsa. Sempre in quell’anno partecipa all’attività – anche se effimera- della pubblicazione della rivista Il Setaccio, il cui direttore fascista, Giovanni Falzone, entra in reciproca antipatia con il giovane Pasolini, che sia accorge della natura regressiva del fascismo, aprendosi al pensiero antifascista.

Nel 1943 riuscì a fuggire l’obbligo delle armi. In tutto il periodo di guerra cercò di estraniarsi dalla realtà che lo addolorava, dedicandosi anima e corpo allo studio e alla poesia.

In questi anni storicamente bui, inizia anche l’attività di insegnante offrendo lezioni a coloro che non potevano andare a scuola, causa i bombardamenti bellici. Pasolini aprì con l’amata madre una scuola a Versuta nel 1944, vicino a Casarsa, presso la propria casa e di fruizione gratuita. Negli anni di insegnamento si rende conto di provare attrazione verso un suo alunno, episodio complicato dal sentimento altrettanto amoroso che per lui provava un’ allieva.

Sempre più prepotente affiora il suo turbamento erotico: in modo limpido l’autore riconosce la propria attrazione verso i maschi, altra fonte di sensazioni di incongruenza e inadeguatezza nella società che lo circondava. L’omosessualità di Pasolini fu infatti spesso interpretata come un punto di fragilità della sua natura, che più volte fu definita malata.

Si laureò con lode nel 1945 nell’Università di Lettere a Bologna, dimostrando una sensibilità interpretativa peculiare nell’opera pascoliana.

Sempre nel 1945 si fa iniziatore, insieme con alcuni altri giovani appassionati di poesia, dell’”Accademia di legna furlana”, un istituto di lingua e poesia con l’intento di dare dignità alla parlata locale che sappiamo essere nel DNA dello scrittore, il dialetto casarsese. Nello stesso anno, si apre una nuova ferita nella già sofferente vita dell’autore: la morte del fratello Guido, per cui nutriva una forte affezione, caduto nello schieramento partigiano. Nel dopoguerra nasce in Pasolini l’esigenza di avvicinarsi alla dura realtà di quegli anni e aderisce al marxismo in quanto, secondo lui, espressione dell’impegno verso l’altro. Nel 1947 si iscrisse dunque al PCI di cui divenne segretario nel 1949. Porta avanti sia la carriera di insegnante, sia di uomo politicamente impegnato, sia di poeta e scrittore. Compone “Pagine Involontarie”, una sorta di diario giovanile in cui Pasolini professa senza più “vestire” la nuda verità della propria natura omosessuale. Il sodalizio  con Gianfranco Contini, noto studioso e critico letterario, si rivela di sostegno all’attività poetica di Pasolini, che compone La meglio gioventù, L’usignolo della Chiesa Cattolica, raccolte di poesie che otterranno riconoscimento con il premio Angelo, il quale dedicava attenzione ai versi in veneto e in friulano.

L’età adulta : ostilità reciproca con la società contemporanea, denunce e processi all’”osceno” pasoliniano.

Tra 1949 e 1950 lo scrittore dà vita al primo romanzo, “Il sogno di una cosa”, da cui emerge la forte adesione al marxismo e alle parole del fondatore del PCI italiano Gramsci.

Le chiacchiere di paese sulla sua sessualità presto lo mettono tuttavia in posizione di abbandonare la cattedra di insegnamento a Casarsa e si trasferisce a Roma (1950). Più in particolare, nel 1949 viene processato avendo pagato tre minorenni per prestazione sessuale. Segue un processo logorante che si conclude con la reclusione per tre mesi in carcere dell’uomo e i due ragazzi più “anziani”; infine abbiamo però la finale assoluzione.

Le conseguenze di tale scandalo si manifestarono nell’ostracismo relegatogli dal PCI  e dal licenziamento dal ruolo di insegnante. Da questo momento in poi incarna la personalità del poeta maledetto, colui che si stacca da ogni aspetto della forma mentis del buon costume, come l’autore stesso sostiene.

Roma dunque sarà molto importante per la formazione intellettuale del poeta: qui conosce la dura realtà delle borgate in cui soggiorna con la madre, le zone periferiche di Roma abitate da una comunità disperata e decadente, ma opposta a quella che più osteggiava, quella dei borghesi. In particolare si interessa alla vita lì condotta dai giovani romani. La sera, dopo lavoro, si ferma a parlare con loro, che emanano per lui il fascino di una certa esoticità e etica, sia pure rozza e scurrile, ma soprattutto autentica: proprio questa esperienza sarà campo fertile per la creazione del primo romanzo “Ragazzi di vita”(editato nel 1955), che fedelmente si propone di riportare la realtà di quei giovani.  Il suo dizionario vivente per riprodurre nel romanzo il dialetto romanesco fu un giovane imbianchino, Sergio Citti. La troppa aderenza alla realtà- che comprese uso di volgarità dialettali, immagini crude e d’impatto- scatenarono lo scandalo. Nonostante il suo libro avesse ottenuto successo nel pubblico, esso fu escluso da premiazioni e per le accuse di oscenità fu bandito un processo- che tuttavia si concluse con l’assoluzione, grazie all’accorata difesa di autorevoli personalità come quella di Ungaretti, il quale sosteneva che l’opera fosse imbevuta di valori cristiani, in quanto stimolo di sensibilizzazione e pietà verso il dimenticato e vergognoso tema della prostituzione maschile dei ragazzi poveri a Roma.

Pasolini stesso, pur dichiarandosi fermamente ateo e anticlericale riconosce un suo lato spirituale in quanto “parte” di 2000 anni di Chiesa e quindi in qualche modo coinvolto nella cultura cristiana.

Egli fu molto criticato per la sua contraddittorietà. Tuttavia, lo stesso scrittore affermò che la propria natura contraddittoria derivasse dalla coerenza: il mondo è pieno di contraddizioni, quindi una persona coerente è a sua volta contraddittoria. Egli sosteneva infatti che la religione permeasse la sua opera, in modo costante, quando contemporaneamente era marxista.

Come se la sua discordanza interiore si riflettesse nelle sensazioni che suscitava al “pubblico”, fu una figura controversa e fraintesa, talvolta idolatrata, talvolta odiata, esaltata o censurata.

Sempre negli anni ’50, instaura amicizia con alcune personalità della letteratura italiana come Giorgio Caproni, Attilio Bertolucci e Vittorio Clemente, e ottiene- in particolare grazie all’aiuto dell’ultimo- il posto di insegnante in una scuola media romana.

Vennero pubblicate le sue raccolte “La meglio gioventù” (1954) e altri  racconti e poesie che confluiranno poi in “Ragazzi di vita” e “Le ceneri di Gramsci”(1957), entrambi lavori che ebbero successo nel pubblico. In questi anni conseguì anche diversi riconoscimenti, che la vita piuttosto “arrangiata” a Roma lo costringeva a accoglierne avidamente i compensi. La multiforme  grandezza dell’autore si vede anche nei grandi propositi di richiamare nei suoi scritti l’antico come il Miles Gloriosus di Plauto e in Divina Mimesis, romanzo incompiuto ispirato alla Divina Commedia.

A fine anni ’50, scrive il romanzo “Una vita violenta”, terminato nel ‘58, che come molti altri suoi scritti scateneranno la critica e le denunce di oscenità. Nel romanzo lo scrittore affronta di nuovo il bruciante argomento della vita degradante condotta dai giovani nelle borgate romane, ma stavolta concentrandosi sulla figura di un giovane, la cui delinquenza e povertà lo trascinano in una decadenza oltre che materiale, morale. Esce anche della produzione poetica, come la raccolta “La religione del mio tempo”, che fa da manifesto all’idea di Pasolini del rapporto tra poesia e ideologia. Egli si gettò poi nel mondo della cinematografia, che lo aveva attratto in quanto mezzo di comunicazione senz’altro emblematico e incisivo: sempre di più non solo distribuirà le proprie energie tra i due “binari”-letterario e cinematografico- ma prediligerà il lavoro di cineasta. Il film “Accattone” (1961) segna la vera e propria nascita della regia pasoliniana, e fu il primo a essere vietato ai minori di 18 anni in Italia, in risposta alla presenza di contenuti e immagini considerati scandalosi.

Dall’esperienza della lettura del Vangelo di Matteo venne l’idea a Pasolini di girare un film che avrebbe avuto come “copione” il Vangelo. Il film ebbe un grande successo. Dal tono indubbiamente diverso e di tragicomico biasimo verso la crisi del PCI e del marxismo, il fortunato film “Uccellacci e uccellini” (1966) vede Totò come protagonista e il giovane attore Ninetto Davoli, legato a Pasolini da sincera amicizia. Allettato da una grave emorragia, lo scrittore riprende la lettura dei Dialoghi di Platone, da cui prende ispirazione per una composizione teatrale vicina alla prosa.

Come ci si aspetterebbe che un anticonformista quale Pasolini abbia accolto l’anno della contestazione giovanile del ’68? Beh, sicuramente non come egli reagì in realtà: nella sua poesia “Il PCI ai giovani!!” dichiara il suo disprezzo verso la “falsa” Rivoluzione dei figli di papà, conformisti non meno dei padri e che disseminavano caos e discordia.

Dell’ inizio degli anni ’70 è doveroso ricordare la “Trilogia della Vita”, un trittico di film che Pasolini voleva dedicare alla vita. La scelta di immortalare i difetti umani con lo scenario delle novelle boccaccesche (Il Decameron), chauceriane (I racconti di Canterbury) e infine anche antico-orientali ( Il fiore delle Mille e una notte) non è incoerente, anzi si collega all’idea del regista che nella sua società serpeggiasse un’apertura mentale tanto grande quanto quella che si attribuisce al Medioevo, sebbene talvolta per faciloneria! Nel passato si rispecchiano insomma i vizi e le passioni umane che si ergono nella loro universalità. Inoltre la presenza del nudo nella Trilogia è molto insistente anche se non è una novità nei film di Pasolini. Questo perché il cineasta vuole rappresentare una pulsione erotica spoglia di ogni simbolismo o ambiguità. Tutto ciò era in netto contrasto con i messaggi occulti di cui Pasolini accusava la persistenza nel mondo televisivo : l’artista rilevava performance sulla falsa riga della pudicizia, condannando il “vedere e non vedere”.

È importante sottolineare che gran parte degli attori nella Trilogia provenivano dalle borgate romane e quindi tutt’altro che professionisti, che resero però personaggi assai credibili e azzeccati. La volgarità del linguaggio inoltre si riflette nella volgarità delle immagini e dei contenuti, andando così a creare un inscindibile rapporto contenuto-linguaggio.

Agli ultimi anni di vita appartiene la stesura del romanzo “Petrolio”, pubblicato postumo nel 1992, e la realizzazione del film “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, in cui viene trattato il male in tutta la sua carica di mortificazione e degradazione del corpo. Il film si ispira all’opera del famigerato e spietato Marchese di Sade; in esso è chiaro quanto Pasolini fosse interessato al risveglio della coscienza del suo pubblico, a costo che la sua franchezza risultasse “traumatizzante e causa di corruzione per le nuove generazioni”.

Non odiava la società in cui viveva, ma nemmeno l’amava più in questi ultimi anni della sua vita: le sue speranze erano perse per quel mondo in cui era incompreso, ma continuò la ricerca della verità, che mostrava attraverso la cinematografia.

Il mistero della morte ancora irrisolto, emblema della vita di un “martire” o di un “esibizionista”? Comunque sia stato, le ipotesi contrapposte continuano a non dare risposte definitive.

Sulla morte di Pasolini, avvenuta nella notte del 2 novembre 1975, sono state fatte le più svariate ipotesi. L’uccisione poco ebbe di umano: il cadavere dello scrittore fu brutalmente massacrato; l’assassino fu individuato nel diciassettenne Pino Pelosi, ma l’omicidio di Pasolini rimane un giallo irrisolto. Si è più volte sottolineato quanto poco fosse plausibile che l’autore del delitto fosse stato un ragazzo da solo, e quanto più verosimile che un gruppo di persone avesse collaborato al delitto. La causa è altrettanto incerta (forse il crimine si collega all’inchiesta che Pasolini aveva riportato nel romanzo Petrolio? O forse alle sue pratiche omosessuali, che secondo alcune testimonianze avvenivano secondo pedofilia e disumana scelleratezza?).

C’è chi parla addirittura di una morte orchestrata dallo stessa vittima, come indice di maniacale protagonismo. 

Ma in questo caso è opportuno svolgere una difficile quanto necessaria operazione: scindere Pasolini uomo da Pasolini artista, per riconoscere senza offuscamento i grandi meriti e l’immortalità delle parole dell’autore.

In conclusione è innegabile che quest’uomo abbia lasciato un segno indelebile nella letteratura e nelle cinematografia contemporanea, perché pur nella sua contraddittorietà, individuò l’ipocrisia e il conformismo gonfi di retorica del mondo in cui viveva; percepì il rischio dell’omologazione e la volgarità che senza nostro accorgimento ci bombarda attraverso la TV, ma che lui ha voluto mostrare esplicitamente, senza maschere e con le sue “oscenità”. Oscenità che però ci rendono consapevoli dei sottintesi occulti del mondo consumista e moralmente misero che ci minaccia.

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