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Intervista a Clet Abraham, artista a tutto tondo, che non dipinge su una tela usuale…

Avrete sicuramente visto passando per le vie del centro di Firenze ( o anche a Londra, Parigi, Amsterdam, Miami e molte altre città) le sue opere attaccate ai cartelli stradali e non solo. Si tratta di Clet Abraham, artista Francese e residente a Firenze dal 2006, che ha concesso un’intervista ad alcuni ragazzi di diverse scuole rispondendo alle loro domande nella su bottega. Riportata di seguito l’intervista.

La sua idea di arte da dove nasce?

Per me l’arte deve essere essenzialmente comunicazione, con tutti. Non mi interessa fare un’arte per un’élite di potere e culture, anzi mi piace scontrarla, partire dal più basso. I cartelli stradali sono in basso nella scala, sono universali; quindi, sono perfetti come veicolo per mandare dei messaggi, perché parlano a tutti, in modo semplice, in tutte le lingue. Questa convinzione sull’arte mi è venuta da un pittore olandese che si chiama Brueghel, perché quando raccontava delle storie, dipingeva dei piccoli personaggi; quindi gente che non sapeva leggere, guardando quell’immagine, comprendeva cosa quei personaggi significassero. Cercò di spiegare a chi non aveva niente delle storie.

Quale messaggio vuole trasmettere con la sua arte?

Sono diversi i messaggi che voglio comunicare, ma in primo luogo vorrei cercare di rompere l’impermeabilità che c’è tra noi e il potere, che ci separa come se fosse un muro. L’unica cosa che possiamo fare è andare a votare, ma in realtà neanche questo, visto che gli ultimi governi italiani sono stati creati senza il voto del popolo. Penso che dobbiamo poter partecipare molto di più nel quotidiano, ognuno dovrebbe poter mettere i suoi talenti in gioco. Io voglio rompere questo muro.

I suoi cartelli sono ormai un simbolo, da dove viene l’idea di usarli?

Prima di tutto è nato da un gioco grafico. Me li sono posti davanti e ho osservato il loro linguaggio universale e mi sono divertito a cercare di sintetizzare delle idee, perché per rimanere in relazione con il cartello il messaggio deve essere sintetico e semplice, con qualcosa di più complesso non si comprende più neppure il cartello. Quindi la sfida intellettuale era di sintetizzare dei concetti, dire il più possibile con il meno possibile, e il cartello mi ha invitato a farlo. Inoltre, il cartello è un simbolo di autorità, come un poliziotto che ti dà un ordine, “fai quello” o “non fare quello”, ed è disseminato ovunque nel nostro spazio pubblico. La mia è una specie di risposta a questa “aggressione”, una risposta costruttiva, perché non impedisco il messaggio del cartello ma in qualche modo cerco di comunicare il diritto di essere trattati meglio.

Ma la sua arte è anche un gioco? Abbiamo visto sul suo sito che ha pubblicato un’applicazione

Ma purtroppo non ha funzionato.

Potrebbe spiegarsi?

L’idea non poteva funzionare. L’idea era di girare per il mondo e fotografare un cartello e si inseriva nell’applicazione per guadagnare dei punti, come una specie di caccia al tesoro. Cercavo di costruire cose un po’ più interessanti. Il problema era soprattutto di geolocalizzazione, perché ci sono troppo spesso dei cartelli vicini, e la geolocalizzazione non è abbastanza fine da differenziare uno dall’altro. Magari un giorno qualcuno sarà più bravo e riuscirà a farlo.

Quando lei ha iniziato a fare questo tipo di arte si sarebbe mai aspettato cosa sarebbe diventato in futuro?

No, certo. Ho capito subito di aver trovato qualcosa, perché ero già pittore da tanti anni, era difficile economicamente e non avevo nessun riconoscimento. E invece non appena ho messo il primo cartello, subito i giornali hanno cominciato a parlarne, e allora ho capito che avevo trovato qualcosa. Ancora oggi sto cercando di capire i nuovi spazi interni a questo progetto per andare avanti, cioè lo sto scoprendo piano piano.

Sempre parlando dei cartelli ce ne sono molti in giro, e magari i disegni possono essere sia giocosi sia più seri. È casuale questa scelta?

Non è casuale. Sono sempre immerso in un bagno di varie riflessioni, legate al quotidiano, alla nostra storia, diciamo che c’è sempre un certa pressione interiore come se ogni disegno fosse legato a questa cosa, a volte è più leggero più giocoso ma è raro perché dietro c’è sempre un messaggio.

C’è qualcosa che nota di particolare nelle nuove generazioni, qualcosa di nuovo?

Rimango legato alle informazioni attuali, come il cambiamento climatico, l’identità di genere che rappresenta una grandissima libertà per uomo. Da un punto di vista politico ci sono altri modi ancora da scoprire, come intervenire nello spazio politico.

Qual è il suo monito per le generazioni future?

Posso dire ai giovani di avere fiducia in sé stessi, perché hanno molto da vendere nella loro unicità, quando si è giovani spesso si ha paura di questa unicità perché si ha bisogno di relazioni, di stare in gruppo, si è anche un po’ più fragili. Invece la propria ricchezza è questa l’unicità e diversità, che va amata

C’è un posto che l’ha particolarmente colpita?

Sono tutti interessanti i posti, alcuni si conoscono di più altri molto di meno, questo già dimostra una cultura, ed è interessante leggere attraverso i cartelli stradali la politica, la democrazia di un paese. Ultimamente mi sono appassionato all’Amarica del Nord, ci sono andato quando non ne ero molto attratto, ero più attratto dall’Asia, ma in America ho trovato un paese molto più civile di come spesso viene dipinto, senza togliere i difetti che può avere ma in fin dei conti anche noi abbiamo dei difetti. Ci sono tanti piccoli segnali sul rapporto tra le persone che fanno la differenza.

Guardando la sua carriera nel complesso cambierebbe qualcosa?

Direi di no, anche se una cosa che avrei dovuto fare è lavorare in incognito più che altro da un punto di vista strategico commerciale, probabilmente oggi sarei più famoso se avessi giocato quella carta lì.

Firenze è una città che dà ispirazione da un punto di vista artistico?

L’ispirazione la dà perché è un riferimento, è uno stimolo; ma poi c’è la parte di Firenze che tende a chiudersi, a impedire qualsiasi nuova espressione con il concetto che non si può fare di meglio. Un concetto che più che altro è comodo perché non c’è bisogno di fare nulla, non ci sono diritti d’autore da pagare perché ovviamente gli artisti sono morti da tempo, quindi risulta una grandissima comodità, per i giovani invece è una cosa brutta, però sì, questa presenza artistica è stimolante.

Lei nella maggior parte dei suoi cartelli ha sempre lo stesso personaggio che ha molte azioni diverse, lo ha mai personificato?

Questo è un personaggio principalmente maschile, e questo mi dà fastidio perché vorrei rappresentare sia il maschile che il femminile, però nel cercare di rappresentare la differenza tra il maschile e il femminile in modo così sintetico caschi subito sui cliché finendo per essere ridicolo; quindi, alla fine questo personaggio rimane una versione più maschile che però per me rappresenta anche il femminile.

In che senso si sente ancora più ridicolo?

Perché particolarmente oggi si parla di identità di genere, argomento molto interessante da affrontare, e mi sento ridicolo perché non riesco a rappresentarla graficamente.

Dopo aver sviluppato l’idea l’analizza da un punto di vista oggettivo?

Lavoro molto per intuizione, uno dei filtri maggiori è il tempo, faccio tanti disegni e lascio che il tempo li selezioni, poi ci ritorno e quelli che rimangono sono quelli buoni. Se un’idea continua a rimanere nella mia testa dopo tanto tempo vuol dire che è buona.

Cos’è l’artista per lei oggi?

Per me, ma è una mia opinione personale, l’artista è qualcuno che deve avere un impatto, anche politico direi. L’arte può avere un ruolo nella società perché è uno spazio per la libertà. Quindi se non approfitti di questo per cercare di darlo agli altri mi sembri un attore, o un approfittatore. Io penso che l’artista abbia un dovere, che è quello di approfittare della sua posizione per poi darla agli altri.

Qual è una frase che fa un po’ da punto di riferimento per lei?

Questo evolve tra le frasi che mi vengono piano piano però una che è abbastanza stabile: “l’uomo non deve servire una legge ma le leggi devono servire l’uomo”; spesso noi siamo costretti a adeguarci alle leggi ma le leggi devono essere utili a noi, e non il contrario.

Qual è il suo rapporto con i social?
I social sono molto importanti perché ti permettono di valutare quello che stai facendo, non al 100% perché lì escono cose anche discutibili, ma ti dà una risposta interessante dell’impatto che tu hai in generale. Rimane importante anche la comunicazione diretta ma i social sono anche un biglietto da visita, perché sei più forte quanto ti devi presentare e perché è una realtà utile se tu sei apprezzato.

Durante questi ultimi due anni di pandemia come ha vissuto la sua arte? Ha perso ispirazione? Ha trovato altre fonti da cui ispirarsi?

Non ho perso l’ispirazione, come penso si possa vedere dalla mia arte: più ho limiti più ho bisogno di lottare contro questi limiti, in qualche modo sono gli ostacoli a darmi forza. Detto questo non è stato per niente piacevole restare chiuso in casa. il primo lockdown l’ho fatto in Bretagna dove abito a 50m dalla spiaggia. Speriamo che sia stata un’esperienza umiliante e brutta e basti così.

Come si istallano le opere, è una cosa che fa da solo?
Di solito per installarle per strada da solo, a volte con amici. Può capitare che mi ritrovi con amici che vanno in giro con adesivi che sono cose che si attaccano perfettamente ai cartelli e mi ritrovo con questo applicatore – continua l’artista mostrando una pellicola trasparente con attaccati disegni a colori – e vedo il disegno del cartello sotto per capire come posizionarlo, poi utilizzare questo applicatore è una cosa tecnicamente abbastanza veloce; questo applicatore è un’esigenza, perché visto che mi devo tenere con una mano stando in bicicletta ( e a volte ci vogliono anche due mani) meglio che l’adesivo che ho io possa attaccarlo con una mano sola ad un angolino a sinistra mentre sono in piedi sulla bicicletta o con una gamba attorno al palo, che è la cosa più difficile.

Lei ha mai avuto emulatori?

Sì c’è una coppia a Madrid che lavora abbastanza bene su questo tema e ne conosco altri due o tre in Europa

Che rapporto ha con loro?
Ci si conosce, magari sui social, ogni tanto si fa uno scambio sui social qualche complimento se c’è qualcuno che mi piace di più , che ho notato; molto volentieri faccio sapere che mi piace, lo incoraggio. Mi fai pensare a un aneddoto interessante . A me piace molto Amsterdam e ci sono stato più volte. Quando ho avuto questi cartelli, ci ho messo un paio di anni e iniziavo a essere conosciuto tra l’altro l’ambiente mi piaceva particolarmente; per farla breve quando sono arrivato a Amsterdam in quel quartiere che mi piaceva c’era già un grande cartello.

Il posto dove ha ricevuto più scontri da parte di città per i suoi cartelli?
Il più in assoluto il Giappone, ma preferisco non parlarne. Qui in Italia, a Siena, le autorità senesi hanno avuto un comportamento molto brusco, molto ignorante, anche se ultimamente la situazione si è rovesciata perché il sindaco mi ha invitato a fare una collaborazione.

E invece con i cittadini?

Tendenzialmente con la maggioranza dei cittadini (anche giapponesi) si crea un feeling spontaneo.

Prima parlava dell’ Uomo comune, un’opera che ha deciso lei di installare senza consenso delle autorità, c’è invece qualche opera che in generale ha fatto appositamente con la collaborazione dell’autorità e dei poteri locali?

Sì, a Firenze ho collaborato con il potere locale per il Naso che abbiamo messo sulla torre San Niccolò che avevo fatto tanti anni fa e mi piaceva molto. Ci sono pure città che mi invitano a lavorare sui cartelli. Non tantissime, anche perché non vivo più di quello, che non sarebbe neanche vivere dato che non chiedo cifre alte. Ma lo trovo interessante da fare e ci sono città come ad esempio Parigi, Oslo o anche Calenzano in cui mi hanno invitato i sindaci. Poi non mi ricordo dove sono stato in altre città in giro per il mondo.

C’è un’opera a cui lei tiene molto per il suo significato, un’opera particolare che per lei ha molto impatto?

Io penso che in generale il mio lavoro sui cartelli stradali non abbia un impatto particolare e un significato molto chiaro, perché non è molto facile metterci sopra delle parole. Ora però mi sembra che comunichi molto con le persone, che la gente percepisce presto delle cose e ne intuisce delle altre nel suo insieme. Poi nel dettaglio dipende un po’ dai momenti, spesso dico che sarà la prossima se avrò tempo. Questo è vero per quella del Cristo sulla strada senza uscita, è un’opera che ha un valore forse un po’ particolare.

C’è un’opera che avrebbe preferito non fare in passato?

Riguardando ad allora non c’è un opera che avrei preferito non fare. Ci sono opere che sono andate male quello sì, tipo questa per esempio – dice Clet indicando una statua posizionata di fronte all’ingresso della bottega – perché troppo complessa probabilmente. Di questa ho fatto due copie e le ho montate su due autovelox a Firenze, che sono state tolte nella stessa mattinata e sono opere che non hanno avuto molto riscontro perché probabilmente molto complesse, però alla fine io sono contento di averle fatto lo stesso. Potrei avere dei rimorsi se avessi la convinzione di aver fatto una cosa sbagliata o se avessi fatto del male a qualcuno o se avessi fatto davvero qualcosa di cattivo gusto, cose del genere, ma visto che sono molto esigente preferisco non fare niente quando sento di non poterla fare, anche se per ora non mi è ancora successo.

Ha mai pensato di smettere per qualche motivo e se potesse tornare indietro cosa direbbe al se stesso del passato?

Sì, soprattutto prima di lavorare sui cartelli perché era difficile, però poi alla fine non me la sentivo di fare qualcos’altro, anche se il dubbio c’è sempre. Se incontrassi il me stesso del passato mi darei una bella pacca sulle spalle, un bell’abbraccio d’incoraggiamento e mi direi: “Ragazzo mio vai avanti”.

Ha mai avuto interesse per altre forme d’arte, che magari si separano un po’ da quelle grafiche oppure diverse?

Faccio sculture e a questo ci tengo molto. Ho provato con la musica, che per me è una cosa fondamentale, però sono negato.

Che strumento?

Ho provato il sassofono e la tromba, ma sono negato. Forse è anche una questione di carattere e pazienza: ho poca pazienza. Mio fratello che è musicista lavora ore e ore tutti i giorni sul suo strumento ma io non potrei.

Cosa le ha fatto decidere di restare qua a Firenze?

Per me è stato un po’ un caso arrivare qui. Più per motivi di famiglia, per via dei miei figli. In realtà io sono qua più per i miei figli che per Firenze, perché essendo separato dalla mamma, per non fargli mancare niente, né il padre né la madre, preferiamo stare tutti insieme da qualche parte. Quindi il mio essere qui è un caso. Anche se il fatto che il mio lavoro sia nato a Firenze non penso sia casuale, perché Firenze più di tanti altri posti, evidenzia come quanto questi cartelli siano un anacronismo. Una città bella come Firenze così armonica, in un certo stile, bombardata così di cartelli stradali è quasi una contraddizione, non è possibile accettarlo. Per esempio, se fossi stato a New York, quella cosa dei cartelli stradali avrebbe stonato un po’ meno. Quindi il fatto che questo lavoro sia nato qui non è un caso secondo me. Ma essendo una città d’arte, la trasformazione dei cartelli in arte sarebbe successa prima o poi. Perciò è un caso e non è un caso.

Ora di recente c’è stato qualche evento che le ha fornito ispirazione?

Sì, attualmente sto scrivendo più che disegnando. Sempre di più mi sono stancato di questo giochetto con le autorità perché mi sono sempre dichiarato innocente. Però per non passare tutto le mie uscite a discutere con i poliziotti cercavo di evitarli ed essere molto discreto. Più il tempo passava, più mi annoiavo di questa cosa qua e forse avevo voglia di uno scontro vero, ufficiale, non solo con le autorità ma con i vari governi. Quindi ho smesso di nascondermi ed ho preso un sacco di multe. Ne ho presa una in Bretagna, ne ho presa una Firenze e una ad Amsterdam alla fine del 2021 e quindi devo andare in tribunale. Allora mi sono detto: “Che faccio?”, avevo tante idee in testa su come difendere il mio lavoro e la cosa più semplice che ho trovato è stata scrivere un libro, fatto per benino con delle immagini, dove racconto tutti gli argomenti che mi difendono. Si chiama “Il codice della strada”. Questa è una versione francese perché il primo tribunale a cui andrò incontro sarà francese e poi farò la versione italiana. Quindi ecco, un evento che per me è una tappa importante è questo incontro con i tribunali.

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