Tra gli utenti del social c’è chi si sentirà chiamato in causa, e magari anche a buon diritto, c’è chi si sentirà colpevolizzato di dipendenza da Instagram e di discriminazione verso chi non ha la celeberrima applicazione scaricata sul cellulare; ma la verità globale della situazione è difficilmente negabile: ci sono -e in gran numero- soprattutto, ma non esclusivamente, tra gli adolescenti persone che non farebbero mai a meno del proprio cellulare e in particolare dell’accesso a Instagram. Si sente il bisogno di controllare le immagini postate dagli altri, come se, non facendolo, si perdesse un pezzo importante della giornata o un qualcosa di inderogabile che dà senso alla vita e da cui non ci si distoglierebbe un attimo. L’immagine attrae, seduce e sottomette.
Constatato il pericolo che si corre quando non si riesce più a contenere questa tentazione, l’attuale gestore di Instagram, Adam Mosseri, ha annunciato circa due settimane fa su Twitter il nuovo “Take a break”, ovvero una nuova proprietà dell’applicazione che suggerisce di prendersi una pausa ogni tanto, distogliendo, così, lo sguardo dal display. L’intervallo di tempo, che separa una pausa da un’altra, è stabilito dall’utente con un massimo di 30 minuti. Se le “prove generali” avranno successo, già da dicembre di quest’anno si potrà attivare la funzionalità; quest’ultima invia una notifica che consiglia (non impone) un’alternativa alla devota contemplazione dello schermo, come esercizi di respirazione o ascolto di musica. Questo sembra essere di aiuto per la risoluzione del problema della dipendenza e dell’abuso del social.
Il secondo problema è di più difficile trattazione perché non sarebbe corretto etichettare chiunque faccia uso del social come “conformista”. Tuttavia, c’è chi percepisce come dovere morale, soprattutto nel mondo degli adolescenti, avere “un profilo insta”, per non essere considerato dal “branco” uno sfigato (o sfigata) di turno, o un qualcuno socialmente imbarazzante.
La questione è delicata perché, al contrario non vanno ritenuti “bigotti” coloro che non hanno il social; sembra azzardato e quasi impossibile fare una generalizzazione. Qualcuno obbietterebbe dicendo: “Io uso instagram per fare pubblicità al mio lavoro” oppure “ho semplicemente una passione per la fotografia” ecc. Ora non è importante se si vuole solo considerare la parte di coloro che, con altezzosità, danno per scontato che tutti i ragazzi necessariamente debbano avere Instagram. Se qualcuno, persino giovane, non lo avesse mai usato e non ci avesse interesse? Sicuramente sarebbe deriso e preso di mira. Questo accade perché il social è talvolta sentito come una “scuola di socialità”, un mondo virtuale pieno di competizioni, invidie, emulazione e insicurezze concrete che rischiano di danneggiare la vita dei giovani, se non si fa un buon uso. Sorge quindi la domanda: “Quanto si è veramente liberi di non avere Instagram?”. “I giovani che, con alzata di spalle e aria scocciata, rispondono ad un’invettiva come questa, sostengono di aver liberamente scelto di scaricare il social, penserebbero di essere ugualmente padroni di non usarlo?
Soluzioni a questi problemi non ci saranno se non con un esame di coscienza slegato da cosa gli altri si aspettano di sentire, dalla doxa dei nostri giorni.